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Giubileo lavoratori. Di Bella: “Per combattere la piaga degli infortuni ci vogliono determinazione e investimenti”


Per il presidente dell’Anmil serve una “rivoluzione”: “Istituire una Procura nazionale del lavoro, aumentare significativamente il numero di controlli nelle aziende, inasprire realmente le pene per chi mette il profitto al di sopra della vita umana, contrastare con ogni mezzo il lavoro sommerso, investire massivamente sulla formazione”

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(Foto: ANSA/SIR)

Il lavoro è uno degli aspetti fondamentali per la vita dell’uomo, eppure troppo spesso diventa il luogo dove la vita si perde. Nel 2024 in Italia vi sono stati 589.571 infortuni sul lavoro totali (+0,7% se paragonati al 2023), mentre i casi mortali hanno coinvolto 1.090 lavoratori (+4,7% rispetto all’anno precedente). Per quanto riguarda le malattie professionali, si sono registrate nello stesso periodo 88.499 denunce (che sono aumentate del 21,6% rispetto al 2023). In occasione del Giubileo dei lavoratori ne parliamo con il presidente dell’Anmil-Associazione nazionale fra lavoratori mutilati ed invalidi del lavoro, Antonio Di Bella.

(Foto Anmil)

Come combattere la piaga degli infortuni, mortali e non, sul lavoro?

Bisogna avere il coraggio di guardare con occhi nuovi la drammaticità dell’insicurezza nei luoghi di lavoro nel nostro Paese e affermare che quello che sino ad ora è stato fatto non è da considerarsi neanche lontanamente abbastanza. Combattere la piaga degli infortuni sul lavoro significa concentrare ogni risorsa possibile in tale battaglia: istituire una Procura nazionale del lavoro, aumentare significativamente il numero di controlli nelle aziende, inasprire realmente le pene per chi mette il profitto al di sopra della vita umana, contrastare con ogni mezzo il lavoro sommerso, investire massivamente sulla formazione. Insomma, una rivoluzione che sino ad ora è stata più volte annunciata ma mai realmente iniziata.

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Quali sono i maggiori problemi per i quali non si riesce a fermare questa strage?

Il problema principale è ormai culturale.

Nel nostro Paese siamo in balìa del “qui funziona così” da troppi anni e questo mantra ci è ormai entrato nell’animo. Quest’anno il nostro Paese si colloca al 22° posto su 34 Paesi Ocse per salari medi annuali, continuando a scendere in classifica rispetto all’anno passato. È un circolo vizioso. Il non adeguamento dei salari al tenore di vita e alla capacità di acquisto porta ogni cittadino, anche quelli con livelli di istruzione medio-alta, ad accettare compromessi che ledono la dignità del lavoro. Figurarsi cosa voglia dire questo per un operaio, per un lavoratore precario, per chi piuttosto che non portare uno stipendio a casa accetta condizioni di lavoro ad altissimo rischio. Fermare questa strage vuole dire riprogrammare la nostra fiducia nel sistema del lavoro e il punto di partenza è sicuramente investire nella formazione delle nuove generazioni.

Quali sono i settori lavorativi più a rischio? La piaga del lavoro nero accresce il rischio di incidenti sul lavoro?

Edilizia e agricoltura si confermano i settori con il più alto rischio di infortunio. E sono proprio questi due settori gli scenari lavorativi più strettamente legati al dramma del sommerso.

Voglio ricordare che la sconvolgente stima dei “3 morti al giorno sul lavoro” che contiamo nel nostro Paese è approssimata per difetto.

Il lavoro nero nasconde altre invalidità permanenti, altri padri e madri di famiglia che non fanno ritorno a casa, altri orfani che non avranno mai risposte dalla giustizia. A questi settori si aggiungono i lavoratori su piattaforma, veri e propri fantasmi nel sistema della Gig Economy in cui siamo tutti pienamente coinvolti e partecipi in qualità di consumatori. È una sconfitta per l’intero sistema Paese.

Cosa chiedete alla politica per invertire la rotta?

Alla politica chiediamo determinazione e investimento.

Le leggi ci sono, chiediamo di applicarle. Chiediamo di tramutare il cordoglio che viene espresso quotidianamente in azione. Crediamo fermamente che il coordinamento delle indagini relativo agli infortuni sul luogo di lavoro debba essere affidato ad una Procura nazionale del lavoro capace di concentrare reali competenze nei procedimenti per i reati in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e rispondere all’urgenza di una giustizia uguale per tutti, che sia temuta da quanti continuano a lucrare sulla mancanza di sicurezza dei nostri lavoratori. Oggi non è così.

Cosa serve per promuovere, anche tra i datori di lavoro e gli stessi lavoratori, una nuova cultura del lavoro che si traduca pure in sicurezza, prevenzione e formazione?

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Serve una rivoluzione culturale. Serve un investimento massivo per scavalcare il sistema attraverso una formazione continua e obbligatoria e serve che i datori di lavoro di qualsivoglia natura si sentano imperativamente tenuti ad attuarla. Il problema è che il lesinare nella sicurezza dei lavoratori è oggi un crimine che non appartiene più solamente al mondo del sommerso ma che è visibile da tutti noi alla luce del giorno. Le aziende virtuose nel nostro Paese ci sono e sono tante ma non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia non denunciando che la più parte del lavoro “precario”, che sia nei settori già descritti o nel mondo dei “nuovi lavori” su piattaforma, sia alla mercé dell’assenza di normative che tutelino la salute e la sicurezza dei dipendenti. Bisogna mettere i lavoratori nelle condizioni di dire no.

Quando succede un incidente sul lavoro mortale o anche grave pure la famiglia è coinvolta: c’è oggi un sostegno sufficiente per le famiglie?

No. Quello di chi resta è un dramma nel dramma della morte nell’esercizio del proprio mestiere. L’Anmil è composta da invalidi del lavoro e superstiti sia nell’universo dei suoi associati sia nei suoi organi associativi. Tutelare chi rimane: vedove e vedovi, orfani, genitori, compagni di lavoro dovrebbe essere lo specchio più cristallino dello Stato sociale ma così non è. Al dolore straziante subìto dalla perdita del proprio caro si aggiungono un carico burocratico, un’insufficienza di corrispettivo negli importi delle rendite e un sistema di svolgimento dei processi per le morti sul lavoro che sono carenti sotto ogni punto di vista. Basti pensare che la più parte delle vittime si ritrova ad affrontare autonomamente le spese processuali per il proprio infortunio auspicando di non arrivare, date le lungaggini della nostra giurisdizione, alla prescrizione. Chi resta realmente vicino ai superstiti sono le realtà del Terzo Settore, come la nostra. Ma le risorse sono sempre meno così come la semplificazione burocratica e il supporto. Chi rimane ha bisogno di ricostruire la propria vita sotto ogni aspetto: economico, psicologico, lavorativo. Noi ci siamo, siamo all’ascolto e ci adoperiamo con ogni mezzo per offrire formazione gratuita, sostegno psicologico attraverso collaborazioni come quella – in fase di rinnovo – con il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, programmi di reinserimento e supporto legale, ma tutto questo ha bisogno di un appoggio normativo ed economico che, ad oggi, lo Stato dimentica di fornire.

Come insegnare anche ai giovani una cultura del lavoro che sia rispettosa della dignità della persona? È necessaria un’educazione anche nelle scuole in tal senso?

L’Anmil si impegna da decenni sul tema della diffusione della cultura della sicurezza nelle scuole. Possiamo realmente asserire che ne facciamo la nostra principale azione e rivendicazione e questo in virtù della convinzione che per rivoluzionare il sistema bisogna agire sulla costruzione di nuove coscienze, una nuova fiducia. Il riscontro da parte dei più giovani alle nostre iniziative di sensibilizzazione è forte ma ha bisogno di non rimanere un happening nel loro percorso, deve altresì essere parte integrante di quel percorso. Il prossimo anno scolastico vedrà l’inserimento, nelle 33 ore annuali di educazione civica, dell’insegnamento della salute e della sicurezza sul lavoro grazie all’approvazione in via definitiva della legge 17 febbraio 2025 n.21 nelle scuole di ogni ordine e grado. La riteniamo un’occasione reale per iniziare un dialogo costante con le nuove e nuovissime generazioni, un’occasione che non deve per nessuna ragione essere gestita con superficialità e speriamo sinceramente di poter fare il nostro per supportarla con ogni mezzo a disposizione. All’interno dell’articolo 1 della legge, grazie all’approvazione di un nostro emendamento, è stato inserito l’utilizzo di testimonianze di vittime di infortuni sul lavoro per rafforzare l’efficacia dell’insegnamento della nuova materia. Siamo certi che il coinvolgimento che le reali storie di vite minate dall’insicurezza sul lavoro può suscitare nei giovani, ancora inesperti, sia uno strumento decisivo per la formazione di una nuova coscienza collettiva.

Papa Francesco, appena scomparso, ha tante volte richiamato sull’importanza del lavoro e del rispetto della dignità del lavoratore: che eredità ci lascia per questo campo?

Papa Francesco è stato una figura enorme per quanti, come noi, hanno subìto l’insicurezza del lavoro.

Non è sempre facile prendere posizioni forti su questioni che scoprono la carne viva delle responsabilità della classe dirigente. Papa Francesco per noi lo ha fatto, più volte. Ha definito meglio di chiunque altro l’“impoverimento sociale” che denunciamo come il pilastro che sostiene le responsabilità di tali crimini, ha parlato di “omicidi” e non di morti per fatalità, ha ricordato come in nome del profitto si cavalchi la disperazione della povertà lavorativa. Il Papa che ci ha appena lasciato ha ricordato come esistano datori di lavoro che praticano “carewashing” spiegando come questo “accade quando imprenditori o legislatori, invece di investire sulla sicurezza, preferiscono lavarsi la coscienza con qualche opera benefica”. La “rivoluzione” della quale parlo Papa Francesco l’ha teorizzata con ogni sua parola.

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Quale auspicio vorrebbe che si realizzasse per il mondo del lavoro nell’anno del Giubileo?

Che le parole del Santo Padre contro i crimini sul lavoro e per le loro vittime ottengano la giusta continuità.





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