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Ermete Realacci: “L’Italia deve fare l’Italia”

Con Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, una riflessione sui punti di forza e le eventuali debolezze del settore arredo e, più in generale, dell’Italia

Quarta potenza commerciale mondiale, l’Italia vanta eccellenze in molti settori come puntualmente evidenzia lo studio promosso dalla Fondazione Symbola, L’Italia in 10 Selfie, arrivato quest’anno alla XI edizione. Nell’edizione 2024, presentata alla Farnesina il 15 gennaio di quest’anno, tra i settori identificati c’è anche l’arredamento e non è la prima volta. Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola, spiega quali siano le caratteristiche vincenti del settore e quali i miglioramenti rispetto alle precedenti edizioni.

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Lo studio L’Italia in 10 Selfie racconta eccellenze italiane che, piccole o grandi, contribuiscono a far crescere l’economia del Paese e a migliorare la percezione all’estero del made in Italy. Qual è il denominatore comune tra settori così diversi?

Per dirla con Carlo Maria Cipolla, la missione dell’Italia da secoli è quella di “produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”. Una scommessa sulla qualità, che incrocia bellezza e innovazione, territori e comunità, ed è trasversale a tanti campi. Il settore del mobile è un esempio tra più interessanti e riconosciuti, insieme ad altri ambiti meno indagati, come rivela ancora una volta il dossier di Symbola. Solo per citare alcuni dati oggettivi, siamo il terzo Paese esportatore nel settore legno arredo e primi in Europa per produzione, ma siamo anche il Paese che esporta di più giostre e attrezzature per parchi divertimenti, siamo primi in Europa per qualità e sostenibilità nell’agricoltura e nello stesso tempo siamo molto forti nella meccatronica applicata ai comparti più svariati, comprese le macchine per la lavorazione del legno che sono una delle nostre eccellenze. Più che le politiche economiche, entrano in gioco i “muscoli” delle imprese e anche le nicchie che presidiamo possono sviluppare giri d’affari sempre più importanti nel mondo globale. Come spesso accade, noi italiani ci percepiamo più deboli di quanto non ci vedano gli altri Paesi e non riusciamo a vedere i punti di forza del nostro Paese, rilevanti anche quando parliamo di economia.

Le macchine per la lavorazione del legno sono una delle eccellenze italiane (nell’immagine un’aula dell’Artwood Academy)

Siamo anche leader nell’economia circolare…

Un’altra evidenza che pochi conoscono, frutto della capacità di trasformare una debolezza, la nostra povertà di materie prime, in processi virtuosi e in un vantaggio competitivo. La nostra fonte di energia più grande è l’intelligenza, con cui alimentiamo l’efficienza nell’uso di materie prime. Penso agli stracci di Prato, alle cartiere della Lucchesia, all’acciaio di Brescia e ovviamente al settore del legno arredo. In Italia la maggior parte dei pannelli con cui sono costruiti i mobili sono fatti con il 100% di legno riciclato.

A questo proposito, i fondi del PNRR per la transizione ecologica rappresentano una reale opportunità per le imprese? Le piccole dimensioni potrebbero essere un deterrente che rallenta uno sviluppo sostenibile?

I fondi europei sono una straordinaria occasione, soprattutto per l’Italia che ne ha beneficiato maggiormente. Per le imprese non è sempre facile districarsi nella complessità di aspetti burocratici e in questo le associazioni possono veramente fare la differenza. In generale per fare un percorso sostenibile ci vuole capacità organizzativa ma anche una visione chiara degli strumenti a disposizione e degli obiettivi raggiungibili con i propri mezzi. Ricordiamoci che i brillanti dati sull’economia circolare non sono figli di decreti ma figli della volontà di essere più efficienti e competitivi. Vale in tutti i settori. Anche nella concia la necessità di cicli più avanzati e attenti all’ambiente ha reso le nostre produzioni di maggiore qualità capaci di esportare anche in Cina.

Tra i primati italiani anche il settore delle giostre, esportate in tutto il mondo. Nella foto Swing, l’altalena gigante progettata dallo studio Stefano Boeri Interiors per Amazon, presentata nel 2023 all’Università degli Studi di Milano, alla Milano DesignWeek

Nel 2009 ad esempio il presidente cinese Hu Jintao in Italia si recò a visitare una piccola impresa, la conceria Ausonia, per capire le ragioni di questo successo. Tornando al settore legno arredo, a livello istituzionale andrebbero invece potenziate politiche lungimiranti che incentivino la forestazione, recuperando quel rispetto dell’ambiente e quella cultura del legno che fa parte della nostra storia. Parlando del bosco, la Regola Camaldolese redatta nel 1520 dice “Quando sarà da tagliare, il custode procuri d’essere presente acciocché siano tagliati in quei luoghi e quegli abeti che manco diminuiscono la selva e manco le tolgono della sua bellezza e vaghezza”. Una regola che diventa poesia, in cui il senso pratico si unisce alla ricerca costante della bellezza. Un simbolo di quella cultura che è propria anche delle migliori imprese italiane che valorizzano il territorio e ne sanno esprimere i valori.

Quanto sono importanti la filiera e il territorio?

Il modello dei distretti italiani è stato studiato a lungo ma nessuno è riuscito a imitarlo. In un sistema che è costituito da relazione e affidabilità reciproca esiste una componente immateriale che è irripetibile. La filiera, costituita anche da piccole realtà, talvolta anche artigianali, è la rete di sostegno di eccellenze straordinarie.

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Qualche esempio?

Penso al mondo dei grandi yacht, di cui ancora una volta siamo i primi produttori al mondo, e penso ovviamente a quello dell’arredo, i cui primati abbiamo già citato. La sua forza si esprime ogni anno nel Salone del Mobile, l’evento più importante per il design nel mondo. La bellezza degli oggetti è sicuramente anche espressione di un territorio straordinariamente ricco di arte. Daniel Libeskind ha detto che nei borghi italiani c’è il dna dell’umanità ma già nel 1893 l’economista John Kennet Galbraith, pur molto critico nei confronti di alcune nostre debolezze strutturali, spiegava così lo sviluppo dell’industria italiana “…La ragione vera è che l’Italia ha incorporato nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura, e che città come Milano, Parma, Firenze, Siena, Venezia, Roma, Napoli e Palermo, pur avendo infrastrutture molto carenti, possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza”.

Una riflessione conclusiva?

È sempre più evidente che l’Italia non debba inseguire la quantità ma la qualità. Solo così è vincente. La partita simbolica del vino è uno degli esempi più significativi. Quando negli anni ottanta scoppiò lo scandalo del metanolo, si produceva il 40% in più di oggi e si esportava un equivalente di 700 milioni di euro. Il trauma di quello scandalo fece invertire la rotta passando dalla quantità a basso prezzo alla qualità legata al territorio, anche attraverso il recupero di vitigni autoctoni. Oggi le esportazioni valgono più di 7 miliardi. In sintesi estrema, l’Italia deve fare l’Italia, perché il mondo ci apprezza molto più di quanto lo facciamo noi stessi.



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