Sta succedendo qualcosa di enorme, ma si continua a cianciare come se tutto scorresse sempre uguale. Neanche le guerre e i genocidi emergono più come momenti rilevanti del presente. Son considerati “normali”, magari disdicevoli e di cattivo gusto, ma in fondo “un lavoro sporco che qualcuno deve pur fare”.
Una ottusità generale gravissima, che impedisce persino di vedere e quindi concettualizzare i passaggi decisivi della Storia. En passant, si è smesso – qui nell’Occidente neoliberista – di parlare della transizione energetica, e soprattutto dei giganteschi piani di riconversione industriale che sarebbero dovuti partire per realizzarla praticamente.
Persino le decisioni che sembravano già prese in via definitiva – come il divieto di immatricolazione per le auto diesel e benzina a partire dal 2035, nell’Unione Europea – sono tornate nel cono d’ombra del “vedremo”. Anche se è chiarissimo che, per cambiare radicalmente la produzione automobilistica del Vecchio Continente, quella data è già fin troppo vicina. Se non si parte ora, non si arriverà mai in tempo. E quindi si rinuncerà a quel pur minimo obiettivo…
Negli Stati Uniti in versione Trump la parola d’ordine è stata “drill, drill, drill”, un incitamento operativo a lasciar perdere la corsa all’energia pulita e concentrarsi invece sui giacimenti (residui) di petrolio e gas. Anche se negli Usa si estrae ormai quasi soltanto dai giacimenti di scisto o dalle sabbie bituminose, a costi altissimi – sia economici che ambientali – tanto che se il prezzo del barile scende sotto i 60 dollari si produce in perdita.
Al contrario la Cina sta guidando la nuova rivoluzione industriale – incentrata sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili – sfornando brevetti, modelli automobilistici, centrali nucleari al torio, infrastrutture che fanno impallidire quanto è stato fatto nel mondo nello scorso secolo.
La competizione tra Occidente imperialista e Cina sta diventando così una competizione asimmetrica in cui il vecchio impero si arrocca nel modello industriale ormai arretrato e lascia che il resto del mondo – che già non è fatto più di popoli coloniali con archi e frecce – si getti sulla strada del futuro.
Qualche dubbio sul fatto che sia una strategia intelligente comincia a venire anche ai maggiorenti Usa, e se ne è trovata traccia nel dibattito del Congresso sul “mega-progetto” smoker di Trump, che richiede comunque investimenti molto consistenti proprio mentre ci si affanna a tagliare la spesa pubblica in ogni suo capitolo, persino militare.
Gli stessi repubblicani risultano in qualche misura divisi, con un fronte che vuole gli Stati Uniti in grado di competere con Pechino nella corsa per dominare le tecnologie energetiche del futuro — dai pannelli solari e turbine eoliche alle batterie e alle auto elettriche.
L’altro schieramento invece sostiene che la Cina abbia già vinto questa corsa, e che partecipare a questo gioco significherebbe condannare gli USA alla sconfitta. Dunque bisognerebbe concentrarsi sulle fonti energetiche in cui sono già leader: petrolio, gas naturale e carbone.
Al centro dello scontro sono finite così le centinaia di miliardi di dollari in incentivi fiscali per l’energia pulita introdotte da Biden, che ora si vorrebbero cancellare quasi integralmente. I funzionari di Trump sostengono infatti che finanziare la tecnologia verde favorisca la Cina, che domina vaste porzioni delle catene di approvvigionamento globali per batterie, veicoli elettrici, energia solare ed eolica.
Ma non si tratta più solo di componenti o di brevetti. Anche i “prodotti finiti” segnano ormai un sorpasso che appare irreversibile. Negli ultimi mesi, ad esempio, due aziende cinesi fra loro concorrenti — BYD e CATL — hanno presentato batterie per veicoli elettrici in grado di percorrere 400 o persino 500 km con una ricarica di cinque minuti. E già vengono annunciate quelle in grado di far percorrere circa 1.000 con tempi di ricarica simili.
Tesla, per dire, offre al massimo 320 km per poi star fermi almeno 15 minuti.
Gli osservatori economici più attenti stanno già mettendo in guardia circa la possibilità che, se si affermerà definitivamente il “sistema Trump”, si verifichi una clamorosa “fuga del konw how” dall’America verso la Cina. Se le nuove tecnologie energetiche si sviluppano laggiù, allora anche “i cervelli” seguiranno la stessa strada. Lasciando gli Usa – e anche l’Unione Europea, visibilmente con una guida miserabile – a corto sia di settori industriali avanzati che di “intelligenza” adeguata a farli funzionare.
Ma non si tratta di una contrapposizione tra “culture”. Si stanno misurando due diversi – e per molti versi opposti – modelli economici. Quello occidentale, sotto l’egemonia ormai quarantennale del neoliberismo, ha lasciato ai “privati” il compito di decidere sul tipo di sviluppo industriale da privilegiare.
Il “pubblico” – è stato persino teorizzato – si sarebbe dovuto limitare a creare le migliori condizioni perché il capitale privato potesse liberare i suoi “spiriti animali”, creando uno sviluppo esplosivo che poi avrebbe “sgocciolato” molliche di benessere anche verso gli strati poveri della società.
Non è notoriamente accaduto nulla di tutto ciò. “I privati” hanno pensato ad arraffare il massimo profitto possibile, riducendo al minimo l’innovazione e la ricerca (e i costi relativi), rifugiandosi poi nel mercati finanziari alla ricerca di plusvalenze ancora più veloci (con un click) e senza la noia di dover gestire (e retribuire) frotte di dipendenti.
La Cina – con un modello di “economia mista” con qualche somiglianza con quella italiana ed europea degli anni ‘60 – ha al contrario sposato la classica programmazione/pianificazione di origine socialista con una “libertà di impresa” profondamente limitata alle “politiche di piano”. E lo “sgocciolamento” è stato orientato in modo talmente forte da eliminare la povertà sul serio, non come da un balcone di Palazzo Chigi…
Per quanto riguarda la transizione energetica, per esempio, non ha seguito affatto la via occidentale (incentivi pubblici per le imprese che facevano propri alcuni limitati obiettivi, magari falsificando anche i risultati come ha dimostrato il “diesel-gate” di Volkswagen), ma ha sviluppato la ricerca pubblica e “invitato” quella privata a cooperare per massimizzare i risultati. In un modello economico in cui i profitti privati venivano e vengono in gran parte reinvestiti nel processo produttivo, anziché tesaurizzati in consumi di lusso o finanza speculativa.
I risultati oggi cominciano a diventare evidenti, come ha ben spiegato addirittura il Financial Times: “Il solare batte l’LNG in termini di costo, ed è un vantaggio per il clima. In pratica, ogni dollaro speso per importare pannelli solari equivale a un risparmio annuale di un dollaro in importazioni di gas, generando la stessa quantità di elettricità.”
Scegliere il “modello smokers” è un suicidio. Che illumina lo stato cognitivo dell’Occidente neoliberista e anticipa la sua fine.
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