‘‘Data is the new oil”: questa frase, attribuita originariamente al matematico britannico Clive Humby (2006), ha simboleggiato l’emergere della new economy. Ma a dare ancora più senso a questa frase oggi è l’Intelligenza Artificiale. L’ultima ondata a partire dal 2021 di AI Generativa ha mostrato le sue potenzialità al grande pubblico per la creazione e revisione di documenti e immagini, l’analisi dati, il web crawling (processo di individuazione e catalogazione delle pagine web) e molto altro. E non “solo” agli utenti consumer, ma anche al mondo business. Parallelamente, il mondo multipolare che sta emergendo negli ultimi anni, vede proprio nell’AI il nuovo petrolio, capace di stravolgere gli equilibri geopolitici. E non è un caso se l’imprenditore e Capo del Dipartimento dell’Efficienza Governativa degli Stati Uniti, Elon Musk, già nel 2017 sosteneva che sarebbero potuti anche nascere conflitti internazionali per la supremazia nel campo dell’AI. Una sfida che, a tutti gli effetti, coinvolge e travolge tre blocchi, Stati Uniti, Cina e Unione europea, con approcci ed interessi distinti.
Il controllo delle risorse
La partita più cruciale si gioca sulla disponibilità di risorse critiche. Se le Graphic Processing Unit (unità di elaborazione grafica) e i chip, nonché le infrastrutture cloud e i data center sono l’ossatura dell’AI, a sua volta il controllo di terre rare, minerali, acqua ed energia, necessarie per la produzione e il funzionamento di queste strutture, rappresenta oggi una leva di potere geoeconomico.
Gli Usa partono avvantaggiati grazie ai loro colossi tecnologici di cloud & data service (Google, Microsoft, Oracle), produzione GPU (Nvidia), modelli AI (Open AI, Google, Meta), ma dipendono comunque dall’Asia per le materie prime: dalla Cina per l’80% dei minerali critici, mentre per circa il 92% dei chip più avanzati da Taiwan, fattore di forte vulnerabilità in caso di crisi nell’area. Non da meno le dipendenze strategiche dell’Ue, con Taiwan che rappresenta al 2023 il 22% delle importazioni extra-UE totali, seguita da Malesia (16%), Cina (14%) e Corea del Sud (7%).
I piani e le policy
Per ridurre i rischi sistemici, Washington e Bruxelles hanno inizialmente varato piani (i Chips Act americano del 2022 ed europeo del 2023) per rafforzare la produzione interna di semiconduttori: gli Usa hanno previsto un budget totale di circa 280 miliardi di dollari destinati a ricerca, crediti d’imposta e produzione di semiconduttori, mentre l’Ue sta mobilitando fino a 43 miliardi di euro entro il 2030, combinando fondi pubblici e investimenti privati, destinati a progetti di ricerca e piattaforme di progettazione avanzata.
Nel 2025, con l’evoluzione dell’AI, c’è stata una significativa accelerazione a livello di policy. Gli Usa hanno annunciato ad inizio anno due grandi iniziative: un maxi-piano di investimenti da 100 miliardi di dollari con Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, il principale produttore mondiale di semiconduttori localizzato a Taiwan) per la costruzione di 5 nuovi stabilimenti produttivi in Arizona; l’avvio del progetto Stargate, un consorzio guidato da OpenAI e finanziato da SoftBank per investire 500 miliardi di dollari in nuovi data center negli Stati Uniti nei prossimi 4 anni, con partner tecnologici come Microsoft, Arm, Nvidia e Oracle. A ruota, nello stesso periodo l’Ue ha lanciato InvestAI, un’iniziativa da 200 miliardi di euro volta a rafforzare le potenzialità europee nell’Intelligenza Artificiale attraverso la creazione di 4 gigafactories per l’AI, ognuna dotata di circa 100.000 chip avanzati. Tuttavia, l’Europa, a differenza degli Usa, sconta l’assenza di grandi player privati digitali e un mercato unico non ancora del tutto “integrato”.
La Cina, con i suoi campioni tecnologici nazionali (Baidu, Alibaba, Huawei), l’elevata domanda interna ed estera e le sue risorse naturali, investe somme ingenti per colmare il gap tecnologico con l’Occidente: un piano governativo del 2023 ha mobilitato 1,5 trilioni di yuan (circa 220 miliardi di dollari) in ricerca AI e chip domestici entro il 2030. Pechino può inoltre contare su un’enorme industria nazionale incentrata sull’AI, con oltre 4.400 aziende e startup attive nel settore, facendo concorrenza all’Occidente sull’efficienza e le dinamiche di prezzo. Ne è la prova il rilascio, ad inizio 2025, di DeepSeek R1, un modello Llm open-source sviluppato da DeepSeek AI che si distingue per l’ottimo rapporto tra performance e costo computazionale, con livelli di efficienza paragonabili o superiori a modelli AI occidentali più affermati.
Sul piano normativo, invece, l’Ue ha anticipato tutti con l’AI Act nel 2024, imponendo obblighi di trasparenza e rispetto della privacy. Gli Stati Uniti, al contrario, mantengono un approccio più laissez-faire: solo linee guida etiche. La Cina ha emanato, invece, regole rigide che subordinano l’AI ai dettami politici dello Stato.
Il “colonialismo digitale”
Ognuno dei 3 blocchi continentali, dunque, ha i suoi punti di forza e di debolezza. Gli Stati Uniti possono contare su un ecosistema di innovazione senza pari, ma restano vulnerabili per le dipendenze esterne (ad esempio i chip asiatici), motivo per cui guardano con interesse crescente a Groenlandia e Ucraina per l’approvvigionamento di risorse critiche. La Cina dispone di un mercato enorme e una strategia di Stato chiara, ma è penalizzata dal ritardo nei semiconduttori di fascia alta e dai vincoli di un ecosistema chiuso. L’Ue vanta una forte capacità regolatoria e competenze industriali in settori di nicchia, ma investe meno dei rivali e soffre la frammentazione interna degli Stati nazionali, rischiando di restare indietro nell’autonomia tecnologica.
Per le imprese italiane (e anche per quelle varesine) questo scenario presenta opportunità e rischi. Da un lato l’accesso a tecnologie AI sempre più avanzate, spesso sviluppate fuori Europa, potrà migliorare produttività e competitività. Dall’altro, le aziende dovranno adeguarsi a standard e vincoli geopolitici, ad esempio rispettando le norme Ue, ma operando così in condizioni asimmetriche rispetto ad altre aree del pianeta. L’Intelligenza Artificiale ha trasceso la dimensione puramente tecnologica per diventare un terreno di scontro geopolitico che ridefinisce gli equilibri di potere globali. Stiamo assistendo all’emergere di un nuovo “colonialismo digitale”: al posto del libero scambio, prevale la corsa al controllo di risorse critiche (chip, dati, acqua, terre rare) e del progresso tecnologico, delineando nuove zone d’influenza digitali in un quadro multipolare. Le dipendenze asimmetriche nelle catene globali del valore diventano vere e proprie armi di pressione geopolitica, mentre ogni blocco protegge il proprio ecosistema tecnologico con misure sempre più protezionistiche. Chi non vuole restare subordinato, dovrà muoversi con lungimiranza, bilanciando cooperazione e tutela dei propri interessi.
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