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Moda & Sostenibilità: le politiche dell’Unione Europea


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Vestire l’Europa. Le politiche UE spingono l’industria della moda verso la sostenibilità. Articolo di Aurora Magni, giornalista ed autrice di studi e ricerche su sostenibilità nell’industria tessile e della moda.

Negli ultimi anni il sistema moda è stato al centro di importanti cambiamenti, ma il percorso, a detta di molti, è solo all’inizio. Non vi è dubbio che l’accelerazione registrata su temi quali la sicurezza chimica, la gestione della supply chain o l’adozione di pratiche di economia circolare sia dovuta in particolare alle politiche legislative della UE. Tuttavia, ci piace pensare che negli anni sia maturata una nuova sensibilità nelle imprese, interessate come mai in passato a usare contenuti di sostenibilità per differenziare e valorizzare le proprie proposte in un mercato in cui le pressioni dei grandi player asiatici si fanno sempre più aggressive.

La recente storia del sistema moda ne è la prova. Dall’impegno per la sicurezza chimica di prodotti e processi andando ben oltre le richieste del regolamento Reach, all’adozione di scelte strategiche per realizzare prodotti a ridotto impatto e coerenti con gli impegni di decarbonizzazione dichiarati nei bilanci di sostenibilità.

La politica UE per la transizione della moda verso modelli di responsabilità ambientale e sociale, trova quindi un terreno culturale non insensibile agli obiettivi posti per quanto non manchi nelle imprese preoccupazione in particolare in un momento in cui il mercato subisce le flessioni delle crisi geopolitiche, delle politiche dei dazi e di una generalizzata riduzione del potere d’acquisto dei consumatori.

Gli ultimi quindici anni sono stati una buona palestra per le imprese. Hanno imparato a giostrarsi nel complicato mondo delle certificazioni, investito in tecnologie guardando meno alla resa produttiva e più alla versatilità delle macchine e ai consumi di acqua ed energia e convinto i consumatori che riciclato è meglio di vergine e che anche il cotone può essere biologico.

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Le scadenze per un salto di qualità.

Quello che la UE chiede è in realtà la messa a regime di una serie di approcci che il settore ha in parte già adottato “volontariamente” affinché si affrontino in modo sistematico le aree di intervento indicate nella Risoluzione del Parlamento europeo del 1° giugno 2023 sulla strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari e riassunte nei punti: Circolarità fin dalla progettazione, Rifiuti tessili e responsabilità estesa del produttore, Trasparenza e tracciabilità, Dovere di diligenza ed equità sociale.

Il tutto, con un duplice obiettivo: ridurre l’impatto ambientale del sistema e porre le basi per il superamento della fast fashion indicato come modello produttivo, distributivo e di consumo responsabile di gravi criticità ambientali e sociali. Il passaggio successivo è la traduzione dei princìpi in regolamenti o direttive senza comunque dimenticare, si sottolinea nel documento, la necessità di «incentivare lo sviluppo di processi che richiedano un minore consumo di energia e di acqua e che evitino l’uso e il rilascio di sostanze nocive» e quindi «l’importanza della ricerca e dell’innovazione».

Dalle strategie volontarie alla regolamentazione.

Mentre negli USA il presidente Trump ha lanciato un piano di deregolamentazione in relazione alle politiche ambientali (dall’uscita dell’Accordo di Parigi al drastico ridimensionamento dell’EPA, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, per citare solo due delle molteplici iniziative intraprese), la UE conferma la sua road map verso la decarbonizzazione seppure con qualche segnale di ridimensionamento degli obblighi a carico delle imprese come nel caso del pacchetto “Omnibus” recentemente approvato nell’ambito del Clean Industrial Deal (che ha, tra le varie iniziative, ristabilito l’obbligo di rendicontazione della sostenibilità ambientale alle imprese di grandi dimensioni), e della direttiva relativa al controllo del rispetto delle norme socio-ambientali lungo tutta la catena del valore. Restano però confermate altre azioni e scadenze che chiamano in causa direttamente il sistema tessile/moda.

Partiamo dal tema che è forse il fil rouge della transizione ecologia: l’assunzione di pratiche di circolarità lungo il ciclo di vita del prodotto. L’obiettivo trova una prima formulazione nella direttiva 851/2018 che impegna i territori a dotarsi di sistemi di raccolta e riuso/riciclo dei rifiuti tessili post consumo e introduce il concetto di responsabilità estesa del produttore, ora di fatto coinvolto nella gestione del prodotto una volta giunto a fine vita. Da qui, l’avvio di consorzi che aggregano imprese impegnate a realizzare iniziative di rigenerazione dei rifiuti tessili mettendo a disposizione oltre alle proprie competenze il sostegno economico derivato dall’eco contributo, la maggiorazione di costo dell’articolo che consentirà al consorzio di attuare le attività concordate.

Mentre scriviamo, alcuni consorzi, contando sull’adesione di brand e aziende di confezioni, sono di fatto pronti per l’operatività ma si è in attesa che il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase) definisca il decreto attuativo mentre sul fronte UE si è attende che Consiglio e Parlamento UE approvino il testo di accordo sulla revisione della direttiva quadro sui rifiuti dedicato al cibo e ai prodotti tessili. Una volta adottato formalmente, gli Stati membri dell’UE avranno fino a 20 mesi per aggiornare le proprie leggi nazionali per conformarsi alle nuove norme.

Tutto parte dalla progettazione.

Se la gestione dei rifiuti tessili (post consumo ma anche di quelli derivati dalle eccedenze di produzione, dall’invenduto, dai resi dell’e-commerce, oltre agli scarti/sfridi di produzione) è certamente un problema di complessa soluzione, è necessario prevenirne la formazione agendo sui sistemi produttivi-distributivi, sui comportamenti d’acquisto dei consumatori, ma anche sulle qualità stesse dell’articolo. Quest’ultimo deve infatti essere progettato per durare a lungo, per poter essere riparato e infine riciclato una volta giunto a fine utilizzo. Deve inoltre contenere, dove possibile, materiale da riciclo in alternativa a quello vergine. È questo uno dei concetti base espressi nell’Ecodesign for Sustainable Products Regulation – ESPR, pubblicato in Gazzetta ufficiale europea il 18 luglio 2024 e in attuazione del quale la Commissione europea si accinge ad approvare gli atti delegati che conterranno le caratteristiche specifiche di progettazione con particolare attenzione ai prodotti tessili sui quali si attende una stringente regolamentazione.

Anche in questo caso il passaggio dall’adozione volontaria di criteri all’obbligatorietà è chiaramente espresso dal regolamento, laddove si precisa che gli operatori devono garantire la conformità dei prodotti ai requisiti di progettazione ecocompatibile, fornire informazioni dettagliate sugli stessi e adottare misure per evitare la distruzione dei prodotti invenduti. Devono inoltre mantenere la documentazione tecnica e collaborare con le autorità di vigilanza del mercato. Non è chiaro se sarà sufficiente documentare la conformità delle attività progettuali -e quindi del prodotto- con i requisiti richiesti o se l’azienda dovrà aspettarsi ispezioni e verifiche da parte di soggetti delegati. Caratteristica chiave del capo oggetto di ecoprogettazione è comunque la sua durata, anche se non è ancora noto quali criteri di misurazione potranno essere adottati per certificarla (numero massimo di lavaggi? Prove di rottura e usura? Formazione del pilling?).

Di queste ed altre caratteristiche dovrà essere informato il consumatore che potrà quindi usare le informazioni per acquistare in modo consapevole, per gestire al meglio il capo, ad esempio durante le operazioni di lavaggio e stiro e possibilmente assicurargli una seconda vita. Tutto questo dovrà essere contenuto in un “passaporto digitale” da applicare sull’articolo e consultabile ad esempio mediante QR code… Continua a leggere gratis l’articolo su L’ECOFUTURO MAGAZINE

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