Le modifiche introdotte dalla legge n. 207/2024
Con il comma 171 dell’art. 1 della legge n. 207/2024 il Legislatore ha, profondamente, cambiato, a partire dallo scorso 1° gennaio, i criteri per l’accesso al trattamento di NASpI 2025 disciplinato dal Decreto legislativo n. 22/2015.
I nuovi requisiti per accedere alla NASpI
Ora alla luce dei cambiamenti intervenuti nel corso degli anni per accedere alla indennità di disoccupazione non agricola occorre:
- Stato di disoccupazione, risultante dalla disponibilità espressa al centro per l’impiego ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera c) del decreto legislativo n. 181/2000;
- Almeno tredici settimane di contribuzione nei quattro anni antecedenti la richiesta della NASpI con l’eccezione introdotta, a partire dal 1° gennaio 2025, dal comma 171 dell’art. 1 della legge di bilancio.
L’eliminazione del requisito dei 30 giorni effettivi
Rispetto alla norma originaria, inoltre, non viene più richiesto, dal 1° gennaio 2022, il requisito dei trenta giorni di lavoro effettivo nell’anno antecedente la domanda di NASPI.
Ma, come dicevo, la grossa novità riguarda ciò che succede a partire dall’inizio di quest’anno.
Le dimissioni per fatti concludenti e la nuova procedura
La norma nasce, nelle intenzioni del Legislatore, per combattere gli effetti conseguenti alla introduzione della disposizione, contenuta nell’art. 19 della legge n. 203/2024, con la quale vengono disciplinate le dimissioni per fatti concludenti le quali, allo stato attuale, possono essere attivate, se il datore di lavoro, a fronte di una assenza ingiustificata protrattasi per più di quindici giorni, inizia la prevista procedura con la comunicazione inviata all’Ispettorato territoriale del Lavoro competente sulla base del luogo ove aveva prestato attività il lavoratore.
Con tale norma si intende frenare un certo “andazzo” in base al quale, per risolvere il rapporto con il dipendente che non aveva presentato le dimissioni seguendo le regole fissate dal DM applicativo dell’art. 26 del decreto legislativo n. 151/2015 e che si era allontanato dal lavoro, il datore era costretto a procedere al licenziamento, con tutte le garanzie previste dall’art. 7 della legge n. 300/1970, pagando anche il contributo di ingresso alla NASpI. Tale iter, ovviamente, resta e non è stato “toccato” dalle disposizioni
Entrambe le procedure sono valide e sono alternative tra di loro: ovviamente, quella delle dimissioni per fatti concludenti esonera il datore dal pagamento del c.d. “ticket” e lo abilita a trattenere l’indennità di mancato preavviso dalle competenze di fine rapporto.
Il nuovo requisito dei contributi post-dimissioni
Tornando al cuore dell’argomento di questa riflessione si può affermare che con la novità introdotta dal comma 171, che si inserisce come lettera c-bis all’interno del comma 1 dell’art. 3 del decreto legislativo n. 22/2015, l’intento “sotteso” del Legislatore sia stato quello di evitare che il lavoratore dimissionario senza aver presentato le proprie dimissioni seguendo la procedura telematica, potesse essere assunto da un datore di lavoro “compiacente” e licenziato dopo pochi giorni (magari al termine di un breve periodo di prova, percependo, comunque la NASPI, in quanto poteva far valere il requisito delle tredici settimane di contributi maturati nel precedente rapporto svoltosi entro il 2024)
Ora, la disposizione, spiegata dall’INPS al punto 3.3.1 della circolare n. 3/2015, afferma che dal 1° gennaio 2025 i lavoratori che abbiano interrotto con dimissioni un contratto di lavoro nei dodici mesi precedenti, per poter accedere al trattamento di disoccupazione, debbono aver maturato il requisito delle tredici settimane di contributi nel periodo successivo alla precedente risoluzione. La norma tocca, indistintamente, sia coloro che hanno presentato le dimissioni seguendo la procedura prevista dal DM che coloro i quali si sono allontanati dal lavoro ed il datore ha portato a conclusione l’iter previsto per le dimissioni per fatti concludenti.
Una riflessione critica sulla nuova norma
Prima di esaminare la casistica per la quale il comma c-bis non trova applicazione, mi sia consentito un breve commento: per colpire chi, inserendosi nelle maglie “larghe” della legge, aveva trovato un datore di lavoro “compiacente” che lo licenziava magari entro i quindici giorni successivi all’assunzione (così non pagava il contributo di ingresso alla NASPI relativo al mese ed il lavoratore, sulla base della vecchia norma, poteva percepire l’indennità), si punisce anche chi, dopo aver presentato regolarmente le proprie dimissioni, ha trovato una nuova attività dalla quale si dimette perché non la trova confacente al proprio profilo professionale.
Le eccezioni alla regola generale
Le eccezioni alla nuova regola generale riguardano alcune situazioni già consolidate.
Mi riferisco:
- Alle dimissioni per giusta causa dovute, ad esempio, a mancata retribuzione o notevole ritardo nella corresponsione della stessa, ad atteggiamenti fortemente “pesanti” del datore di lavoro o di altri collaboratori lesivi della dignità, a mobbing, a richiesta di prestazioni di natura sessuale, al trasferimento in un’altra unità produttiva distante oltre 50 chilometri dalla precedente. In tutti questi casi, il dipendente, dopo aver reso le proprie dimissioni attraverso la usuale procedura telematica, ha diritto, previo accertamento dell’Istituto, sia alla NASPI che al pagamento della indennità sostituiva del preavviso. Come ricorda la Corte di Cassazione con una vecchia sentenza, la n. 12768 del 17 dicembre 1997, il lavoratore ha diritto di recedere, con effetto immediato, senza alcun obbligo di preavviso, allorquando si evidenzi un grave inadempimento del datore di lavoro tale da non permettere la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto;
- Alle dimissioni della donna nel periodo protetto dal concepimento fino al giorno in cui il bambino compie un anno. Tali dimissioni vanno confermate avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro. Le stesse regole valgono per il padre che cura il bambino (perché la madre è morta o, gravemente malata, non può attendere alle cure del neonato, o perché risulta, con sentenza del giudice, unico affidatario);
- Alle dimissioni del lavoratore che ha fruito del congedo di paternità, introdotto dal decreto legislativo n. 105/2022, nel periodo compreso tra il settimo mese di gravidanza della moglie o della compagna, fino al quinto mese “post-partum”, e fino a quando il bambino compie un anno. Anche in tal caso le dimissioni vanno “validate” presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro;
- Alle dimissioni del padre e della madre fino al compimento di 3 anni di vita da parte del bambino che vanno convalidate in sede di Ispettorato territoriale del Lavoro;
- Alle dimissioni presentate da genitori di bimbi adottati o affidati per i quali trovano applicazione le regole esaminate ai punti 2), 3) e 4) con i periodi che vengono calcolati dal momento dell’ingresso nella famiglia del bimbo adottato o affidato e, in caso di adozione internazionale, dal giorno in cui è pervenuta la comunicazione di recarsi all’estero per le pratiche di abbinamento;
- Alla risoluzione consensuale avvenuta ex art. 411 cpc avanti alla commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro per una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dipendente, occupato presso un’azienda con più di quindici dipendenti, ove lo stesso era stato assunto prima del 7 marzo 2015: il tutto, nel rispetto della procedura indicata dall’art. 7 della legge n. 604/1966. È questo l’unico caso in cui, una risoluzione consensuale, offre la possibilità al lavoratore di accedere al trattamento di disoccupazione: ovviamente, a seguito della conciliazione avvenuta avanti al predetto organo, il datore di lavoro è tenuto, tra le altre cose, a versare all’INPS il ticket di ingresso alla NASPI entro il giorno sedici del mese successivo a quello in cui è stato sottoscritto l’atto.
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