Asfissiati, schiacciati, dilaniati o bruciati vivi. Sempre coinvolti in grandi incidenti sul lavoro, spesso operai dell’appalto e del subappalto in molti casi con una grande azienda come committente che, in tre episodi, era riferibile al pubblico. Bisogna guardarle da lontano le stragi sul lavoro del 2024 per coglierne il minimo comun denominatore. Ventisette morti, ventisette lavoratori mai tornati a casa. Vite finite sotto terra come i cinque operai nelle fogne di Casteldaccia e i sette tecnici della centrale Enel Green Power di Bargi, travolte da un’esplosione e bruciate come quelle dei due dipendenti della Toyota Material Handling a Bologna e quelle dei cinque dell’Eni di Calenzano.
Gli aspetti in comune
E ancora, purtroppo, donne e uomini uccisi dallo sfruttamento al quale si erano piegati per fame come Aurora e Sara Esposito, sorelle gemelle, e Samuel Tafciu, il più giovane di tutti, diciotto anni compiuti da poco: saltarono in aria in una fabbrica illegale di fuochi d’artificio a Ercolano dove lavoravano per 250 euro a settimana. Due madri single e un neo-papà con le loro necessità, ammazzati in un posto di lavoro senza regole. I primi a morire, era il 16 febbraio dell’anno scorso, furono i quattro operai e il trasportatore impegnati nel cantiere dell’Esselunga di Firenze. Una giungla di commesse nella quale qualcuno arrivò a contare 61 ditte che sulla carta avevano accesso al cantiere. “Questi fatti vanno letti nella loro complessità, l’analisi deve partire dagli aspetti in comune”, dice Bruno Giordano, magistrato in Corte di Cassazione ed ex direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro, tra i massimi esperti di sicurezza in Italia.
I soggetti forti e la catena di appalti
E allora, insieme al cantiere Esselunga, ecco Enel Green Power, Casteldaccia ed Eni: “Hanno un minimo comun denominatore. I committenti sono sempre soggetti forti, dove verrebbe difficile pensare a un risparmio sui costi per gli investimenti – fa notare Giordano – Addirittura in tre casi in cima troviamo aziende pubbliche o partecipate dello Stato, la discussione sui costi della sicurezza è bandita”. Eppure si finisce sempre agli appalti e ai subappalti: “Bisognerebbe a questo punto indagare qual era il rapporto di lavoro. Non parlo dei contratti tra committente, appaltatrici e subappaltatrici, ma proprio del rapporto di lavoro che concretamente avevano le singole vittime”.
Le grandi aziende e i “vuoti di tutela”
L’esempio più lampante è quello del cantiere dell’Esselunga con decine di imprese al lavoro e cinque persone morte – Mohamed Toukabri, Mohamed El Farhane, Taoufik Haidar, Bouzekri Rahimi e Luigi Coclite – per il cedimento di una trave in cemento armato: “Una catena così lunga arriva sempre a demandare la sicurezza alle piccole e medie imprese che, per concorrere agli appalti, giocano al ribasso risparmiando in molti casi sul costo del lavoro e quindi sui costi per la sicurezza”. Ma una committenza “forte”, sottolinea il magistrato, “non può permettersi vuoti di tutela”.
I 7 morti di Suviana, come la Thyssenkrupp
Neanche un mese dopo la strage di Firenze – per la quale recentemente sono scattati arresti e interdizioni – ecco però un altro “big” travolto da un maxi-incidente. Il 9 aprile esplode una turbina all’ottavo piano sotto zero della centrale idroelettrica di Enel Green Power a Bargi, sul lago di Suviana, lungo l’Appenino bolognese. L’incidente fa crollare e allagare due piani dell’infrastruttura, muoiono sette tecnici, come alla Thyssenkrupp di Torino: Paolo Casiraghi, Alessandro D’Andrea, Vincenzo Franchina, Vincenzo Garzillo, Mario Pisani, Adriano Scandellari e Pavel Petronel Tanase. A più di un anno di distanza non c’è alcuna ipotesi su dinamica e responsabilità, zero gli indagati.
I cinque asfissiati nelle fogne
Appaiono invece chiare, ad avviso dei magistrati e dei loro consulenti, le cause della morte della squadra di operai impegnata in un lavoro nella fogna per conto dell’Amap, la società di gestione delle condotte idriche e fognarie di Palermo interamente a capitale pubblico. Dovevano effettuare un intervento dentro una vasca di sollevamento delle acque reflue a Casteldaccia. Era il 6 maggio. Si calarono e morirono uno dopo l’altro Epifanio Alsazia, Giuseppe Miraglia, Roberto Raneri, Ignazio Giordano e Giuseppe La Barbera, soffocati dai gas sprigionati dalla fermentazione dei liquami.
“Nessuno era formato”
Amap aveva appaltato il lavoro alla ditta Tech che a sua volta lo aveva subappaltato alla Quadrifoglio. Quel giorno erano lavori di routine, manutenzione ordinaria. Secondo i periti nominati dalla pm di Termini Imerese Elvira Cuti, gli operai non indossavano i dispositivi di sicurezza e “nessuno degli operatori” della committente e della subappaltatrice, tranne forse uno, “aveva avuto una specifica formazione e addestramento all’uso delle misure di sicurezza”.
Gli errori “gravi e inescusabili” a Calenzano
Errori “gravi e inescusabili” sarebbero stati commessi anche dentro l’impianto Eni di Calenzano dove persero la vita in cinque lo scorso 9 dicembre. Si chiamavano Vincenzo Martinelli, Carmelo Corso, Gerardo Pepe, Franco Cirelli e Davide Baronti. Secondo la ricostruzione della procura di Prato che ha messo sotto inchiesta nove persone, tra le quali ci sono 7 dirigenti del Cane ai sei zampe, gli interventi di manutenzione “non potevano e non dovevano essere portati avanti in presenza del normale carico delle autocisterne”. Invece si continuò a pompare benzina e gasolio nelle linee di carico e proseguì il flusso di camion cisterna. Il tutto, secondo gli inquirenti, anche a causa del “vantaggio economico” che se ne sarebbe tratto.
I dubbi sulla Toyota di Bologna
Due giovani – Lorenzo Cubello e Fabio Tosi – hanno perso invece la vita a Bologna, dentro un capannone della Toyota Material Handling. Era il 23 ottobre. In questi mesi gli inquirenti – la pubblico ministero Francesca Rago e la procuratrice aggiunta Morena Plazzi – hanno interrogato decine di testimoni e analizzato migliaia di documenti per iniziare a dare una forma al quadro indiziario e attribuire eventuali responsabilità per l’incidente. Dodici gli indagati, compreso l’ad Michele Candiani e due suoi predecessori. Le domande alle quali la procura cerca risposte sono sempre le stesse: la progettazione, installazione e manutenzione nel tempo della centrale, quali fossero i rischi per i lavoratori, le misure adottate per la prevenzione, l’adeguatezza dei sistemi di sicurezza e se fosse previsto un dispositivo in caso di guasto nonché come è stata seguita la manutenzione.
L’altro fronte: i controlli
Di fronte alla piaga degli incidenti sul lavoro “non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”, ha incalzato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella pochi giorni fa, ricordando come in Italia esista una questione di “salari insufficienti”. E lavoro povero e sicurezza sono spesso vasi comunicanti, come dimostra la vicenda di Ercolano. Il 18 novembre saltò in aria una villetta nella quale era stata aperta abusivamente una fabbrica di fuochi d’artificio. Morirono due donne e un uomo, tutti giovanissimi: lavoravano in nero, con paghe da fame. “In vicende come questa e, più di recente, quella della funivia di Castellammare di Stabia non c’entrano gli appalti ma, seppur per aspetti diversi, il sistema dei controlli”, sottolinea Giordano.
Tra autocertificazioni e illegalità
Da un lato, l’incidente del Faito rimanda alle autocertificazioni da inviare all’Ansfisa, l’agenzia addetta ai controlli sulle infrastrutture che il magistrato già nel 2021 definì in Commissione Lavoro “disarticolata e disomogenea”; dall’altro la tragedia di Ercolano, ricorda lo stesso Giordano, “avvenne all’interno di una fabbrica abusiva dove si lavorava per pochi euro e senza contratto”. In altri termini: “Era sfruttamento del lavoro dentro una filiera fuori da qualsiasi perimetro di legge”. In sostanza, si entra nel campo dei controlli di legalità, al di là dell’Ispettorato del lavoro e delle agenzie statali. “La domanda da porsi è una – riflette – Come è possibile lasciar proliferare una vera e propria filiera invisibile che iniziava in quella villetta e finiva con l’acquisto in contanti dei botti illegali”.
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