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Sostenibilità per imprese e rivoluzioni dal basso parla Cristina Mollis


Si parte dalla pulizia della casa e della persona e attenzione a dire che è poco: l’impatto dei singoli può essere enorme

 

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Quando parla Cristina Mollis ha un accento bergamasco che non lascia dubbi sulle sue origini e un fare molto concreto: per lei la sostenibilità è una cosa pragmatica, è nelle azioni. Con un passato da esperta nelle transizioni digitali di grandi aziende, Mollis è la fondatrice dell’azienda The Okapi Network, una famiglia di marchi progettati sul digitale e sulla sostenibilità. Il primo marchio di questa famiglia è R5 Living, che sviluppa prodotti della cura della persona e della casa a basso impatto: significa, per esempio, bagnoschiuma solido, sgrassatore concentrato, ecopastiglie per lavastoviglie.

Nata a Bergamo meno di tre mesi prima dello scoppio della pandemia e con solo quattro prodotti, The Okapi Network ha la sua sede operativa a Roma, negli spazi di Talent Garden. Ora conta 5 dipendenti e clienti in tutta Italia: “la sostenibilità è trasversale” commenta l’imprenditrice.

Nel presentare la sua creatura, ha sempre dati a portata: necessari per chi tiene in mano un’azienda, ma anche l’arma di chi prova a mettere in atto un cambiamento che incontra la resistenza della tradizione: “c’è un po’ nel retrocranio la percezione che un prodotto green non pulisce altrettanto bene” constata Mollis, che Ambient&Ambienti ha intervistato.

Mollis: “Concentriamoci sul concentrato”

“Noi vogliamo trasformare questo settore andando veramente all’osso, facendo viaggiare solo quello che è necessario, cioè la parte concentrata e introdurre il concetto della borraccia ricaricabile”

Come descriverebbe la sua azienda in due parole?

«Allora, due parole sono pochissime, però la metterei così: siamo nati con l’obiettivo veramente specifico di rivoluzionare questo settore, quello della detergenza per la casa e della persona. Quando noi compriamo un prodotto detergente per la casa, ma anche un bagnoschiuma, uno shampoo, in realtà solo il 5-10, se esageriamo il 15% di quello che compriamo è veramente detergente. Il resto è acqua che viaggia in un flacone di plastica. La maggior parte delle volte usa e getta.

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Se andiamo a guardare i dati mondiali della plastica, ogni anno ne produciamo 400 e passa milioni, di cui il 40% è per i packaging usa e getta. Cioè alla fine quello shampoo, col barattolo, noi lo buttiamo. Poi a livello mondiale viene riciclata veramente pochissima plastica, solo tra il 9 e il 15%. Ma oltretutto quel flacone lì pesa tantissimo perché all’80-90% è pieno di acqua e trasportare cose pesanti ovviamente contribuisce all’emissione di maggiore CO2. È anacronistico se ci pensiamo, al giorno d’oggi che abbiamo l’acqua potabile da rubinetto.

Quindi noi vogliamo trasformare questo settore andando veramente all’osso, concentrandoci sul concentrato, facendo viaggiare solo quello che è necessario, cioè la parte concentrata e introdurre il concetto della borraccia ricaricabile. Il flacone, cioè, lo compri una volta sola. Tutti ci dicono che la plastica non si biodegrada mai, no? Ci mette 400 anni, e allora facciamola durare 400 anni. Compriamo solo la ricarica e poi usiamo la borraccia ricaricabile aggiungendo acqua del rubinetto.

Quello che noi ci stiamo impegnando a fare è veramente far capire che esiste un modo di produrre e di consumare diverso che con un piccolo gesto, perché poi alla fine cosa chiediamo in più? Versare una ricarica con un po’ di acqua. Si può davvero fare la differenza».

Ridurre al minimo l’impatto? Si può fare

Avete misurato l’impatto dell’uso dei vostri prodotti?

«L’altro anno abbiamo preso i nostri clienti medio alti – non quelli altissimi, cioè i super fan, diciamo quelli medio alti come numero di riacquisti – e abbiamo misurato su alcuni il loro impatto in termini di diminuzione di CO2 e di plastica usata. Una nostra cliente in 18 mesi ha risparmiato 10 kg di plastica e 30 kg di CO2  equivalente. Immagini un flacone vuoto pesa 75-100 g, per cui 10 kg di plastica son tantissimi, che a pensarci che uno, da solo, switchando a un modello di ricariche sui prodotti per la casa, può avere un impatto talmente grande, non ce ne si rende conto, no?»

Sviluppi futuri?

«Noi abbiamo iniziato a lavorare anche in biotecnologia dal 2023. La biotecnologia riguarda l’utilizzo dei batteri, quindi dei microrganismi, che sì si allevano, ma non è che tiri giù le foreste per farlo. Quindi questo ci permette di avere formulazioni ancora più basso impatto. Abbiamo un piano al 2028 di avere sicuro il 50% – in realtà puntiamo ad avere il 70% degli ingredienti derivanti da scarti di lavorazione. Già oggi, per esempio, nelle nostre ricariche dei prodotti abbiamo fino quasi 50% di materia di ingredienti che arrivano dagli scarti delle lavorazioni, del mais, della barbabietola, della canna da zucchero: non sono state prodotte appositamente per diventare prodotti detergenti, ma sono l’ultimo pezzo dello scarto delle lavorazioni agricole, no?

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Quindi il nostro obiettivo è continuare a formulare in maniera super efficace. Noi usciamo sul mercato solo quando siamo efficaci come i prodotti tradizionali, ma nel farlo, oltre aver tolto la plastica e l’acqua, usare sempre di più ingredienti da riciclo o ingredienti che provengono dalla biotecnologia, sempre per ridurre al minimo l’impatto».

 

“Sostenibilità, opportunità di innovazione pazzesca”

Lei ha un passato nel digitale. La vocazione per la sostenibilità da dove arriva?

«Allora, questa per me c’è da sempre: da litigi con i miei genitori quando ero piccola, sullo spegnere le luci, chiudere il rubinetto… c’è sempre stata. Io sono una grande amante degli animali, grande amante della natura in generale. Poi dal 2015 ho iniziato a studiare molto i temi della sostenibilità, un po’ per passione, un po’ perché mi occupavo di cambiamenti di modelli di business.

Il digitale ci ha trasformato tante cose, però si è innestato su un’economia che continua a essere lineare. Facciamo alcune cose molto più velocemente, però sempre produciamo, sempre consumiamo, sempre produciamo rifiuti, eccetera. L’economia circolare invece ti pone davanti a un salto di paradigma pazzesco. Perché tu devi progettare quel prodotto sapendo già che a fine vita lo devi smontare, che quello che smonti può ridiventare materia prima seconda, e che magari ti permette di passare da un’economia che era pura di prodotto a un’economia di servizio.

Se io progetto diversamente, per far durare il prodotto il più possibile (e magari un giorno speriamo i produttori diventino responsabili anche dello smaltimento), allora posso cambiare completamente i processi, no? E il digitale diventa una leva per misurare e per monitorarli. Per cui io penso che la sostenibilità, al di là di fare bene al mondo, sia un’opportunità di impresa, di innovazione pazzesca. Solo che tanti la vedono ancora come costo, no? Ma in realtà ti permetterebbe di avere anche la scusa per cambiare il tuo modello di business. È appassionante, secondo me. E poi ti dà un senso più grande dell’impresa, cioè sapere che tu puoi contribuire a far bene. Anche quando le giornate sono non proprio meravigliose comunque c’hai un senso più grande. Che è bellissimo».

Il potere dei piccoli produttori è fortissimo per sostenere i prodotti green

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La sua azienda punta sulle azioni dei singoli per una vita più sostenibile. Secondo lei qual è il potere e il peso della scelta individuale nel momento in cui i/le leader, nazionali e globali, ignorano – o peggio negano – il cambiamento climatico?

«Mamma mia, su questa domanda potrei tenere un comizio. Perché secondo me sia a livello globale, ma anche a livello nazionale siamo messi male su questi temi.

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In Italia siamo messi malissimo, è una vergogna assoluta. Soprattutto per l’Italia, con le risorse e i limiti che ha, puntare sulla sostenibilità – su tutti i settori – sarebbe una roba incredibile. Detto questo, proprio perché siamo in un momento tragico da questo punto di vista, il potere dei singoli è fortissimo. Noi abbiamo una sorta di motto che diciamo sempre: le grandi rivoluzioni partono dai piccoli gesti quotidiani; ed è vero, no?

Quando abbiamo fatto il calcolo sui singoli i numeri sono veramente grandi, per cui il potere dei singoli su questa cosa è fortissima. È fortissima. Chi lavora sulla sostenibilità, non solo noi come R5, ma diciamo tutte le aziende nel settore, deve però garantire una qualità altissima, soprattutto nell’ambito dei detergenti. C’è un po’ nel retrocranio la percezione che un prodotto green non pulisce altrettanto. Questo non è vero. Se si formula bene si danno dei risultati incredibili. Quindi noi dobbiamo garantire qualità altissima, ma poi i singoli quando vedono la differenza secondo me possono fare la grande rivoluzione e messi come siamo messi adesso a livello italiano e globale non ci resta che combattere noi piccoli, e boicottare gli altri, le grandi multinazionali».





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