Un declino lento ma allarmante. In Sicilia l’artigianato è a rischio estinzione e tanti settori portanti per l’economia continuano a perdere manodopera e imprese.
La manifattura Made in Italy sta collassando su se stessa. Un declino silenzioso, lento e a tratti inesorabile. Frutto, talvolta, della mancata disponibilità degli artigiani alla digitalizzazione e all’innovazione della propria realtà. Ma dovuto anche a gap logistici e generazionali.
E il tracollo, numeri alla mano, risulta imponente. Perché l’Italia ha perso oltre 59.000 imprese manifatturiere in soli cinque anni. A scomparire è stata un’azienda su dieci. Secondo i dati di InfoCamere, tra il 2019 e il 2024 il numero di imprese nel settore manifatturiero è passato da 556.188 a 497.423 aziende: una riduzione superiore al 10,6%.
Le cause di questa crisi, come detto, sono molteplici. Innegabile l’impatto della pandemia da COVID-19. Non meno invasivo l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, insieme a una pressione fiscale divenuta insostenibile per le Pmi. E poi ancora le tensioni geopolitiche in atto, come la guerra in Ucraina, la crisi con la Russia e l’importazione a costi stellari dagli Stati Uniti. Aspetti che hanno messo a dura prova il comparto e numeri che in prospettiva potrebbero ulteriormente peggiorare, soprattutto se i dazi di Trump, da minacce e boutade propagandistiche, dovessero divenire realtà nel corso della sua amministrazione.
Manifattura Made in Italy in crisi, i dati
Tra i settori Made in Italy andati a picco, la moda è quello messo peggio nel quinquennio preso in analisi da InfoCamere: perse 15.381 imprese. Seguono nella poco invidiabile classifica le imprese che si occupano della fabbricazione di prodotti in metallo (oltre 9.000 chiusure). E poi ancora il settore tessile con 2.986 serrate e l’industria alimentare, con quasi 4.000 fallimenti.
Parallelamente, l’artigianato italiano ha subito una contrazione significativa. Tra il 2011 e il 2021, secondo uno studio di Unioncamere e InfoCamere, sono scomparse 170.000 imprese artigiane, con una diminuzione dell’11,7%. Le ditte individuali, che rappresentano oltre l’80% del comparto, hanno registrato perdite maggiori (-12,1%).
Il ricambio generazionale rappresenta una delle sfide principali: negli ultimi dieci anni, le imprese guidate da under 30 sono infatti diminuite del 41,9%, mentre quelle condotte da over 70 sono aumentate del 47%, con punte superiori al 50% nel Mezzogiorno. Tradotto: l’Italia non è un Paese per giovani, che preferiscono abbandonare il lavoro delle loro famiglie e scegliere altri percorsi professionali. Per vocazione, ma spesso anche per esigenza economica. Perché quello che un tempo bastava per mantenere uno stile di vita tranquillo, oggi non è più sufficiente a tratti neppure per la sopravvivenza.
In Sicilia un patrimonio artigianale a rischio
Non è un caso se molti mestieri artigianali tradizionali siano in via di estinzione. La lavorazione del legno, la ceramica, la sartoria su misura, la produzione di calzature artigianali e la lavorazione del ferro battuto sono solo alcuni esempi di attività in declino.
La concorrenza del commercio elettronico e la preferenza dei consumatori per prodotti industriali a basso costo, spesso provenienti dal Sud-est asiatico o dal Nord Africa, hanno contribuito a gonfiare questa tendenza. Ma mancano soprattutto i giovani disposti a intraprendere i mestieri dei propri nonni.
In Sicilia, la situazione è particolarmente preoccupante. Secondo i dati di Unioncamere e InfoCamere, tra il 2011 e il 2021, il numero di imprese artigiane è diminuito del 17%, passando da 71.967 a 59.689. Un’analisi dei dati più recenti rivela un sistema produttivo estremamente polarizzato, strutturalmente fragile e fortemente dipendente da poche filiere trainanti.
La regione ha perso oltre 12.000 aziende artigiane in dieci anni. I settori più colpiti includono la ceramica di Caltagirone, la lavorazione del corallo a Trapani, la produzione di oggettistica tipica siciliana e la tessitura tradizionale.
Nel solo 2024, la Sicilia ha perso 7.600 imprese. Colpiti in particolare i settori di commercio, agricoltura, industria ed edilizia. Il commercio, da solo, ha visto sparire oltre 5.300 imprese, un dato allarmante nonostante un leggero aumento delle nuove iscrizioni presso le locali camere di commercio.
La crisi dell’artigianato non è limitata alla Sicilia. Altre regioni del Mezzogiorno hanno registrato cali significativi: l’Abruzzo ha perso il 21% delle imprese artigiane, la Sardegna il 18% e la Basilicata il 17%, sempre secondo Unioncamere. Alcune regioni del Nord hanno invece mostrato una maggiore resilienza, grazie a politiche di sostegno e la propensione all’innovazione. Come il Veneto, che ha investito nella digitalizzazione delle imprese artigiane, o l’Emilia-Romagna, che ha promosso la formazione professionale per i giovani. Per quel ricambio generazionale in assenza del quale le imprese siciliane rischiano di avere vita breve.
Palermo e Catania: il baricentro produttivo
Il cuore manifatturiero della Sicilia pulsa principalmente nelle aree metropolitane di Palermo e Catania, che da sole concentrano il 44,2% delle imprese manifatturiere e il 40,9% degli addetti del settore. La concentrazione di competenze, servizi e capitali nelle aree urbane va però a scapito delle zone interne e periferiche. Una dinamica che da un lato agevola le economie di agglomerazione, ma dall’altro accentua i divari territoriali.
Il tessuto produttivo siciliano è molto frammentato: il 92,3% delle imprese manifatturiere presenta meno di 10 addetti, contro una media nazionale dell’81,7%. Questa iper-polarizzazione verso la micro-imprenditorialità si traduce in minore competitività, difficoltà ad accedere a finanziamenti, scarsa propensione all’innovazione e minore capacità di affrontare i mercati internazionali.
Il risultato è un sistema produttivo che fatica a fare rete e talvolta a sfruttare le opportunità della digitalizzazione e della transizione ecologica. Le piccole dimensioni, infatti, limitano spesso la possibilità di investire in tecnologie avanzate, formazione del personale e processi di internazionalizzazione.
L’export “drogato” dall’oro nero
A sostenere la bilancia commerciale regionale è soprattutto l’industria petrolifera, che nel 2022 ha rappresentato il 71% dell’export manifatturiero della Sicilia, registrando un +90% rispetto al 2021 e un impressionante +112% rispetto al 2019. La provincia di Siracusa emerge come epicentro di questo fenomeno, con una crescita media ponderata del 26,7% nelle esportazioni tra il 2019 e il 2022 e un +79,3% solo nel 2022. Un risultato che pone la Sicilia in una condizione di elevata dipendenza da un settore altamente vulnerabile, soggetto a rischi ambientali e fluttuazioni dei mercati energetici internazionali.
Manifattura Made in Italy ancora resiliente, i segnali
Nel secondo trimestre del 2024, l’industria siciliana ha registrato un lieve calo dello 0,03%, ma mantiene un peso importante nell’economia regionale, con oltre 29.000 imprese attive. In parallelo, settori come turismo, servizi, costruzioni e agricoltura mostrano segnali di vitalità, contribuendo a un parziale riequilibrio della composizione economica dell’isola.
Secondo i dati dell’ultimo rapporto Ismea, nel quarto trimestre 2024 migliora la bilancia commerciale. Le esportazioni italiane di alimenti e bevande nel 2024 sono infatti aumentate del 7,5% rispetto al livello del 2023. Numeri che valgono la cifra record di 70 miliardi di euro: una performance migliore rispetto alle vendite complessive rimaste per lo più ferme sul livello del 2023.
A crescere del 7,2% anche le importazioni agroalimentari, a fronte di un calo del 3,9% delle totali nazionali. I dati evidenziano in generale che nel 2024 l’industria agroalimentare se la passa meglio di quella manifattura nel 2024, con un’annata molto favorevole per la produzione di frutta, ortaggi freschi e vino. Sempre in tema di export, registrata invece una flessione per cereali, olio d’oliva e foraggi.
Il sistema produttivo siciliano si trova a un bivio. Incentivare i processi di aggregazione tra imprese, potenziare la formazione professionale e manageriale, facilitare l’accesso al credito e all’innovazione tecnologica e puntare su settori a maggior valore aggiunto, come agroalimentare, tecnologie verdi e manifattura avanzata, potrebbero essere alcune delle ricette per uscire dall’impasse.
Il futuro della manifattura siciliana dipenderà dalla capacità del sistema produttivo di uscire dalla sua frammentazione e di diventare più resiliente, sostenibile e competitiva, supportata da una strategia regionale mirata, che sappia coniugare tradizione e innovazione, valorizzando i punti di forza e superando le storiche criticità strutturali e logistiche dell’Isola.
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