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Confindustria e Luiss, presentato VII Rapporto Osservatorio Imprese Estere, sale a €173 mld (+17,4%) il contributo all’economia italiana 


Secondo il VII Rapporto Osservatorio Imprese Estere (con elaborazioni su dati Istat), presentato da Confindustria e Luiss, tra il 2018 e il 2022, le imprese a controllo estero in Italia (oltre 18.400) hanno consolidato il loro ruolo nel sistema economico del  Paese, registrando una crescita significativa e progressiva della loro presenza, aumentando l’incidenza: sul valore aggiunto dal 15,5% del 2018 al 17,4% nel 2022, pari a circa 173 mld €, sull’occupazione: dall’8,3% del 2018 al 9,7% nel 2022, pari a circa 1,7 mln di addetti, sull’export merci: dal 29,4% del 2018 al 35,1% nel 2022, pari a circa 200 mld €, sulla spesa in Ricerca e Sviluppo: dal 23,6% del 2018 al 37,6% nel 2022 raggiungendo i 6,1 mld €

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Rispetto al 2021, il valore aggiunto prodotto dalle imprese estere è cresciuto del 10,7% nell’industria e del 15,3% nei servizi, in un contesto di ulteriore aumento della dimensione media delle imprese, passata da 95,8 a 99,4 addetti per impresa.

Nel 2022, rispetto all’anno precedente, l’incidenza del fatturato delle controllate estere è stato del 21% rispetto al totale prodotto dalle imprese residenti in Italia 

Le parole di Barbara Cimino, Vice Presidente per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e Presidente ABIE di Confindustria  

Le imprese estere non sono semplici investitori: sono motori di innovazione, competitività e internazionalizzazione. Senza il loro contributo, l’economia italiana sarebbe meno dinamica e meno pronta ad affrontare le grandi transizioni in corso. Il nostro obiettivo è rafforzarne il radicamento e attrarne di nuove, rimuovendo gli ostacoli che ancora scoraggiano gli investimenti. Per farlo, serve agire con decisione su cinque leve: semplificare la burocrazia per facilitare chi investe, puntare sul capitale umano per offrire competenze adeguate alle sfide tecnologiche, rafforzare le attività di retention per trattenere chi ha già investito, valorizzare la ZES Unica come motore per il rilancio del Mezzogiorno, e promuovere a livello internazionale l’immagine dell’Italia come Paese stabile, attrattivo e dinamico. Vogliamo che l’Italia sia riconosciuta nel mondo non solo per la sua eccellenza manifatturiera e culturale, ma anche come piattaforma strategica per investimenti globali ad alto valore aggiunto”, ha dichiarato Barbara Cimmino, Vice Presidente per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e Presidente ABIE di Confindustria.

Le parole di Giorgio Fossa, Presidente dell’Università Luiss

Giorgio Fossa, Presidente dell’Università Luiss, ha affermato: In un contesto geopolitico complesso, attrarre investimenti non è più solo una necessità economica, ma soprattutto una scelta strategica per l’Italia. Le imprese a controllo estero rappresentano, infatti, un importante vettore di innovazione, produttività, sviluppo di competenze qualificate e connessioni globali. In questo scenario, l’Osservatorio Imprese Estere, promosso da Confindustria e Luiss, si conferma un esempio virtuoso di collaborazione tra università e mondo del business, capace di coniugare il rigore dell’analisi accademica con l’esperienza operativa delle aziende per offrire proposte concrete e strumenti efficaci a favore della competitività internazionale del nostro Paese

Origine degli investitori 

Nel VII Rapporto OIE, viene evidenziato che oltre la metà degli aggregati economici delle imprese a controllo estero in Italia è associata a controllanti residenti nell’Unione Europea. Più della metà del valore aggiunto generato dalle imprese estere in Italia proviene da aziende controllate da Stati Uniti, Francia e Germania. In particolare, in termini di addetti, gli USA sono il primo paese investitore in Italia con il 21,1% degli addetti a controllo estero. In termini di fatturato, la Francia è il paese estero che ha il peso maggiore come investitore (19,4%). Per R&S sono i Paesi Bassi (26,6%) e gli Stati Uniti (22,1%) a risultare i maggiori investitori.

 

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Contesto Europeo 

In Europa, la presenza delle imprese a controllo estero ha raggiunto dimensioni considerevoli. Secondo il VII Rapporto OIE (con elaborazioni su dati Istat), nel 2022, la loro incidenza: sul valore aggiunto è pari al 23,8%, segnale di dimensioni medie d’impresa e livelli di produttività del lavoro notevolmente superiori a quelli del resto del sistema produttivo europeo; sull’occupazione è pari al 15,5% del totale, corrispondente ad oltre 24 milioni di addetti, di cui 15 milioni nei servizi e 9 milioni nell’industria. Le analisi presentate nel Rapporto confermano, da un lato, una rilevante presenza delle imprese estere nell’economia europea, dall’altro notevoli eterogeneità tra paesi per quanto riguarda: l’impatto delle imprese estere sulle rispettive economie; il peso dei controllanti residenti all’esterno dell’Ue; il modello di specializzazione settoriale delle imprese controllate dall’estero nei diversi paesi.

In Italia, la situazione appare, per quanto riguarda l’impatto delle imprese estere sull’economia nazionale, allineata a quanto emerge per i principali paesi europei.

Specializzazione settoriale 

Tra i primi cinque settori di specializzazione delle imprese estere in Italia figurano tre comparti manifatturieri fortemente caratterizzati e strategici: industria tessile, pelle e abbigliamentofabbricazione di macchine e attrezzature; industria farmaceutica; e due rilevanti comparti dei servizi: servizi alle imprese; esercizi ricettivi e di ristorazione.

Rilevanza dell’export

Tra il 2018 e il 2022, l’export merci è cresciuto: dal 29,4% al 35,1% nel 2022, pari a circa 200 mld €.

Il VII Rapporto OIE presenta, in particolare, un’analisi specifica sulle imprese esportatrici persistenti nel triennio 2022-2024, che generano il 98% dell’export nazionale di merci. A partire da una base dati Istat costruita ad hoc, sono state identificate tra queste imprese esportatrici persistenti (oltre 84.000), quelle a controllo estero (circa 4.500). Nel documento è emerso che il contributo delle imprese estere all’export merci è lievemente aumentato, rispetto a tutte le imprese esportatrici persistenti (italiane ed estere) residenti in Italia: le stime passano dal 33,6% nel 2022 al 33,8% nel 2024, pari a 190 mld di euro.

Segnali di continuità nell’export nel periodo 2022/2024. Le stime dell’OIE confermano che le imprese estere in Italia trainano circa un terzo dell’export persistente nel nostro Paese.

Complessivamente, la quota di export nazionale verso gli Stati Uniti si attesta al 10,3%. Nel triennio 2022-2024, il 43,6% delle imprese estere esportatrici mostra flussi di export verso gli USA in quota superiore al valore medio (29,7%), ma inferiore a quella registrata per le multinazionali italiane (51,4%). Il valore dell’export verso gli USA realizzato dalle imprese estere nel 2024 ammonta a 19,3 mld di euro, pari al 34,2% dei 56,4 mld complessivi. Nel 2024, le imprese estere esportatrici verso gli USA controllate da statunitensi rappresentano il 36,7% dell’export verso gli Stati Uniti del complesso delle imprese a controllo estero. L’analisi dei segmenti di imprese coi più elevati gradi di dipendenza dall’export verso gli USA consente di individuare le imprese con rischi potenziali elevati a seguito delle politiche commerciali dell’amministrazione Trump. Si tratta di segmenti limitati in termini di numerosità ma rilevanti all’interno del complesso delle vendite di merci dall’Italia agli

Stati Uniti realizzate dalle imprese estere, soprattutto in alcuni settori come l’industria delle bevande, la fabbricazione degli altri mezzi di trasporto, l’industria farmaceutica, la fabbricazione di autoveicoli.

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Innovazione e transizione digitale

Nel VII Rapporto OIE viene evidenziato che le imprese estere in Italia si distinguono per il loro contributo alla transizione digitale e ai processi di innovazione. Secondo i più recenti dati Istat, nel triennio 2020-2022, il 71,2% delle imprese a controllo estero ha introdotto innovazioni, rispetto a una media nazionale di poco inferiore al 60%. Si riscontra, inoltre, una differenza qualitativa rilevante: le imprese estere adottano più frequentemente strategie complesse, investendo maggiormente in attività ad alto contenuto creativo come la Ricerca e Sviluppo. Prediligono l’innovazione di prodotto originale – nuova per il mercato di riferimento – rispetto al semplice adeguamento a innovazioni già esistenti, e presentano una più spiccata capacità di sviluppare innovazione internamente (innovatori in-house). In particolare, le imprese multinazionali estere si distinguono per il modello di “innovatori di prodotto interni con novità di mercato”, il profilo di innovazione più sofisticato. Il loro contributo si estende ben oltre la dimensione economica: in molti casi, queste imprese fungono da catalizzatori di trasformazione industriale, promuovendo la diffusione di tecnologie avanzate, la creazione di occupazione qualificata e l’integrazione con il tessuto delle PMI. Quasi l’80% delle imprese estere ha svolto attività innovative nel triennio considerato, con una spesa media per innovazione pari a circa 7.300 euro per addetto (oltre 11.000 euro nella sola manifattura). Più di un terzo ha attivato accordi di collaborazione con università, centri di ricerca e altri partner strategici.

Inoltre, anche sul fronte della digitalizzazione, oltre il 77% di esse si colloca in una fascia alta o molto alta del Digital Intensity Index, contro il 27,2% della media nazionale. Il 23,7% utilizza già tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, con una propensione all’investimento in IA che raggiunge il 41,3% nel biennio 2025-2026.

Ruolo dei fondi di private equity 

I fondi di Private Equity internazionali stanno giocando un ruolo crescente nel rafforzamento del sistema produttivo italiano. Attraverso investimenti significativi, capacità di governance e strategie di crescita, questi operatori stanno contribuendo alla modernizzazione del tessuto industriale italiano, favorendo la trasformazione di imprese italiane in piattaforme competitive globali, con effetti positivi anche lungo le filiere di riferimento.

I fondi esteri, infatti, non si limitano ad apportare capitali, ma agiscono come partner strategici, accelerando processi di internazionalizzazione, innovazione tecnologica, sostenibilità e consolidamento settoriale.

Distribuzione territoriale e competitività

Dal Rapporto emerge che la presenza delle imprese estere in Italia è fortemente polarizzata, con Lombardia, Lazio, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana che assorbono complessivamente l’82,2% del valore aggiunto generato da queste realtà. La sola Lombardia pesa per il 37,7%, evidenziando una forte correlazione tra la competitività regionale e la capacità di attrarre e trattenere investimenti esteri. Questa analisi è stata effettuata partendo da indicatori statistici territoriali, diffusi correntemente dalla Commissione europea. Le regioni del Mezzogiorno mostrano, invece, una scarsa attrattività, ma l’istituzione della Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno rappresenta una potenziale svolta, creando condizioni fiscali e amministrative favorevoli all’insediamento produttivo.

Proposte di intervento 

Tutti questi elementi fotografano una categoria di imprese che rappresenta un fattore determinante per la crescita del Paese, non solo per il contributo quantitativo in termini di occupazione e valore aggiunto, ma anche per l’impatto qualitativo su produttività, tecnologie, internazionalizzazione e governance. Il loro contributo può rivelarsi decisivo soprattutto attraverso il legame con le PMI, favorendo la diffusione di tecnologie avanzate e la costruzione di ecosistemi industriali in grado di generare innovazione, attrarre giovani e consolidare la posizione italiana in filiere strategiche. Ma il loro ruolo si estende anche al processo di internazionalizzazione del Paese, sia attraverso la spinta all’export, sia attraverso l’integrazione dell’Italia nelle catene globali del valore.

Dal rapporto emergono alcune proposte di intervento:

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semplificazione burocratica: affrontare in modo strutturale la complessità amministrativa, accelerando i processi attraverso la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione

investimento mirato nel capitale umano: rafforzare le competenze disponibili, in particolare quelle legate all’innovazione, alla transizione digitale e all’intelligenza artificiale

potenziamento delle attività di retention: sviluppare servizi di assistenza e customer care specificamente orientati al supporto degli investitori esteri da parte dei territori e delle istituzioni locali

valorizzazione strategica della ZES Unica: utilizzarla come leva per attrarre investimenti e rilanciare il Mezzogiorno, accompagnandola a politiche territoriali mirate

promozione internazionale dell’immagine dell’Italia: comunicare con forza e coerenza l’immagine di un Paese solido, dinamico e affidabile per gli investimenti.

In questo quadro, le imprese a controllo estero non rappresentano una componente accessoria, ma sono una parte integrante del nostro sistema economico, un motore fondamentale per accelerare l’internazionalizzazione del Paese, rafforzare la sua presenza nelle catene globali del valore, diffondere innovazione tecnologica e generare occupazione qualificata.

 

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