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I sindaci europei chiedono di escludere l’edilizia sociale dai vincoli di bilancio


Bruxelles. La questione abitativa non è solo sociale ma anche ambientale: i due aspetti sono indissolubilmente legati nelle città contemporanee. È questa la convinzione espressa dai sindaci di quindici grandi metropoli (Roma, Barcellona, Milano, Parigi, Atene, Bologna, Budapest, Firenze, Gent, oltre a rappresentanti di Lione, Zagabria, Amsterdam, Lisbona, Varsavia e Lipsia) che, durante un’audizione in Commissione europea, hanno presentato l’European housing action plan, una proposta ambiziosa che prevede lo stanziamento di trecento miliardi di euro l’anno per fronteggiare l’emergenza casa.

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La delegazione, guidata dai primi cittadini di Roma e Barcellona, che ha fatto tappa anche alla sessione plenaria del Comitato europeo Regioni (CdR) in parlamento europeo, chiede un cambio significativo nelle priorità europee, proponendo che l’edilizia sociale venga considerata alla stregua della difesa, con le stesse deroghe ai vincoli di bilancio già concesse per le spese militari.

I dati alla base della richiesta sono eloquenti. Nelle città europee i prezzi delle abitazioni sono aumentati in media del settantotto per cento nell’ultimo decennio, mentre gli stipendi sono cresciuti del sessanta per cento. Un europeo su dieci che vive in aree urbane destina oltre il quaranta per cento del proprio reddito all’alloggio in cui vive. Si tratta di una soglia considerata dagli economisti come il limite della sostenibilità economica per una famiglia.

Parallelamente, quarantasei milioni di europei vivono in condizioni di povertà energetica, con edifici inefficienti che contribuiscono in modo significativo alle emissioni di gas serra e inquinanti atmosferici. «A Roma il cinquantatré per cento delle emissioni cittadine proviene dagli edifici», ha detto il sindaco Roberto Gualtieri – che è anche portavoce della delegazione dei primi cittadini –, sottolineando la doppia emergenza che le città si trovano ad affrontare.

«Non possiamo pensare alla questione abitativa separatamente dalla questione ambientale», ha continuato il sindaco capitolino. «La transizione ecologica deve essere socialmente sostenibile, altrimenti è destinata a fallire». La direttiva europea sulle «case green», che impone a ogni Stato membro una riduzione del sedici per cento (entro il 2030) e del venti-ventidue per cento (entro il 2035) del consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali, rappresenta una sfida significativa considerando che in Italia il settantaquattro per cento delle abitazioni si trova attualmente in classi energetiche basse.

Come ha spiegato Gualtieri in Commissione, la cifra di trecento miliardi annui prevista dall’European housing action plan deriva da uno studio della Banca europea per gli investimenti che ha identificato questa entità di gap finanziario nel settore abitativo europeo. Le quindici città rappresentate hanno calcolato un fabbisogno di ottanta miliardi fino al 2030 per le proprie realtà, includendo anche gli interventi di efficientamento energetico necessari per rispettare gli obiettivi climatici di Bruxelles.

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Estendendo questa stima all’intera Unione, si arriva alla cifra indicata nel piano. «Non stiamo chiedendo un trasferimento diretto di risorse dall’Unione europea», ha precisato Gualtieri davanti ai commissari. «Questo finanziamento dovrebbe comporsi di sovvenzioni, prestiti, fondi privati, risorse comunali e statali». Un approccio integrato che mira a coordinare a livello europeo attori pubblici e privati per aumentare l’offerta di alloggi accessibili e sostenibili dal punto di vista energetico.

Uno dei punti più innovativi del piano riguarda le regole di bilancio europee. Il parere adottato anche dal Comitato europeo delle Regioni suggerisce che gli investimenti nell’edilizia sociale vengano trattati off-balance, ossia fuori dai vincoli di bilancio, come avviene per le spese militari. 

«La stessa clausola che sedici Paesi hanno attivato per le spese della difesa dovrebbe essere resa possibile anche per i progetti abitativi», ha sostenuto Gualtieri. Si tratta di un’ipotesi ambiziosa, che ha suscitato reazioni caute. La vicepresidente esecutiva della Commissione europea Teresa Ribera, pur riconoscendo l’urgenza del tema, ha invitato alla prudenza. «Dobbiamo essere prudenti», ha dichiarato, ricordando che la competenza in materia di politiche abitative non è esplicitamente prevista dai trattati europei.

Le soluzioni finora proposte dalla Commissione vengono considerate insufficienti dai sindaci. Nella revisione di medio termine della politica di coesione, Bruxelles ha suggerito di riprogrammare parte dei fondi esistenti verso l’edilizia abitativa. «Il ricorso ai fondi di coesione non è sufficiente per risolvere la crisi abitativa in Europa», si legge nel parere del Comitato delle Regioni.

L’introduzione di nuove priorità nel prossimo bilancio pluriennale dovrebbe essere accompagnata da risorse aggiuntive, non da una semplice redistribuzione di fondi già stanziati. Un altro elemento centrale del piano riguarda le norme sugli aiuti di Stato. I sindaci propongono esenzioni per la creazione o la ristrutturazione di alloggi accessibili, con maggiore flessibilità per i fornitori di alloggi pubblici, cooperativi e senza scopo di lucro. Dan Jørgensen, commissario per l’Energia e l’Edilizia abitativa, ha mostrato disponibilità su questo punto, confermando che la Commissione esaminerà come adattare le linee guida agli aiuti di Stato.

Sul fronte del consumo di suolo, in piena sintonia con il Green deal europeo, il documento presentato dai sindaci propone un radicale cambio di paradigma: rendere prioritaria la riqualificazione di strutture esistenti, anziché costruite su nuovi terreni. Il Comune di Milano, che ha destinato trecentomila metri quadri di aree già urbanizzate alla creazione di diecimila alloggi a canone sostenibile, sta provando ad andare in questa direzione, con risultati altalenanti.

«Negli ultimi anni, a Milano come altrove, si è evidenziata una carenza abitativa per una fascia ben precisa della popolazione – studenti e giovani famiglie – che può permettersi affitti intorno ai quattrocento o cinquecento euro al mese. È lì che mancano le case», ha dichiarato il sindaco Beppe Sala durante la sua intervento al Comitato delle Regioni. I primi cittadini hanno anche suggerito di riassegnare le risorse non utilizzate dei Recovery plan verso l’edilizia accessibile.

Sala, in particolare, ha evidenziato che i Comuni hanno impegnato il novantotto per cento dei fondi assegnati dal Next generation Eu, proponendo di redistribuire le risorse inutilizzate dai governi centrali per acquistare edifici dismessi da riconvertire in alloggi sociali ad alta efficienza energetica.

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Un’altra questione spinosa è quella degli affitti brevi, tra i responsabili della crescita insostenibile del turismo di massa (che ha un impatto negativo sui prezzi delle case per i residenti). «Abbiamo una situazione disomogenea tra Paesi. Alcune città hanno la possibilità di implementare azioni per regolamentare il mercato degli affitti brevi, altre no», dice Gualtieri. Mentre in Spagna i Comuni dispongono di strumenti efficaci e innovativi (ma non del tutto risolutivi), in Italia manca una base giuridica nazionale.

Il piano include anche la proposta di un indicatore specifico per le «aree di mercato abitativo sotto stress», che consentirebbe di identificare con precisione le zone urbane dove l’emergenza abitativa è più acuta. «Così come esistono parametri per i posti negli asili nido, dovremmo avere un indicatore analogo per l’housing», ha spiegato Gualtieri. È uno strumento che permetterebbe di orientare gli interventi dove la crisi è più severa.

Sul fronte della governance, i sindaci chiedono un coinvolgimento diretto delle città nell’implementazione dei programmi europei. «Non vogliamo omettere gli altri livelli, ma riteniamo che le città siano gli attori attuativi», ha precisato Gualtieri. «Più diretto è il collegamento con le città, più efficiente risulta sia la definizione dei bisogni che l’implementazione del programma». Una posizione condivisa dall’eurodeputata del Pd Irene Tinagli, presidente della commissione speciale dell’eurocamera sugli Alloggi, che ha sottolineato come «la crisi di accessibilità alla casa non colpisca più solo le fasce vulnerabili, ma sempre più la classe media».

Mentre si continua a discutere del piano a lungo termine, alcune misure operative sono già in fase di avvio. In occasione del Forum del Gruppo BEI tenutosi a Lussemburgo, il commissario Jørgensen e la presidente della Banca europea per gli investimenti, Nadia Calviño, hanno presentato i contenuti del Piano d’azione per l’edilizia abitativa, completato all’inizio di maggio. Il piano prevede investimenti per dieci miliardi di euro nel biennio 2025-2026, con l’obiettivo dichiarato di realizzare 1,5 milioni di unità abitative, tra nuove costruzioni e interventi di ristrutturazione.

L’iniziativa si articola su quattro assi principali: cooperazione con la Commissione europea e con le banche nazionali di promozione; attuazione a livello europeo con attenzione alle aree più esposte al disagio abitativo; un approccio integrato lungo la catena del valore del settore; il coinvolgimento di capitali privati.

Una parte del piano riguarda la sostenibilità ambientale, con l’intenzione di contribuire alla riduzione delle emissioni del comparto edilizio. Inoltre, è stato annunciato il lancio di un portale dedicato, pensato come sportello unico per facilitare l’accesso a consulenza tecnica e finanziamenti. La piattaforma sarà aperta alla partecipazione di soggetti pubblici e privati, inclusi i promotori nazionali e le istituzioni finanziarie internazionali.

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