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Festa della mamma sì, mai il conto della maternità è salato: cos’è la “child penalty”


Ogni anno, la Festa della mamma porta con sé fiori e sorrisi, ma dietro a questa celebrazione si nascondono le difficoltà quotidiane di milioni di madri, una ricorrenza che tocca corde profonde dell’animo collettivo, perché celebra la figura che, più di ogni altra, incarna dedizione, amore, sacrificio. Ma dietro l’iconografia rassicurante della madre c’è una realtà molto più complessa, fatta di battaglie quotidiane, rinunce e disparità. E forse, oggi più che mai, è il momento di guardare oltre la retorica, per restituire a questa festa un senso autentico e trasformativo.

Le origini: dal culto alla consapevolezza

La Festa della mamma non nasce tra le corsie dei supermercati o tra le pagine patinate dei cataloghi commerciali. Le sue radici affondano nella storia antica: in Grecia, si celebravano le divinità femminili legate alla fertilità, come Rea, madre di tutti gli dei. In epoca cristiana, la figura della Madonna ha rappresentato per secoli l’archetipo della madre da venerare. Ma è solo nel Novecento che la festa assume un volto moderno. In Italia, fu istituita ufficialmente nel 1958 grazie a don Otello Migliosi, sacerdote e senatore, con l’intento di valorizzare la maternità come fondamento della comunità. Un gesto che oggi può apparire simbolico, ma che allora conteneva un forte messaggio sociale: la maternità come pilastro della nazione.

Essere madri oggi: una corsa a ostacoli

Nel 2025, però, essere madre in Italia non è affatto un cammino celebrativo. Secondo il rapporto Le Equilibriste, curato da Save the Children, la maternità si conferma una delle principali cause di esclusione dal mercato del lavoro. Il 20% delle donne abbandona l’occupazione dopo la nascita del primo figlio. Tra le madri di bambini con disabilità, questa percentuale arriva al 35%. È un numero che racconta più di mille slogan: la maternità, in assenza di un sistema di supporto adeguato, diventa una trappola.

Ma non è una scelta libera: è spesso l’unica strada praticabile in un Paese in cui mancano servizi per l’infanzia, i contratti sono precari, i datori di lavoro discriminano e i padri – complice una cultura ancora arretrata – faticano a condividere i carichi di cura.

Eppure, gli uomini con figli lavorano più degli uomini senza figli. Le donne, invece, vedono calare le loro opportunità con ogni nuova vita che mettono al mondo. È l’effetto dirompente dellachild penalty”, una penalizzazione invisibile che accompagna le madri per anni: meno salari, meno avanzamenti di carriera, più precarietà. Un paradosso feroce, in cui il dono della vita si trasforma in una condanna sociale ed economica.

Il peso della solitudine

Oggi, più di una madre su due, se sola e tra i 25 e i 34 anni, è disoccupata. Non per mancanza di volontà, ma per mancanza di alternative. Nidi pubblici insufficienti, orari scolastici incompatibili con il lavoro, assenza di congedi di paternità adeguati, una cultura ancora ancorata all’idea che la cura dei figli sia “roba da donne”.

Nel 2024, le nascite in Italia sono scese a un minimo storico: 370.000. L’età media al primo parto è salita a 32,6 anni. Non è solo una scelta personale: è una risposta sistemica a un Paese che non sostiene la genitorialità. Le donne posticipano la maternità perché sanno che, una volta diventate madri, la strada si farà in salita. Per molte, troppo ripida da affrontare. Mentre la Festa della mamma ci ricorda l’importanza della maternità, è necessario che questo giorno diventi anche un’opportunità per chiedere politiche concrete a sostegno delle donne.

La “child penalty”: il conto salato della maternità

Tutto questo ha un nome preciso: “child penalty”. Letteralmente “penalità da figlio”. Un’espressione che suona dura, ma che descrive perfettamente ciò che accade a troppe donne una volta diventate madri.

Ecco come funziona: mentre per gli uomini la paternità spesso coincide con una maggiore presenza e stabilità lavorativa (il 91,5% dei padri è occupato), per le donne succede l’opposto. Lavora il 68,9% delle donne senza figli, ma solo il 62,3% delle madri. La percentuale scende ancora tra chi ha più figli, fino al 60,1%.

Per molti padri, il figlio è un valore “aggiunto” nella carriera. Per troppe madri, è l’inizio di un percorso in discesa. Questo squilibrio – tutt’altro che naturale – è figlio di un sistema che ancora oggi scarica l’intero carico familiare sulle spalle femminili.

Child Penalty in Italia;

  • 20% delle donne lascia il lavoro dopo il primo figlio

  • 35% tra le madri di figli con disabilità

  • Solo 1 mamma single su 2 lavora

  • Divario occupazionale tra padri e madri con figli minori: quasi 29 punti percentuali

E così, ogni scelta familiare si trasforma in un sacrificio personale.

La risposta dal basso: il modello Save the Children

In questo scenario difficile, ci sono però esperienze che mostrano una strada diversa. Save the Children Italia, ad esempio, lavora da anni per sostenere le famiglie e i genitori, fin dalla gravidanza. Attraverso programmi per la prima infanzia rivolti ai bambini tra 0 e 6 anni e alle loro famiglie, l’organizzazione ha sviluppato “aree ad alta densità educativa”: spazi in cui si intrecciano servizi educativi, sostegno psicologico, orientamento, e formazione per i genitori.

Sono poli educativi integrati, nati in collaborazione con enti e associazioni locali, pensati per offrire ai più piccoli un ambiente di crescita ricco di stimoli, e ai genitori – soprattutto alle madri – la possibilità concreta di non dover scegliere tra figli e lavoro.

Italia divisa, madri disuguali

Un’altra verità amara è la disuguaglianza territoriale. L’“Indice delle Madri” mostra chiaramente come in alcune regioni – soprattutto al Sud – essere madre equivalga a una penalizzazione ancora più dura. Nel 2024, il tasso di occupazione delle mamme single tra i 25 e i 54 anni supera l’83% nel Nord, sia per le madri con almeno un figlio minore che per il totale delle madri sole, mentre nel Mezzogiorno non va oltre il 45,2%. L’accesso ai servizi è scarso, le opportunità lavorative poche, le politiche di conciliazione quasi assenti. Non tutte le madri italiane sono uguali davanti alla maternità. E questa frattura interna è un fallimento collettivo. Sono molti gli squilibri strutturali che resistono al cambiamento mentre emergono nuove aree di diseguaglianza che si stratificano. Non solo le donne sono penalizzate nel mercato del lavoro e ancora scontiamo divari occupazionali e retributivi a danno di tutte, ma per le madri la situazione rimane critica in molte aree del Paese.

Tra loro, le madri sole con figli minorenni devono superare gli ostacoli maggiori, con divari di reddito e di condizioni abitative rispetto ai padri molto ampi, divari su cui è necessario intervenire con misure di sostegno dedicate per evitare che queste mamme e i loro bambini sprofondino in una situazione di povertà dalla quale è difficile riemergere. Un Paese che vuole uscire dalla crisi demografica e costruire un futuro sostenibile deve partire da qui: dalle donne, dalle madri, dalla cura.

Una festa per riflettere, non solo per celebrare

In questo scenario, la Festa della mamma non può ridursi a un giorno di ringraziamenti e abbracci. Deve diventare un’occasione per fare luce sulle disuguaglianze, per pretendere riforme che non si limitino alla retorica familiare, ma garantiscano diritti concreti. Servono congedi parentali paritari, un piano nazionale per l’infanzia, incentivi alle imprese che promuovono la parità di genere, nonché dei Bonus che esonerano le madri lavoratrici come evidenziato nell’articolo Bonus Mamma 2025: esonero fino al decimo anno del figlio, ecco come, ma soprattutto una revisione culturale che renda la cura un valore condiviso e non una responsabilità esclusivamente femminile.

Madri sì, ma non solo

Le madri italiane non chiedono riconoscimenti, ma possibilità. Vogliono essere madri senza dover rinunciare a sé stesse. Vogliono un Paese in cui la genitorialità non sia un rischio, ma un diritto tutelato. In cui essere donna, madre, professionista non sia un’equazione impossibile.

Solo allora, forse, potremo tornare a festeggiare davvero. E allora, in questa domenica di maggio, prima di comprare fiori o scrivere un biglietto, fermiamoci un momento. Guardiamo oltre le immagini patinate della “mamma perfetta”, e proviamo a vedere davvero chi sono oggi le madri italiane: donne forti ma stanche, coraggiose ma spesso invisibili, generose ma lasciate sole a reggere il peso di un sistema che ancora non le riconosce fino in fondo.

Celebrare la Festa della mamma non significa solo dire “ti voglio bene”. Significa impegnarci perché quell’amore non debba essere pagato con la rinuncia, il silenzio, l’assenza di scelta. Significa costruire un Paese in cui una donna possa essere madre senza smettere di essere sé stessa.

Perché una madre non ha bisogno solo di essere festeggiata.
Ha bisogno di essere ascoltata, sostenuta, difesa.
Ha bisogno di un futuro in cui la maternità non sia più un salto nel vuoto, ma una scelta libera, piena, rispettata.

Fiorisce una rosa ogni seconda domenica di maggio, ma quante spine restano sotto la pelle delle madri, ogni giorno dell’anno?



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