Commento Cgil sulla “Proposta per un Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un sistema comune per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nell’Unione è irregolare e abroga la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, la direttiva 2001/40/CE del Consiglio e la decisione 2004/191/CE del Consiglio”
La Commissione europea ha presentato lo scorso 11 marzo una nuova proposta di regolamento per l’istituzione di un sistema comune per i rimpatri dei migranti senza un titolo di soggiorno valido, per introdurre procedure più rapide, snelle e uniformi per tutti i Paesi membri.
Nel testo si traccia con chiarezza l’ambito d’intervento:
“L’obiettivo della proposta è introdurre una procedura comune e affrontare le principali carenze e sfide incontrate dagli Stati membri nel rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi privi di diritto di soggiorno nell’Unione. Prevenire e contrastare l’immigrazione clandestina e garantire il rimpatrio di coloro che non hanno diritto di soggiorno è un interesse comune degli Stati membri, che non possono realizzare da soli”.
Si fa appello al principio di sussidiarietà (Art. 5 del TFUE) per una materia che non è di competenza esclusiva dell’Unione. La Commissione intende intervenire attraverso il Regolamento per rendere certi, e quindi incrementare, i rimpatri perché valuta non raggiunto questo obiettivo in misura sufficiente da parte degli Stati membri.
Si fa così richiamo al principio di sussidiarietà inseguendo un inasprimento delle procedure contro chi è nel territorio dell’Unione, riducendo al massimo il raggio d’azione dei possibili interventi degli Stati membri che potrebbero essersi dotati di una gestione diversa delle procedure riservate a stranieri presenti nel territorio senza un titolo valido di soggiorno.
Si tratta senza alcun dubbio dell’introduzione di una previsione restrittiva, dentro una visione generale che associa in modo esclusivo l’immigrazione ai problemi di sicurezza secondo cui una persona “senza titolo valido di soggiorno” rappresenta già di per sé una minaccia sociale.
Non si considera ancora una volta l’elemento globale e strutturale delle migrazioni e si continua nell’approccio emergenziale e securitario, pur essendo l’Europa un continente interessato da flussi provenienti da diverse rotte, ma con livelli d’ingresso di rifugiati non tra i più alti come dimostrano i dati a livello mondiale sulle richieste di asilo.
Diverse sono le criticità presenti in questo Regolamento a partire dalla metodologia attuata dalla Commissione per la sua definizione. Nella premessa si fa esplicito riferimento ad una consultazione ampia “di soggetti interessati, tra cui Stati membri, istituzioni europee, organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative (ONG), società civile, enti di ricerca e Paesi terzi”.
Di fatto il livello di coinvolgimento e confronto, da quel che risulta dalle valutazioni delle Organizzazioni sindacali e della società civile, tra le quali le ONG attive da anni a livello europeo sul tema immigrazione, è stato minimo se non del tutto inesistente.
Non è in alcun modo condivisibile, infatti, l’inasprimento delle procedure il cui effetto sarà inevitabilmente l’aggravamento delle condizioni di vulnerabilità dei migranti in tutto il territorio della Unione Europea. La proposta ha registrato critiche e reazioni da più parti per le ricadute negative in materia di Asilo e per l’introduzione a livello comunitario del regime di detenzione (Capitolo V – Prevenzione della fuga e della detenzione).
La Commissione da evidenza che “non è stata effettuata alcuna valutazione d’impatto, a causa dell’urgenza di proporre nuove norme nel settore del rimpatrio, la proposta si basa su un’ampia gamma di consultazioni, studi e valutazioni, come indicato sopra”: tale presupposto è particolarmente grave, poiché non sussistono elementi tali da giustificare un intervento senza le più approfondite valutazioni sull’impatto e la metodologia adottata (sondaggi, workshop e interviste con le principali parti interessate) non ha garantito un reale e concreto percorso di confronto e consultazione con i soggetti portatori d’interesse.
Il testo, che dovrà essere approvato e adottato nei prossimi mesi attraverso il percorso nelle istituzioni europee, istituisce un “ordine europeo di rimpatrio” che permetterà a uno Stato membro di riconoscere ed eseguire direttamente una decisione di rimpatrio emessa da un altro Stato membro, e interviene sulla restrizione delle libertà personali, con il ricorso alla detenzione, anche in relazione al pericolo di fuga di un cittadino straniero da un Paese verso un altro.
Secondo la Commissione possono costituire rischio di fuga e determinare quindi la detenzione diversi elementi, tra i quali:
- la mancanza di documenti che comprovino l’identità;
- la mancanza di domicilio, di fissa dimora o di un indirizzo affidabile;
- la mancanza di risorse finanziarie;
- lo spostamento non autorizzato in un altro Paese;
- l’inosservanza dell’obbligo di cooperare con le autorità competenti degli Stati membri in tutte le fasi delle procedure di rimpatrio;
- l’inosservanza di un divieto d’ingresso in vigore.
Elementi di carattere formale e burocratico che possono costituire sicuramente violazioni delle norme in vigore nei singoli Stati membri ma che non costituiscono di certo, in modo diretto, forme di minaccia per la sicurezza sociale.
Il regime di detenzione è misura sproporzionata che lede diritti fondamentali e l’idea stessa di stato di diritto, nel quale la restrizione della libertà personale è conseguente a reati di natura penale. La proposta di regolamento della Commissione si pone in contrasto con il rispetto dei diritti fondamentali e confligge, a nostro giudizio, con i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché dagli obblighi derivanti dal diritto internazionale, in particolare dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, dalla Convenzione delle Nazioni Unite Contro la Tortura e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia.
Per questo motivo non è sufficiente affermare, nel testo del Regolamento, che i rimpatri saranno condotti nel rispetto della dignità umana, del diritto alla vita, della proibizione della tortura e di trattamenti o punizioni inumani e degradanti, del diritto alla libertà e alla sicurezza, del diritto alla vita familiare e privata, compresa la protezione dei dati personali(…).
La durata del periodo di detenzione è fissata dagli Stati membri in un periodo massimo di 12 mesi, che può essere prorogato di ulteriori 12 mesi a causa dell’assenza di cooperazione nella procedura di rimpatrio del cittadino di un paese terzo o di ritardi nell’ottenimento della documentazione necessaria da paesi terzi. È inoltre possibile il ricorso a ulteriori misure dopo i 24 mesi, tra le quali il monitoraggio elettronico.
A ulteriore conferma della gravità del provvedimento è la previsione della detenzione come “misura di ultima istanza” anche per i minori e bambini, contravvenendo a nostro giudizio al rispetto di norme e trattati internazionali compresa la risoluzione del 2020 del Consiglio d’Europa nella quale si afferma che “la detenzione di minori e dei loro genitori in base al loro status migratorio è contraria al superiore interesse del minore e costituisce una violazione dei diritti dell’infanzia”.
Altro elemento di novità che mina il rispetto dei diritti fondamentali è la proposta di istituire centri di detenzione e rimpatrio (Hub) in Paesi terzi per le persone con a carico una decisione definitiva di rimpatrio. L’istituzione di questi centri scaturirebbe da accordi bilaterali tra Stati, è il frutto evidente delle pressioni di alcuni Paesi (tra cui l’Italia, la Polonia e i Paesi Bassi). L’articolo 4 del testo prevede che come “Paese di rimpatrio”, oltre a quello di origine o di residenza del migrante, si può intendere “un Paese terzo di transito verso l’Unione”, o “un Paese terzo con cui esiste un accordo o un’intesa in base ai quali il cittadino di un Paese terzo è accettato”.
Lo scenario che si determinerà è quello in cui si procede ad un rimpatrio con accompagnamento in Stati extra-Ue, diversi dal paese d’origine, di residenza o di transito sulla via dell’Unione, in cui per le persone può non sussistere alcun legame visto che potrebbe essere rimpatriato verso un paese senza esserci mai stato. Per i paesi di transito non esiste ancora la lista europea che elencherà i cosiddetti “Paesi terzi sicuri” che dovrebbe essere approvata dagli Stati Ue entro giugno 2025 per dare attuazione ai Regolamenti del Patto sulla migrazione e l’asilo approvato nel 2024. Nei giorni scorsi è stata invece approvata la lista dei cosiddetti paesi terzi sicuri d’origine.
Il rischio concreto è l’assenza di qualsiasi legame diretto con il paese terzo e che non sussista alcun obbligo, per poter realizzare il rimpatrio, sulla garanzia dei diritti umani. Seppure negli articoli del regolamento non sia presente una previsione specifica la proposta della Commissione prepara la strada alla creazione dei return hubs in Paesi terzi, fornendo una base legale per gli Stati membri che vorranno istituirli tramite il raggiungimento di un accordo con un Paese terzo. Per questo motivo l’Unione europea rischia di essere in concorso di violazione di diritti fondamentali, inoltre con i centri per rimpatri in Paesi Terzi è alto il rischio di violazione del divieto di respingimento, un principio fondamentale del diritto internazionale, compresa la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta agli Stati di respingere i rifugiati o i richiedenti asilo in Paesi in cui la loro vita o la loro libertà potrebbero essere in pericolo.
L’esperienza dei Centri per i rimpatri (CPR) in Italia rappresenta la zona più cupa delle politiche sull’immigrazione e un punto di estrema criticità del nostro ordinamento. Si registrano gravi carenze di garanzie e tutele di natura costituzionale per le persone in stato di detenzione, costrette a vivere per periodi lunghi la negazione della libertà personale in un regime di trattenimento spesso caratterizzato dalla quasi totale assenza di condizioni compatibili con la dignità umana. Da anni, come dimostrato dal rapporto del Tavolo Asilo Immigrazione a seguito della campagna di visite e dalle diverse denunce, si registrano violazioni di diritti e condizioni estreme che spesso determinano conflitti e proteste dove l’unica risposta agita dalle istituzioni è quella repressiva.
Senza alcuna possibilità per la società civile, le organizzazioni umanitarie e le ONG di entrare in queste strutture. Spesso l’unico modo per le persone detenute nei CPR di far sentire la propria voce è la protesta sui loro corpi con gesti individuali e collettivi di autolesionismo. Diversi sono infatti i suicidi e le morti registrate in questi anni dentro i CPR. Il progetto del Governo italiano di istituire una struttura fuori dai confini, con l’attivazione del Centro in Albania, è fallito sul nascere in virtù dei diversi ricorsi che hanno disposto il rientro in Italia dei migranti trasferiti, sancendo l’irregolarità per l’ordinamento italiano di queste procedure. Il governo italiano, per confermare la scelta dell’Albania, ha cambiato obiettivo con la l’adozione di un recente decreto-legge che prevede l’utilizzo della struttura di Gjader come CPR, già operativo in questi giorni. Si persegue una scelta che nega i diritti fondamentali delle persone migranti che oggi rischia di essere il modello d’intervento della Commissione Europea secondo le previsioni dal Regolamento rimpatri.
RISORSE ECONOMICHE
Come indicato nella Dichiarazione legale, finanziaria e digitale di accompagnamento, gli investimenti richiesti a livello dell’UE e degli Stati membri sono considerati compatibili con il quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 e possono essere finanziati attraverso il QFP 2021-2027 per i fondi per gli affari interni, facendo ricorso al Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF).
Il ricorso al Fondo asilo migrazione e integrazione (FAMI) rappresenta un ulteriore elemento nel cambio di rotta delle politiche dell’Unione in direzione di un modello esclusivamente emergenziale e repressivo. Negli ultimi anni il fondo FAMI ha rappresentato uno strumento valido per le politiche di integrazione a sostegno dei cittadini provenienti da paesi terzi con interventi in direzione di percorsi di autonomia dei richiedenti asilo, finanziando anche alcuni interventi concreti di contrasto al caporalato, alla tratta e allo sfruttamento con misure di sostegno per le vittime.
Interventi che spesso sono stati il frutto di cooperazione tra Prefetture, Comuni, Terzo settore e Organizzazioni sindacali in un’ottica di approccio multi-agenzia, di scambio e costruzione di competenze con importanti risultati a partire da alcuni contesti territoriali fortemente interessati da fenomeni di caporalato e di marginalità sociale di lavoratori immigrati.
Attingendo ai fondi FAMI, per l’attuazione del Regolamento, si depotenzia fortemente la possibilità di introdurre interventi di sostegno al processo complessivo di integrazione ed inclusione, spostando l’obiettivo verso azioni esclusivamente repressive. In questo quadro gli Stati membri potranno utilizzare i fondi stanziati nell’ambito dei programmi nazionali del Fondo Asilo, migrazione e integrazione per sostenere gli investimenti necessari anche per le infrastrutture e nelle procedure per l’attuazione del presente regolamento. Si prevede inoltre di rafforzare il bilancio di Frontex per i rimpatri, se necessario, nel 2025, 2026 e 2027, impiegando risorse interne al bilancio di Frontex in funzione del consumo effettivo. Si conferma così ancora di più il disimpegno da parte dell’Unione sul versante dei salvataggi delle persone in viaggio verso l’Europa, sia per quelli che attraversano la rotta del Mediterraneo che per quelli che provano l’ingresso attraverso le rotte di terra nel centro e nord Europa, venendo meno ad un dovere umanitario verso chi fugge da situazioni di guerre o di estrema povertà.
Nel complesso la proposta del Regolamento sui rimpatri afferma la svolta reazionaria delle politiche della Commissione sull’immigrazione rispondendo così alle sollecitazioni delle destre europee che in modo strumentale da anni muovono contro l’opinione pubblica la questione migratoria come minaccia per la sicurezza e l’identità nazionale ed al tempo stesso quale elemento di competizione per il lavoro e per l’accesso al welfare sempre più ristretto e sempre meno universalistico.
L’Europa si fa fortezza innalzando muri e barriere con legislazioni nazionali sempre più restrittive e con l’adozione del Regolamento sui rimpatri, strumento che ha un carattere di applicazione obbligatorio con la conseguente abrogazione delle Direttive in materia di rimpatri.
Questo inasprimento di misure repressive verso le persone senza un valido titolo di soggiorno on tiene conto del fatto che l’irregolarità spesso non si determina solo dalla “violazione” dei confini ma è anche il frutto delle limitazioni normative a livello di Stati membri. Come nel caso dell’Italia dove il diritto all’accesso al titolo di soggiorno è legato essenzialmente al contratto di lavoro e al possesso di requisiti reddituali, spesso irraggiungibili a causa delle condizioni di irregolarità del lavoro (mancata applicazione dei CCNL, numero ridotto di ore retribuite e altro) cui scaturisce la perdita dei requisiti per il rinnovo dei permessi di soggiorno.
La dimostrata inefficacia delle procedure per l’ingresso in Italia attraverso il Decreto Flussi determina spesso l’impossibilità per questi lavoratori di concludere l’iter di regolarizzazione a causa delle condotte illecite di molte imprese che fanno richiesta di ingresso di lavoratori da Paesi extra-Ue.
Queste forme di irregolarità sono volutamente lasciate in un vuoto giuridico dal quale è difficile e spesso impossibile venir fuori, in assenza di correnti ed esigibili procedure di emersione e di regolarizzazione.
Nonostante la palese inadeguatezza della normativa per l’accesso ai flussi per lavoro il Governo non ha inteso introdurre una riforma dell’impianto legislativo limitandosi, con il decreto-legge n.145/2024 a una manutenzione delle procedure.
I dati sono evidenti e noti: solo una minima parte delle quote disponibili, ben inferiori al fabbisogno stimato, si trasforma in nulla-osta rilasciati, in visti d’ingresso rilasciati e contratti attivati.
Si stima che delle persone che fanno ingresso in Italia, un elemento non disponibile perché viene restituito solamente il dato sui nulla-osta e sui i visti rilasciati, a seguito della procedura dei flussi solo per il 30% si completa il percorso con la sottoscrizione del contratto di soggiorno e l’attivazione del contratto di lavoro.
Un sistema alimentato da intermediari e da imprese che utilizza la rigidità della procedura dei flussi per generare e alimentare irregolarità e per vincolare materialmente la persona migrante al circuito dello sfruttamento lavorativo: le norme non prevedono forme efficaci di tutela. La condizione di irregolarità determina poi il provvedimento di espulsione e l’attivazione del percorso per il rimpatrio forzato.
Il regolamento sui rimpatri, anche per i motivi succitati, andrà ad impattare sulle situazioni di irregolarità dei migranti nei vari Paesi europei. Anche per questo quanto portato avanti dal gruppo di lavoro sulla regolarizzazione dei migranti senza documenti della rete RSMMS è ancora più importante in questo contesto. Il gruppo di lavoro, infatti, formato dai sindacati europei aderenti alla rete e dalla DGB, dalla CES e da Picum, sta cercando di elaborare una proposta politica condivisa sulla regolarizzazione da presentare alle Istituzioni Europee per favorire l’emersione dei lavoratori e delle lavoratrici senza documenti.
Uno degli esempi positivi sul quale si sta elaborando la proposta è il regolamento de extranjería spagnolo, che offre molte possibilità di regolarizzazione a chi si trova sul suolo spagnolo privo di documenti. Una forte proposta politica in tal senso deve andare a contrastare le sempre più restrittive regolamentazioni europee che, a causa dell’avanzare delle destre in Europa, vanno ogni giorno di più a inasprire le norme sull’immigrazione continuando a dare una risposta sbagliata al fenomeno migratorio.
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