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Digital Services Act: nuovo fronte di scontro Usa-Ue nell’era Trump


Nel nuovo e sorprendente corso della storia che stiamo vivendo a seguito delle elezioni americane è molto difficile tenere il passo con le decisioni e gli ordini esecutivi emessi dal presidente Usa Donald Trump.

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Tra i tanti, c’è ad esempio un documento pubblicato il 21 febbraio sul sito della Casa Bianca denominato “Defending American Companies and Innovators From Overseas Extortion and Unfair Fines and Penalties” corredato da un fact sheet, anche esso reperibile sul sito della White House  divenuto nel frattempo, a causa della situazione geopolitica, di grande attualità.

Si tratta di un memorandum indirizzato al Segretario del Tesoro degli Stati Uniti ed a una serie di agenzie federali che presiedono al commercio (the Secretary of commerce, the United States Trade representative, the senior counselor to the President for Trade and Manufacturing).

Il Digital Services Act come potenziale terreno di scontro geopolitico

Ora, un memorandum è un documento programmatico e di indirizzo cui solo in seguito potranno essere date misure esecutive ma proprio in questo mese di aprile viene dato riscontro da parte delle agenzie interpellate dall’Amministrazione Trump in questo memorandum: ad esempio è di fresca pubblicazione il 2025 National Trade Estimate Report pubblicato il 31 marzo dallo United States Trade Representative (uno degli uffici destinatari del memorandum).

Dopo avere assistito allo sconvolgente impatto dell’adozione di dazi a livello mondiale e ancor più dopo averne compreso le ragioni economiche poste alla base è possibile trovare una certa coerenza tra la America First Trade policy che ha portato all’adozione dei famigerati dazi e l’obiettivo perseguito con il memorandum in esame.

Anzi, viene da pensare che le prossime azioni della presidenza Trump possano rivolgersi al trattamento che ricevono all’estero i giganti statunitensi dell’economia digitale e che le misure in questo ambito possano diventare il nuovo terreno di scontro globale.

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Le critiche americane alle regolamentazioni digitali europee

In questo memorandum il Presidente Trump invita le amministrazioni in indirizzo a compiere delle valutazioni ed a riferire su quelle misure fiscali o regolamentari che danneggiano in maniera sproporzionata e scorretta le società dell’economia digitale US: senza troppi giri di parole il riferimento è ad una estorsione che forse potremmo meglio tradurre come “taglieggiamento” proveniente dall’estero (“overseas extortion”).

Mi asterrò dal parafrasare, perché anche il tono è importante, e così, con l’aiuto di un tool (anche esso americano), provo a tradurre letteralmente alcuni passaggi. “Negli ultimi anni, il prodotto interno lordo dell’economia digitale degli Stati Uniti, guidato da aziende tecnologiche all’avanguardia, ha superato l’intera economia di paesi come Australia, Canada o la maggior parte degli stati membri dell’Unione Europea. Invece di rafforzare la propria forza lavoro e le proprie economie, i governi stranieri hanno sempre più esercitato autorità extraterritoriale sulle aziende americane, in particolare nel settore tecnologico, ostacolandone il successo e appropriandosi di entrate che dovrebbero contribuire al benessere degli Stati Uniti. A partire dal 2019, diversi partner commerciali hanno introdotto tasse sui servizi digitali (DST) [NDR: anche l’Italia] che potrebbero costare miliardi di dollari alle aziende americane. Parallelamente, molti governi stranieri hanno adottato normative sui servizi digitali che sono più restrittive e gravose per le aziende statunitensi rispetto a quelle imposte alle proprie imprese nazionali.”

Tutte queste misure violerebbero la sovranità americana, esternalizzando posti di lavoro statunitensi, limitando la competitività globale delle aziende americane e aumentandone i costi operativi. In conclusione, l’Amministrazione Trump prenderà in considerazione azioni di risposta, come l’imposizione di dazi, per contrastare le tasse sui servizi digitali (DST), le sanzioni, gli oneri e le politiche discriminatorie adottate dai governi stranieri contro le aziende US.

Insomma, quello dei servizi digitali – un settore che avendo un saldo positivo a favore degli Stati Uniti non è stato incluso nel menu dei beni su cui si applicano le recenti “tariffe” di Trump – si candida ad essere un nuovo terreno di scontro tra l’UE e gli Stati Uniti.

Ma non si tratta di una sorpresa. Infatti, sul fronte fiscale la precedente amministrazione Trump aveva già chiesto di riportare negli Stati Uniti i ricavi generati dalle multinazionali tecnologiche a livello locale. E, citando un articolo di un think tank europeo – the European Union Institute for Security Studies (EUISS) – alcuni segnali già da tempo andavano nella direzione del documento in esame. Zuckerberg, scontento per una multa antitrust dalla Commissione Europea, avrebbe sollecitato il Presidente degli Stati Uniti a prendere provvedimenti contro le regolamentazioni europee.

Inoltre, come è noto Meta ha criticato la moderazione dei contenuti, seguendo il CEO di X, Elon Musk, nel porre fine ai programmi di verifica dei fatti e di diversità sulle sue piattaforme. Su questi temi, i leader tecnologici trovano un forte sostegno politico, in particolare il Vicepresidente JD Vance, in passato avrebbe addirittura suggerito che la partecipazione degli Stati Uniti alla NATO potrebbe essere riconsiderata se l’UE limitasse la libertà di parola (“free speech”) sulle piattaforme statunitensi. Il Presidente della Commissione Giudiziaria della Camera degli Stati Uniti, Jim Jordan, ha anche attaccato i regolamenti dell’UE, definendo inizialmente il Digital Services Act (DSA) ‘una legge di censura globale’ in una lettera alla Vicepresidente Esecutiva dell’UE Henna Virkkunen, poi accusando l’UE di ‘strumentalizzare il Digital Markets Act (DMA) contro le aziende americane’ nel tentativo di ‘rimediare al calo economico dell’Europa’ in una lettera alla Vicepresidente Esecutiva Teresa Ribera. Nel frattempo, quasi tutti i giganti dell’economia digitale americana sono oggetto di istruttoria della Commissione Europea sotto il profilo della corretta applicazione delle regole europee per il settore digitale ed a rischio di sanzioni.

Insomma, lo spettro delle possibili contestazioni dell’amministrazione Trump in materia di servizi digitali è molto ampio e include la web tax applicata da alcuni paesi dell’Unione Europea, la disciplina dei mercati digitali e l’applicazione del DMA e naturalmente il Digital Services Act.

Vorrei concentrare le note che seguono su questo ultimo regolamento, perché penso che gli obblighi ivi previsti e le relative sanzioni possano essere al centro di uno scontro infuocato nei prossimi mesi. Ad esempio, loUS National Trade Estimate Report (appena reso pubblico) nella sezione dedicata alle barriere al commercio digitale include il Digital Services Act, in considerazione del fatto che la maggior parte delle grandi piattaforme soggette agli obblighi più gravosi sono proprio statunitensi. Merita dunque particolare attenzione nell’attuale contesto storico il nuovo regime legale previsto per i fornitori di servizi digitali introdotto dal recente regolamento UE 2022/2065 (DSA).

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US Free speech vs. moderazione dei contenuti Ue

L’obiettivo del DSA è di creare un ambiente digitale più sicuro e trasparente, tutelando al contempo i diritti fondamentali degli utenti. Esso si applica a tutti i servizi online, indipendentemente da dove sia stabilito il fornitore, purché offra servizi ad utenti nell’UE, ciò che determina l’applicazione di queste regole nei confronti anche delle piattaforme statunitensi.

Pur non essendovi un obbligo generale di monitorare i contenuti degli utenti, il DSA introduce una serie di regole piuttosto stringenti che si risolvono in oneri sotto il profilo organizzativo ed economico e nella possibilità di incorrere in sanzioni. Queste regole sono viste come una minaccia al diritto di libertà di parola (“free speech”), che include il diritto di confrontarsi in pubblico con idee diverse, molto caro agli americani. Da ben prima delle ultime elezioni americane gli Stati Uniti e l’Europa hanno posizioni divergenti su come gestire i contenuti caricati nelle piattaforme.

Tuttavia, oggi, nel momento in cui tiene luogo la prima applicazione dei principi ed obblighi del DSA, i titolari delle grandi piattaforme digitali US paiono avere trovato un paladino dei propri diritti ed interessi proprio nell’amministrazione Trump.

Il DSA e le regole per la moderazione dei contenuti in Europa

Ma perché il DSA suscita reazioni così negative? Esaminiamone le regole in materia di moderazione e gestione dei contenuti.

Innanzitutto, i fornitori di servizi digitali devono rimuovere i contenuti illeciti o disabilitarne l’accesso tempestivamente. Tutti i fornitori devono inoltre divulgare chiaramente le loro policy di moderazione dei contenuti nei termini e condizioni del servizio, inclusi eventuali limiti imposti sui contenuti o sui comportamenti.

Inoltre, sono richiesti rapporti annuali sulla trasparenza, in cui le piattaforme devono pubblicare dati sulle loro attività di moderazione dei contenuti, come il numero di rimozioni, ricorsi e misure di rilevamento automatico. Quando un contenuto viene rimosso (o un account utente viene sospeso) per violazione della legge o delle politiche della piattaforma, il fornitore deve fornire all’utente una dichiarazione con le motivazioni della decisione. Per migliorare la trasparenza e facilitare il controllo sulle decisioni di moderazione dei contenuti, i fornitori di piattaforme online devono comunicare queste dichiarazioni di motivazione al Database di Trasparenza del DSA. Ad oggi, sono state caricate oltre 10 miliardi di dichiarazioni di motivazione, la maggior parte delle quali relative a violazioni dell’ambito di servizio della piattaforma.

Le piattaforme di grandi dimensioni – very large on line platforms (VLOP) ossia quelle con più di 45 milioni di utenti nell’UE – (quasi tutte americane) sono soggette a obblighi aggiuntivi, tra cui l’identificazione, l’analisi, la valutazione e la mitigazione dei rischi sistemici connessi alla fornitura dei loro servizi (Art. 34), come gli effetti sull’esercizio dei diritti fondamentali, inclusa la libertà di espressione e informazione (Art. 34, par. 2, lettera b). Se la diffusione di fake news su una grande piattaforma costituisce un rischio sistemico per la libertà di espressione e informazione degli utenti, il fornitore del servizio è tenuto ad adottare misure proporzionate ed efficaci per contrastare tale rischio e a riferirne alla Commissione, che ha ampi poteri di revisione. Queste azioni includono il monitoraggio della pubblicità al fine di demonetizzare la disinformazione, l’etichettatura chiara degli annunci politici, la progettazione sicura delle interfacce di servizio in modo tale che non risultino ingannevoli o manipolatorie e l’implementazione di meccanismi di fact-checking.

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Le VLOP, come ad esempio le piattaforme del gruppo Meta e X, sono anche soggette a ulteriori obblighi di trasparenza e supervisione. Esse devono sottoporsi a revisioni indipendenti annuali sulla conformità al DSA. Inoltre, devono mantenere un archivio pubblicamente accessibile sugli annunci pubblicitari, mettendo a disposizione dei ricercatori informazioni su contenuto, sponsor e criteri di targeting per consentire un maggiore controllo sulla pubblicità online, specialmente su questioni politiche o sociali.

Inoltre, le VLOP devono istituire una funzione di compliance interna e nominare almeno un responsabile per garantire il rispetto delle norme del DSA. Il DSA consente all’UE di imporre alle VLOP una tassa di vigilanza per coprire i costi di supervisione intensiva (fissata al massimo allo 0,05% del fatturato mondiale annuo). L’importo di questo contributo per il 2024 è stato di 58,2 milioni di euro complessivi, come da relazione della Commissione Europea, appena pubblicata ( https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52025DC0150)

Le prime applicazioni del DSA nei confronti delle piattaforme americane

In sintesi, le piattaforme molto grandi come quelle del gruppo Meta e X sono tenute, in misura senza precedenti, a monitorare attivamente i propri ecosistemi, adottare misure organizzative e strutturali onerose e a collaborare con i regolatori. Le nuove regole sono efficaci dal 17 febbraio 2024, mentre un primo gruppo di 17 VLOP (inclusi Meta, Google, Twitter/X, TikTok e altri) ha dovuto adeguarvisi già da agosto 2023.

Ad ottobre 2023, la Commissione ha avviato la prima indagine sulla applicazione del DSA, nei confronti di X per il mancato controllo della disinformazione durante il conflitto Israele-Hamas. Nel luglio 2024, la Commissione ha formalmente accusato X di violazione di diversi obblighi di moderazione previsti dal DSA, in particolare, riguardo ai “dark patterns” (creazione di interfacce con finalità di manipolazione), alla trasparenza pubblicitaria e all’accesso ai dati per i ricercatori ed alla disinformazione e hate speech. Se le violazioni saranno accertate X potrebbe affrontare multe fino al 6% del fatturato annuo globale: la stampa riferisce di possibili sanzioni per oltre un miliardo di euro. Si prevede che una decisione della Commissione Europea sulle sanzioni nei confronti di X e delle altre piattaforme sotto esame possa tenere luogo questa estate ma certamente se ne parlerà molto nei prossimi mesi per la dimensione metagiuridica che la questione oggi rappresenta. Possiamo dunque concludere che l’applicazione dei principi del DSA a fronte dell’impegno dell’Amministrazione Trump a proteggere i giganti del web dalle sanzioni della Commissione Europea ha acquisito una rilevanza geopolitica.



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