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Dazi & Italia: 4 Scenari per il PIL che Potrebbero Rivoluzionare l’Industria!


In una serata di venerdì caratterizzata dal consueto imprevedibile comportamento, Donald Trump si è mostrato ottimista: ha espresso la sua disponibilità a negoziare con l’Unione Europea, che non ha risposto con tariffe reciproche, e non ha scartato la possibilità di un accordo con Pechino, nonostante “i costi di transizione” previsti. Ha commentato: “Ho sempre avuto un buon rapporto con Xi, che è una persona molto intelligente”. Inoltre, ha escluso dalla lista dei dazi, con grande sollievo per aziende come Apple, Nvidia e Microsoft, prodotti come smartphone, PC, hard disk e semiconduttori, ambiti in cui la Cina detiene una posizione di leadership nella produzione digitale; potrebbe includere anche le batterie, il che potrebbe far sorridere anche Musk. Sta forse perdendo potenza questa avanzata neo-protezionista?

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Questa settimana potrebbe segnare l’avvio di trattative che si preannunciano ardue, protratte e incerte. L’Unione Europea ha adottato una posizione di attesa e l’imminente incontro tra Giorgia Meloni e Trump potrebbe fornire alcuni indizi sulle intenzioni del presidente. L’Italia ha tutto l’interesse a promuovere la difesa dei mercati aperti e Meloni ha dichiarato di favoreggiare tariffe zero come principio di base, almeno tra Europa e Stati Uniti, ma l’incertezza rimane elevata.



L’Italia affronta la tempesta commerciale con un debito pubblico che ammonta a tremila miliardi di euro, una cifra che non offre la stessa flessibilità di manovra della Germania, ma che fortunatamente non espone il Paese a attacchi speculativi o vendite massicce dei titoli di stato come nel 2011.

Standard & Poor’s ha migliorato il rating del debito italiano da BBB a BBB+: un progresso modesto, ma significativo. Giancarlo Giorgetti si è detto soddisfatto per il riconoscimento della sua gestione prudente. Secondo il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta il miglioramento “non sorprende” perché “le condizioni economiche in Italia sono mutate, così come l’approccio alla gestione delle finanze pubbliche, che sono state trattate con saggezza e non come un dato a sé stante”. Inoltre, “essendo oggi l’Italia creditrice nei confronti dei paesi esteri, non solo non mi stupisce, ma potrebbe anche migliorare ulteriormente”.

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La cattiva notizia è che il rallentamento del commercio mondiale frena il motore che ha sostenuto la crescita degli ultimi anni: l’esportazione di beni industriali. Le stime della Banca d’Italia nel suo ultimo bollettino e del Documento di finanza pubblica, rilasciati entrambi venerdì, prevedono un rallentamento del prodotto interno lordo, sostenuto dal settore dei servizi e dal mantenimento dei consumi, mentre gli investimenti sono principalmente sostenuti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), sperando che non emergano nuovi ostacoli e ritardi.

Sia il governo sia la banca centrale hanno ridotto le previsioni di crescita del PIL allo 0,6% per quest’anno. Giorgetti ha escluso interventi correttivi anche se le previsioni dovessero peggiorare, mentre il 2026 dipenderà dall’evoluzione della guerra tariffaria iniziata da Donald Trump.

Il ministero dell’Economia non ha fatto previsioni precise e ha delineato quattro scenari differenti. In assenza di un accordo, l’impatto dei dazi americani sul PIL italiano sarebbe di un ulteriore decimo di punto percentuale in meno nel 2025 e di 0,2 punti nel 2026, fermandosi quindi a +0,5% e +0,6% rispetto alle stime tendenziali, rispettivamente +0,6% e +0,8%. Nei prossimi anni, il rischio maggiore deriverebbe dalle tensioni sui mercati finanziari, con un possibile impatto di -0,3 punti percentuali nel prossimo anno e -0,5 punti nel 2027.

Con lo scenario A, quello di una guerra dei dazi e una domanda mondiale in calo, il PIL perderebbe ancora lo 0,1% quest’anno e lo 0,2% nel 2026. Con lo scenario B, che ipotizza un euro che si rivaluta rispetto al dollaro, il PIL scenderebbe dello 0,1%. Se i prezzi del petrolio e del gas aumentano (scenario C), il prodotto interno lordo scenderebbe dello 0,2% quest’anno rispetto alle previsioni. Se scoppia una crisi finanziaria, con un aumento dei tassi di mercato e dello spread, il tasso di crescita sarebbe dimezzato, avvicinandosi a zero, e potrebbe riprendersi solo nel 2027.

Incrociamo le dita. La Federal Reserve ha dichiarato di essere pronta ad utilizzare ogni strumento a sua disposizione per stabilizzare i mercati, che hanno chiuso due settimane in calo. Ma la banca centrale non è l’unico attore in campo. Anche se le borse possono essere influenzate da fattori psicologici, chi gestisce e investe il denaro dei risparmiatori si basa su aspettative immediate.

I dazi influenzano anche il dollaro, ha ricordato Panetta: “Le relazioni tra paesi sono regolate dalle valute”. Trump è indeciso se far rivalutare il dollaro per contenere l’inflazione o se svalutarlo per incrementare le esportazioni. E non tutto segue le regole del mercato. Prendiamo i prezzi dell’energia: potrebbero essere contenuti dalla riduzione della domanda mondiale, evitando così lo scenario C, tuttavia il petrolio è diventato uno strumento politico, specialmente negli anni ’70, e l’offerta dei paesi esportatori è influenzata da decisioni che rispondono a logiche di potere più che a considerazioni puramente economiche.

Non sembra che il primo scenario possa cambiare nel breve termine. I 90 giorni di tregua potrebbero servire per avviare negoziati, ma saranno lunghi e complessi. Con Canada e Messico, durante il primo mandato di Trump, i negoziati durarono tre anni, e se a negoziare saranno tutti i paesi “in coda”, ci vorrà ben oltre le prossime elezioni presidenziali. Ciò significa che la domanda mondiale continuerà a soffrire, le esportazioni non saranno più il motore della crescita, in particolare per l’Italia.

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La politica economica del governo dovrà quindi essere più dinamica. Non sarà sufficiente contenere il deficit e distribuire le risorse limitate in modo dispersivo; sarebbe molto più efficace concentrare le risorse scarse in poche scelte strategiche, mettendo al centro il rilancio dell’industria. Ciò significa ridurre i costi energetici, aumentare gli incentivi agli investimenti privati, riconoscendo il fallimento di Industria 5.0, promuovere la produttività del lavoro e la flessibilità salariale, sostenere con una serie di strumenti la transizione digitale e la crescita dimensionale delle imprese e concentrare anche la politica estera sull’apertura di nuovi mercati.

Nessuno nega l’importanza del turismo, dell’agricoltura e del commercio. Ma prima è necessario far ripartire la locomotiva.

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Tags: Donald Trump, Governo Meloni, Fabio Panetta, Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti



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