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Italia in ritardo sulle rinnovabili. I dati Legambiente


Rinnovabili, Italia in ritardo: il report di Legambiente Scacco matto alle rinnovabili 2025

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Con il report Scacco matto alle rinnovabili 2025, che contiene anche l’Osservatorio Aree Idonee e Regioni, è Legambiente a mettere i puntini sulle i: l’Italia rischia di raggiungere gli obiettivi 2030 di 80.001 MW con otto anni di ritardo, solo nel 2038.

Con poche distinzioni fra Nord e Sud, sono Valle d’Aosta, Molise, Calabria, Sardegna e Umbria le peggiori in classifica. Il Lazio è l’unica regione che, a oggi, centrerebbe l’obiettivo al 2030. E sebbene negli ultimi quattro anni siano stati installati in media quasi 4.500 MW all’anno di nuovi impianti a fonti pulite, nei prossimi sei occorre accelerare, arrivando a oltre 10mila MW all’anno.

Il messaggio che emerge dall’analisi è: non c’è tempo da perdere. A spingere verso l’energia rinnovabile è non solo il fabbisogno energetico nazionale, che guarda alla decarbonizzazione sempre più spinta in un quadro geopolitico complesso e incerto, ma anche l’esigenza di fare fronte al cambiamento climatico in atto con politiche di resilienza, guardando al processo di transizione energetica in chiave di opportunità di sviluppo. E il nucleare, ribadisce con decisione il network 100% Rinnovabili, non è la scorciatoia da imboccare.

Snellire e accelerare le procedure

Per spingere l’acceleratore verso il traguardo Legambiente parte da alcuni caposaldi: lo snellimento degli iter autorizzativi per velocizzare la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, a partire dalle attività di repowering degli impianti eolici già esistenti; il rafforzamento del personale tecnico negli uffici regionali e comunali preposti alla valutazione e autorizzazione dei progetti e il completamento dell’organico della Commissione PNRR/PNIEC del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica; la revisione del decreto Aree Idonee, della Legge 199/2021, dando indicazioni univoche e meno ideologiche alle Regioni, e del decreto Agricoltura, fornendo una maggiore distinzione tra fotovoltaico e agrivoltaico e prevedendo ad esempio la possibilità di realizzare il fotovoltaico a terra alle aree agricole all’interno nei siti di interesse nazionale e regionale da bonificare.

Rinnovabili in Italia: snellire e accelerare le procedureRinnovabili in Italia: snellire e accelerare le procedure

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Senza dimenticare che in Italia è necessario avviare una “rivoluzione culturale” guardando a questi impianti come occasione di investimento e sviluppo occupazionale per i territori.

Rinnovabili in Italia: regioni in ordine sparso

In quanto a ritardo sul raggiungimento degli obiettivi prefissati, le Regioni si muovono in ordine sparso da Nord a Sud della penisola.

Le peggiori in classifica sono Valle d’Aosta, Molise, Calabria, Sardegna e Umbria, che rischiano di registrare ritardi stimati tra i 45 e i 20 anni rispetto al 2030 secondo il decreto Aree Idonee, approvato il 21 giugno 2024 e pubblicato in Gaz­zetta Ufficiale il 2 luglio 2024 per disciplinare l’in­dividuazione, da parte delle amministrazioni regionali, delle superfici adatte all’installazione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabi­li, e – soprattutto – la ripartizione dell’obiettivo nazionale al 2030  da 80.001 MW di nuova potenza fra le Regioni e le Province autonome.

Rinnovabili in Italia: regioni in ordine sparsoRinnovabili in Italia: regioni in ordine sparso

In particolare, sottolinea il rapporto, la Valle d’Aosta impiegherà 45 anni per raggiungere l’obiettivo 2030 pari a 328 MW (contro il 7% raggiunto a oggi), il Molise viaggerà sui 29 anni di ritardo (ora solo il 10% dei 1.003 MW richiesti al 2030), la Calabria impiegherà 23 anni di ritardo (ha raggiunto solo il 12% dei 3.173 MW al 2030), la Sardegna 21 anni di ritardo (con appena il 13% rispetto ai 6.264 MW al 2030), l’Umbria 20 anni di ritardo (ha raggiunto il 13% dell’obiettivo di 1.756 MW al 2030).

Tra le altre Regioni, la Sicilia, ottava in classifica, raggiungerà i 10.485 MW al 2030 con oltre 13 anni di ritardo, a fronte dei 17% già realizzati. L’unica regione che, stando alla media di quanto realizzato negli ultimi quattro anni, centrerebbe l’obiettivo al 2030 di 4.757MW è il Lazio, che nel 2024 ha raggiunto il 39,9% del suo obiettivo 2030. Quelle che impiegheranno quasi due anni di ritardo sono Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige.

Percorso a ostacoli

A frenare la corsa alle rinnovabili sono i blocchi portati dal processo di approvazione e realizzazione sulla base di complessità burocratiche e dai movimenti di opposizione da parte di comitati di cittadini, associazioni e amministrazioni locali.

Come indica Legambiente, dal 2022 salgono a 92 le storie mappate e censite in Italia dall’associazione. Trentuno quelle censite nel 2024 che vedono al centro impianti eolici, fotovoltaici e agrivoltaici, segnati da ostacoli che arrivano da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Sovrintendenze, Regioni, Comuni, comitati di cittadini e associazioni datoriali.

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Rinnovabili in Italia, un percorso a ostacoliRinnovabili in Italia, un percorso a ostacoli

Il rapporto cita come esempi emblematici il Veneto con il caso dell’impianto agrivoltaico a Mogliano Veneto (TV), progetto già approvato dalla Regione ma che ha ricevuto forti opposizioni da parte del Sindaco, e la Toscana dove a Capalbio e Badia Tedalda, tra il grossetano e l’aretino, la giunta regionale sembra aver cambiato la propria opinione da positiva a negativa sul progetto dopo il clamore generato da partiti e comitati.

In Calabria, ad Acri (CS) Regione e Comune si scontrano sulle aree disponibili alla costruzione di impianti eolici con pareri opposti, per arrivare al prolungamento di moratorie (bocciate dalla Corte per incostituzionalità) come nel caso della Regione Lazio che ha bloccato l’autorizzazione di impianti eolici e fotovoltaici.

Progetti in stallo

La dimensione dei problemi aperti sul tema si intravede proprio dal numero di progetti in stallo a livello nazionale. Citando il rapporto Legambiente, dal 2015 al 15 gennaio 2025 sono 2.109 i progetti avviati a valutazione. Di questi, secondo le elaborazioni dell’associazione ambientalista sui dati disponibili sul portale del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, sono 115 i progetti in attesa della determina da parte della Presidenza del consiglio dei ministri, 85 quelli che hanno ricevuto il parere della Commissione Tecnica VIA PNRR-PNIEC ma che rimangono in attesa del parere del Ministero della Cultura; 1.367 (il 79% del totale) quelli in fase di istruttoria tecnica da parte del Comitato PNRR-PNIEC, con 44 progetti risalenti al 2021, 367 al 2022, 505 al 2023 e 451 al 2024.

Tra i progetti che avrebbero già dovuto concludere l’iter autorizzativo e ancora in attesa di una decisione, il più datato è un piano di reblading in Campania che prevede la sostituzione delle pale dei 60 aerogeneratori del parco eolico situato nei comuni di Lacedonia (AV) e Monteverde (AV). Che, malgrado nell’agosto 2020 abbia ottenuto un parere favorevole preliminare sulla compatibilità ambientale da parte del Mic, a quasi cinque anni di distanza è ancora bloccato nella fase di istruttoria tecnica presso la CTVIA.

“L’Italia è in colpevole ritardo sugli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili da raggiungere al 2030 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – I principali ostacoli non tecnologici sono gli iter autorizzativi lenti, per l’ostracismo del ministero della Cultura e l’inazione delle Regioni, i decreti ministeriali sbagliati e ideologici, come quelli su Aree Idonee e agricoltura, e le politiche miopi del governo Meloni, che non fa altro che rendere la Penisola ancora più dipendente dagli speculatori del gas, puntando anche sul ritorno del nucleare, opzione energetica sconfitta dal libero mercato, a causa dei suoi costi esorbitanti, mentre altri ritardi potrebbero aggiungersi con le future leggi regionali sulle Aree Idonee. Per rendere indipendente l’Italia e per aiutare famiglie e imprese, facendo diminuire la bolletta, occorre accelerare la diffusione delle rinnovabili, lo sviluppo delle reti e la realizzazione degli accumuli anche in vista del passaggio dal prezzo unico nazionale dell’elettricità a quelli zonali, che porteranno maggiori vantaggi proprio alle Regioni con una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili”.

Individuare le aree

Uno dei punti di partenza vitali per lo sviluppo delle rinnovabili è l’individuazione delle aree sulle quali insediare gli impianti di fonti energetiche. A questo aveva proposto una soluzione il decreto Aree Idonee. Il decreto disciplina l’in­dividuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabi­li, detta i criteri per l’individuazio­ne delle aree idonee all’installazione di eolico e fotovoltaico secondo quanto indicato dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima e indica le modalità per individuare tali su­perfici, aree industriali dismesse e altre aree compromesse, aree abbandonate e mar­ginali idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili. Così come la ripartizione fra le Regioni e le Province autonome dell’obiet­tivo nazionale al 2030 pari a 80.001 MW di nuova potenza a fonti rinnovabili. Primo passo non eludibile per procedere con la decarbonizzazione energetica.

Procedure per individuare le aree rinnovabili in ItaliaProcedure per individuare le aree rinnovabili in Italia

 

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A oggi, secondo il report, sono nove le Regioni che hanno avviato pubblicamente o approvato l’iter per la definizione delle aree idonee per l’installazione degli impianti per lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili, come indicato dal decreto.

A partire dall’analisi degli iter normativi, come riporta Legambiente sono bocciate Sardegna, Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo, mentre Piemonte, Sicilia e Calabria sono giudicate non classificabili in quanto la proposta sulle aree idonee non è ancora finalizzata o incompleta; una regione è rimandata, la Puglia. La Lombardia è l’unica promossa a oggi, malgrado il suo iter non sia ancora concluso. Le altre undici Regioni italiane (Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Liguria, Molise, Trentino e Alto-Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto) non hanno invece ancora avviato, almeno pubblicamente, l’iter di definizione delle Aree Idonee.

Secondo i numeri di Legambiente, l’Italia avrebbe raggiunto solo il 22,1% dell’obiettivo al 2030, con una lunga strada ancora da percorrere nei prossimi 6 anni per realizzare i 62.284 MW mancanti. Un numero che resta preoccupante considerando che negli ultimi quattro anni a scala nazionale sono stati realizzati solo 17.717 MW e nel frattempo tra decreti, normative regionali, ostacoli burocratici e opposizioni locali la situazione è divenuta ulteriormente più complessa.

Nonostante i risultati parzialmente positivi di una media delle installazioni avvenute tra il 2021 e il 2024 pari a 4.429 MW l’anno, l’Italia rischia di raggiungere gli 80.001 MW di tecnologie pulite tra 14,1 anni con 8,1 anni di ritardo.

Una tempistica inaccettabile, sottolinea Legambiente, considerando non solo gli eventi critici di emer­genza climatica – 2.321 eventi climatici estremi dal 2010 a oggi, 1.122 Comuni colpiti e 1.176 allagamenti – ma anche le mancate occasioni di sviluppo per il sistema Paese e i territori stessi.

“Il ritardo dell’Italia rispetto agli 80.001 MW da raggiungere entro sei anni – commenta Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente – è preoccupante così come il muro che diverse Regioni stanno innalzando sul tema aree idonee come nel caso in primis di Sardegna e Toscana che renderanno rispettivamente il 99% e il 70% del territorio regionale non idoneo alla realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili. Due Regioni che stanno purtroppo facendo scuola, stando alle dichiarazioni di rappresentanti di altre amministrazioni, nonostante il Governo abbia fatto ricorso alla Corte Costituzionale proprio per bloccare la legge sarda sulle aree idonee. Il nostro Osservatorio Aree Idonee e Regioni vuole fornire un’analisi dettagliata su quanto sta accadendo tra iter normativi regionali e ritardi, vigilando e stimolando le amministrazioni a un maggior coraggio, soprattutto considerando che le rinnovabili e l’efficienza sono le uniche risposte concrete ai problemi del Paese e che l’obiettivo 2030 rappresenta solo un primo passo verso gli obiettivi di decarbonizzazione da raggiungere entro il 2035 per la produzione elettrica e dentro il 2050 per tutto il resto del sistema energetico”.

Qualcosa si muove

Conciliare le esigenze delle popolazioni locali e della salvaguardia di territorio e ambiente con l’estensione dell’impiego di fonti energetiche verdi e alternative alle fonti fossili è la strada da seguire. E, malgrado le difficoltà, le notizie positive secondo Legambiente non mancano.

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Rinnovabili in Italia: cosa si muove nel 2025Rinnovabili in Italia: cosa si muove nel 2025

In Toscana, nel Mugello, sono iniziati i lavori per l’installazione di sette aerogeneratori eolici al Giogo di Villore, in provincia di Firenze, dopo mesi di opposizioni sbloccate nel settembre 2022 grazie all’intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri presieduta da Draghi, malgrado permangano forti resistenze da parte di comitati e associazioni locali e Legambiente – a oggi, come si legge nel documento – è l’unica associazione ambientalista riconosciuta a livello nazionale ad essersi esposta a favore dell’impianto; in Campania, nel Comune di San Bartolomeo in Galdo (BV), verranno autorizzati tre parchi eolici, dopo che per oltre 20 anni si è autodefinito “de-eolicizzato”; in Basilicata, una delibera della Giunta regionale del 28 ottobre scorso ha approvato il processo di semplificazione per l’autorizzazione di progetti a fonti rinnovabili con valutazione d’impatto ambientale, che mira a ridurre i tempi dei procedimenti amministrativi, agevolando la conclusione delle pratiche pendenti per l’installazione di impianti di energia rinnovabile. La strada per l’implementazione delle fonti rinnovabili sul territorio guarderà sempre più al coinvolgimento attivo della cittadinanza con le Comunità energetiche rinnovabili: alle Cer si rivolge la seconda edizione del Premio nazionale Cers 2025, promosso da Legambiente in collaborazione con Generali. Sempre ai cittadini guarda anche la seconda edizione del Green Energy Day che si è svota il 12 aprile, una giornata nazionale dedicata alla transizione ecologica. Promossa dal Coordinamento FREE e da un ampio cartello di associazioni, prevede visite guidate e gratuite in diversi luoghi nei quali si pratica la transizione ecologica puntando e investendo concretamente sulle energie rinnovabili.

L’arretratezza del territorio pesa

Qualche informazione in più sull’andamento arriva anche dalla classifica annuale di Aceper (Associazione consumatori e produttori di energie rinnovabili) delle Regioni italiane più virtuose nell’ambito dell’energia, stilata a fine 2024 sulla base della percentuale di energia da fonti rinnovabili sul totale di energia consumata nelle diverse Regioni.

In testa la Liguria (41%), grazie agli investimenti in nuove tecnologie per il solare e l’eolico. Secondo posto a pari merito Lombardia e Trentino Alto Adige (39%), che hanno adottato politiche energetiche innovative e investito in progetti che favoriscono l’uso di biomasse, idroelettrico e solare. Seguono il Veneto (34%), la Valle d’Aosta e la Toscana (32%), la Campania, prima regione del Sud (31%), il Friuli Venezia Giulia (30%), l’Emilia Romagna (29%), il Piemonte (26%), la Calabria (23%), l’Umbria (22%), le Marche (19%), l’Abruzzo (19%), la Sardegna (19%), la Sicilia (18%) e il Lazio (18%). Chiudono Basilicata (13%), Molise (12%) e Puglia (11%).

La burocrazia e l’arretratezza del territorio sono fra i problemi principali che frenano, anche secondo Aceper, lo sviluppo e la diffusione delle energie rinnovabili. Chiaro, in questo senso, l’esempio della Calabria, dove malgrado le condizioni climatiche favorevoli per sole e vento, i privati sarebbero poco propensi a investire.

“Le aziende preferiscono investire in Regioni con un ambiente normativo più favorevole e procedure di autorizzazione più rapide, ha dichiarato la presidente Veronica Pitea. Sullo sfondo dei dati Legambiente, la Calabria è un esempio emblematico delle difficoltà di alcune Regioni italiane nel tenere il passo con gli obiettivi dell’Agenza 2030. “Oltre alla carenza di investimenti dei privati in questa regione, dovuta alla percezione di incertezza politica e la presenza di elementi di criminalità organizzata che fanno da deterrente, da anni ormai in Calabria mancano anche le infrastrutture adeguate. La rete elettrica attuale non è in grado di gestire un aumento significativo della produzione da fonti rinnovabili”.

Un altro aspetto da considerare è la resistenza delle comunità locali. “In alcuni casi, l’installazione di impianti eolici o solari ha incontrato opposizioni dovute alla percezione che tali progetti possano danneggiare l’ambiente o alterare il paesaggio. È fondamentale che le aziende e le istituzioni coinvolte comunichino chiaramente i benefici ambientali ed economici delle energie rinnovabili e coinvolgano le comunità locali nel processo decisionale”. Infine, il problema della burocrazia. “Le autorizzazioni, spesso, richiedono anni per essere completate, creando un effetto deterrente per gli investitori. Molti progetti che hanno al centro le fonti di energia rinnovabili, anche promettenti, sono stati bloccati in attesa di approvazioni o addirittura direttamente abbandonati a causa delle lunghe attese”.

Sindaci contro

Nell’attuale clima di incertezza, la preoccupazione per un’installazione poco trasparente e rispettosa dei contesti paesaggistici e ambientali degli impianti per lo sfruttamento di energia da fonti rinnovabili arriva dalle amministrazioni comunali. Sono 161 i sindaci di tutta Italia che, raccolti nel Coordinamento interregionale per problema pale eoliche e fotovoltaico, esprimono allarme per gli impianti di produzione di energia rinnovabile sul territorio, con un messaggio esplicito: no alla speculazione, si rispettino paesaggio e vocazioni dei luoghi.

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“Le leggi emanate in materia energetica vanno ripensate e riformate: di fatto stanno favorendo un settore economico privato, in grandissimo fermento. I grandi guadagni si prospettano attraverso bassi rischi d’impresa vista la notevole mole di incentivi pubblici che ricade sulle bollette elettriche dei cittadini e sulla fiscalità generale”.

I sindaci hanno sottoscritto un manifesto che verrà presentato al governo e ai parlamentari di maggioranza e minoranza.

La preoccupazione nasce dai numeri. In Italia, si legge in una nota del Coordinamento, sono stati presentati circa 6mila progetti per grandi impianti industriali di produzione di energia rinnovabile, per una capacità elettrica di oltre 5 volte i già ambiziosi traguardi del green deal. Sono sorti in molti casi interrogativi e dubbi che riguardano la compatibilità con la tutela ambientale e paesaggistica.

Inoltre, “spesso i progetti appaiono in contrasto se non in antitesi con le vocazioni dei territori interessati, con il rischio di deprimere e demolire le filiere produttive locali frutto di decennali investimenti. Queste non possono essere spazzate via insieme al lavoro che garantiscono, principale freno a un pericoloso e desertificante spopolamento”. Occorre una correzione alla rotta che rispetti territori e comunità locali. Come si legge nel manifesto-appello, “noi sindaci chiediamo, interpretando la volontà del tessuto sociale dei luoghi da noi amministrati, che la produzione e la distribuzione dell’energia ridiventino un servizio pubblico essenziale con progettazione e programmazione degli impianti gestite in maniera trasparente. Vanno evitate frenetiche rincorse speculative di aziende private che agiscono in nome dei propri profitti non conoscendo o trascurando la specificità dei luoghi e delle terre agricole o naturali, che non possono essere considerate res nullius. Solo così la produzione energetica da fonti rinnovabili non sarà più ambientalmente, socialmente ed economicamente insostenibile e non aggredirà il prezioso suolo ancora non consumato”.

Tra i promotori dell’iniziativa c’è Angelo Radica, sindaco di Tollo, in provincia di Chieti: “Va assolutamente scongiurato il rischio che i progetti in questione rispondano a logiche di economia speculativa prima che al bene comune e al contrasto del cambiamento climatico”.

Il nucleare non è la risposta

Il nucleare non può, in nessun caso, essere la risposta alle esigenze italiane (e non solo). Neppure per eludere i problemi aperti in merito alla promozione e allo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili. Questo è il messaggio ribadito dal rapporto Elementi per un’Italia 100% rinnovabile presentato l’11 marzo a Roma dal network 100% Rinnovabili, promosso da esponenti di università e centri di ricerca, del mondo delle imprese, del sindacato e del terzo settore come Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente e WWF Italia.

Rinnovabili in Italia: il nucleare non è una rispostaRinnovabili in Italia: il nucleare non è una risposta

Per promuovere una decarbonizzazione veloce e a basso costo occorre puntare su un forte sviluppo del solare e dell’eolico, integrati fra loro in modo da utilizzare in sinergia la diversa produzione stagionale: secondo il rapporto, il potenziale eolico italiano è più che sufficiente per rispondere al fabbisogno dettato dalla decarbonizzazione in modo integrato con una forte crescita del solare a terra, in un’ottica che vede questa soluzione non come un consumo di suolo ma un’occasione per la biodiversità, e testimonianza viva di un paesaggio in evoluzione nella transizione dalle fonti fossili alle energie verdi e nella resilienza ai cambiamenti climatici.

 

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Sì ai processi autorizzativi rapidi e coerenti con la necessità di accelerare la transizione, contrastando la tendenza a estendere le aree inidonee per gli impianti eolici e solari a eccezione delle aree di particolare valore naturalistico, culturale, storico e paesistico, e a un uso razionale e ottimale delle altre risorse energetiche come le biomasse, l’idroelettrico, il teleriscaldamento, gli accumuli distribuiti per usi termici e la geotermia ad alta e bassa entalpia, fino alla riqualificazione energetica degli edifici, l’uso razionale dell’idrogeno e degli elettro-bio- combustibili.

Ma nel giorno di anniversario dell’incidente nucleare di Fukushima, l’11 marzo 2011, il network ha ribadito cinque punti cruciali contro il ritorno alle centrali atomiche.

Primo, il declino di questa tecnologia che, dopo il picco di circa il 17% della produzione elettrica mondiale raggiunto al termine del secolo scorso, ha visto l’avvio di un trend discendente che ha portato il contributo del nucleare a calare fino al 9,2% nel 2022. Secondo, i costi molto elevati. Terzo, i tempi di costruzione particolarmente lunghi, come dimostrano – cita il network – le esperienze di Flamanville in Francia, Olkiluoto in Finlandia e Hinkley Point in Gran Bretagna. Quarto, i costi ambientali: le centrali nucleari a fissione dell’uranio generano isotopi altamente radioattivi, con tempi di dimezzamento della radioattività che, per il plutonio, arrivano a 24 mila anni, generano quindi combustibile esaurito, scorie e rifiuti nucleari pericolosi, difficili e costosi da gestire. Quinto, la difficoltà di reperire la materia prima utile e le tecnologie. l’Italia non dispone né di uranio né di impianti di arricchimento e produzione del combustibile nucleare che è costoso e andrebbe importato, probabilmente dalla Russia che detiene il 38% della capacità globale di conversione dell’uranio e il 46% della capacità di arricchimento.

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