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L’economia del mare: nuove rotte e scenari per la Blue Economy


L’economia del mare, la Blue Economy, ha un ruolo rilevante – e in crescita – per la grande Penisola al centro del Mediterraneo.

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In termini monetari, il valore aggiunto per l’Italia supera i 60 miliardi di euro l’anno, con oltre un milione di occupati. Un focus è quello delle imprese: dal 2019 al 2023 in totale sono cresciute del 4,3%, mentre la base imprenditoriale complessiva del Paese è diminuita di oltre il 2%, come rileva il Rapporto Nazionale 2024 sull’Economia del Mare, realizzato da Unioncamere e Centro studi Tagliacarne. Anche per questo, a Roma si sta lavorando a una legge specifica, con l’obiettivo di creare un quadro normativo che supporti e incentivi ulteriormente questo settore strategico.

Ma cosa comprende esattamente la Blue Economy? È un settore vastissimo, che include le attività legate alla pesca, all’acquacoltura, cantieristica navale, turismo costiero, trasporti e logistica portuale. Ma anche alla ricerca marina, protezione dell’ecosistema, generazione di energia, fino alla valorizzazione delle risorse naturali, industriali e commerciali del mare.

Grande attenzione viene posta alla navalmeccanica e cantieristica, sia mercantile sia nautica: occorre sviluppare questi settori in chiave di innovazione tecnologica, sviluppo di nuovi materiali, progettazione e design.

Quella Blu è anche un’economia controcorrente rispetto ai tradizionali stereotipi dello sviluppo, con il Mezzogiorno che consolida il suo primato di area a maggiore produzione di valore aggiunto, con i suoi quasi 21 miliardi di euro di produzione diretta, quasi un terzo dell’intero “prodotto blu” nazionale. Lo stesso vale per l’occupazione, concentrata per oltre il 37% al Sud, e per le imprese, che superano nel Mezzogiorno le 111mila unità, oltre il 48% dell’intera base imprenditoriale Blu del Paese.

Il rapporto con l’Europa

Guardando al rapporto con il resto dell’Europa, nel settore delle risorse biologiche marine, come la pesca e altri prodotti naturali, l’Italia produce il 13% dell’intero valore aggiunto generato a livello europeo, collocandosi al quarto posto dopo Germania (22%), Spagna (17%) e Francia (14%).

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Nelle attività relative all’estrazione dai mari di petrolio, gas e altri minerali, ovvero delle risorse marine non biologiche, l’Italia produce il 15% del valore aggiunto europeo. Si tratta del terzo contributo fornito alla produzione della ricchezza. Al primo posto ci sono i Paesi Bassi (42% del totale) e al secondo posto la Danimarca (38%). Risulta totalmente residuale l’apporto degli altri Paesi (5%).

L’Italia si colloca al terzo posto anche nella cantieristica navale e riparazioni, con il 19% del valore aggiunto (preceduta da Francia, 23%, e Germania, 20%), e nel turismo costiero, dove contribuisce per l’11% (al primo e secondo posto, rispettivamente, Spagna, 23%, e Francia, 20%).

Blue Economy: rotte antiche, nuovi scenari

In riferimento al trasporto marittimo, ci collochiamo al quarto posto, contribuendo per l’8% al valore aggiunto dell’attività economica continentale, preceduta dalla Germania (47%) e dalla Danimarca (18%), che insieme producono ben oltre la metà della ricchezza generata dal comparto all’interno dell’Ue a 27 Paesi.

L’unica attività in cui l’Italia fornisce un contributo minoritario rispetto alle altre grandi economie blu europee sono le attività portuali, dove genera l’8% dell’intero valore aggiunto europeo. La precedono Germania (23% del totale), Paesi Bassi (17%), Spagna (12%) e Francia (12%).

«Oggi la sfida della Blue Economy si vince solo avendo la piena conoscenza dello scenario in cui ci muoviamo e la comprensione della sua evoluzione, in modo rapido», ha detto Antonello Testa, coordinatore di OsserMare, l’Osservatorio Nazionale sull’Economia del Mare. «Per farlo, stiamo mettendo in campo strumenti sempre più sofisticati come sistemi georeferenziati, dashboard, digital twin, intelligenza artificiale, sistemi predittivi delle varie attività marine».

I legami con gli USA

Volgendo lo sguardo oltre il Mediterraneo, e oltre l’oceano, un consorzio di investitori guidato da BlackRock e di cui fa parte Gianluigi Aponte – fondatore di MSC (Mediterranean Shipping Company, una delle maggiori compagnie di trasporto container al mondo) e di MSC Crociere – di recente ha comprato per 22,8 miliardi di dollari, dalla società di Hong Kong CK Hutchinson, il 90% di Panama Port, società che possiede e gestisce i porti su entrambi i lati del canale di Panama, oltre alla quota di controllo di altri 43 porti in 23 Paesi.

Un’operazione che piace all’amministrazione USA di Donald Trump, preoccupata dalla presenza cinese nella gestione del canale panamense, strategico per i flussi navali tra oceano Atlantico e Pacifico. Di recente, il tycoon ha annunciato di voler introdurre nuove tasse sulle navi cinesi in attracco nei porti americani. Allo stesso tempo, proprio i dazi doganali di Trump potrebbero pesare fino a 52 miliardi di dollari di sovraccosti per lo shipping internazionale, calcola il Centro studi di Confitarma. Con ricadute dirette sulla competitività dell’industria marittima e manifatturiera europea.

Gli USA sono un partner commerciale strategico dell’Italia: il primo destinatario delle esportazioni dal nostro Paese al di fuori dell’Ue, per circa 63 miliardi di euro, di cui oltre il 60% viaggia via mare. E il secondo Mercato mondiale dopo la Cina per le importazioni nazionali, con quasi 26 miliardi di euro, dei quali il 45% viaggia via mare. In tonnellate di merci trasportate, quasi il 100% delle importazioni e il 98% delle esportazioni italiane da e verso gli Stati Uniti viaggia via mare.

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La decarbonizzazione

Uno degli snodi cruciali nel presente e nel futuro della Blue Economy riguarda la decarbonizzazione dei trasporti e delle navi. Il settore marittimo è responsabile di circa il 3% delle emissioni globali di CO2 e punta a raggiungere la neutralità carbonica (Net zero) entro il 2050.

Attualmente, il settore dipende prevalentemente dai combustibili tradizionali che costituiscono il 93% del consumo complessivo. Nel 2023, circa il 50% degli ordini di nuove navi è stato indirizzato verso combustibili alternativi, con una tendenza verso una maggiore sostenibilità.

I porti stanno iniziando a rispondere a queste nuove esigenze, sviluppando infrastrutture per supportare diverse opzioni tecnologiche. Le stime indicano che solo per l’adeguamento del sistema portuale europeo saranno necessari circa 24 miliardi di euro di investimenti entro il 2050, secondo l’Outlook sul Trasporto Marittimo Sostenibile realizzato da ENI, Fincantieri, RINA con Bain & Company Italia. È quindi essenziale definire una roadmap realistica, che minimizzi incertezze e rischi per gli investitori e fornisca soluzioni percorribili ed economicamente efficienti per l’intera filiera. Tra gli sviluppi centrali: il ruolo strategico dei biocarburanti come l’HVO, l’impiego del GNL e la progressiva introduzione di carburanti sintetici da idrogeno verde.

Innovazione e sostenibilità

I vettori energetici in grado di ridurre, nel breve termine, le emissioni di CO2 sono principalmente: il GNL (gas naturale liquefatto), prodotto fossile a minore intensità carbonica, che comporta tuttavia investimenti infrastrutturali di deposito, stoccaggio e rifornimento nei porti. E i biofuel: HVO, utilizzabile anche in purezza e senza necessità di investimenti infrastrutturali, e FAME, con forti limitazioni all’utilizzo in purezza, quindi da processare con apposite infrastrutture.

Nel lungo termine i biocarburanti, anche con l’ingresso di BioGNL e Biometanolo, continueranno a essere la soluzione prevalente del segmento mercantile. I carburanti sintetici prodotti da idrogeno verde e l’idrogeno stesso, per determinati casi d’uso (ad esempio, crociere di bassa e media potenza), potranno assumere un ruolo crescente grazie al progressivo aumento di competitività e sviluppo della supply chain.

«Come sostenuto anche a livello comunitario», ha detto Giuseppe Ricci, Direttore operativo Trasformazione industriale di ENI, «è oramai condiviso che i biocarburanti, in particolare quelli già disponibili e utilizzabili in purezza come l’HVO, sono attualmente tra le migliori soluzioni adottabili per ridurre le emissioni inquinanti del comparto marittimo».

Investimenti internazionali nella Blue Economy

Uno dei principali ostacoli alla transizione energetica e ambientale è legato alla scarsità delle risorse disponibili, sia in termini di capitale umano sia di capitale economico. Non fanno eccezione i settori dell’economia del mare: per far fronte alle barriere finanziarie, la Commissione europea, in collaborazione con la Banca Europea degli Investimenti (BEI), ha avviato un progetto pilota denominato EU Blue Champions, supportato dalla piattaforma BlueInvest e indirizzato al finanziamento di progetti innovativi. E anche a livello globale l’Unione europea continua il suo impegno nell’attrazione di capitali per l’economia blu sostenibile.

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Per esempio, la Blue Mediterranean Partnership è un’iniziativa per raccogliere e gestire investimenti nei Paesi extra Ue dell’area mediterranea, come l’Egitto, il Marocco e la Giordania. Tra le priorità stabilite dalla partnership ci sono gli investimenti per aumentare la resilienza delle zone costiere, il turismo sostenibile, il trattamento delle acque reflue, l’economia circolare, la riduzione dei rifiuti derivanti dalla plastica e la biodiversità marina.

Tutti questi progetti e investimenti puntano a raggiungere l’Obiettivo 14 del piano per lo sviluppo Green dell’ONU: conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine.

«Perché una società prosperi, occorre un’economia dinamica e adattiva. Senza una vera sostenibilità, nessuna economia può continuare a funzionare», scrive Gunter Pauli in Blue Economy 3.0, pubblicato da Edizioni Ambiente. E sottolinea: «le società moderne hanno creduto nella libertà di sfruttare i beni comuni e hanno proposto agli utilizzatori concessioni per farlo. Abbiamo confuso il libero mercato con il libero sfruttamento dei beni comuni. Ora dobbiamo urgentemente rivedere i nostri sistemi».     ©️

Articolo tratto dal numero dell’1 maggio 2025 de Il BollettinoAbbonati!

📸 Credits: Canva      

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