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Bce, il taglio dei tassi ad aprile spinto dai dazi Usa


Avanti tutta, sia in aprile e, salvo sorprese, sia in giugno. Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) ha deciso all’unanimità di tagliare i tre tassi chiave di interesse di 25 punti base nella riunione del 16-17 aprile, un intervento calibrato con prudenza ma determinazione in un contesto economico internazionale segnato da instabilità, tensioni commerciali e una ripresa ancora incerta dell’area euro. La decisione, che ha ricevuto il via libera anche da quei membri inizialmente più propensi a una pausa, riflette l’intenzione dell’istituto di Francoforte di fornire una risposta rapida ai rischi in aumento sul fronte della crescita e dell’inflazione.

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Dai verbali pubblicati giovedì emerge che alcuni componenti del Consiglio della Bce avrebbero preferito un taglio più incisivo, da 50 punti base, per contrastare la frenata dell’attività economica e la stretta delle condizioni finanziarie. «Diversi membri avrebbero sostenuto un taglio dei tassi più ampio – si legge nel documento – rilevando che i rischi al ribasso sulla crescita sono aumentati e che, anche nel caso di un conflitto commerciale relativamente mite, l’incertezza sta già scoraggiando i consumi e gli investimenti». La spaccatura interna è stata sanata dal riconoscimento collettivo che un taglio da 25 punti base rappresentasse, in questa fase, un’assicurazione contro possibili scenari peggiorativi, evitando al contempo di alimentare ulteriori tensioni sui mercati.

La Bce osserva una ripresa moderata dell’economia dell’eurozona, sostenuta dalla domanda interna e da condizioni finanziarie meno restrittive, ma mette in guardia sul fatto che la crescita rimane fragile e disomogenea tra i Paesi membri. I consumi privati restano contenuti, riflesso di una fiducia ancora cauta da parte delle famiglie, mentre le imprese si muovono con esitazione, frenate da una crescente incertezza geopolitica e da prospettive di export più deboli. Le stime per il 2025 indicano un graduale rafforzamento del PIL, ma le tensioni internazionali rischiano di frenare gli investimenti e comprimere la domanda esterna.

Il principale fattore di rischio emerso nelle ultime settimane è stato l’annuncio da parte del presidente statunitense Donald Trump, il 2 aprile, di nuovi dazi generalizzati contro la Cina e i partner globali. La misura ha scatenato una brusca reazione sui mercati: l’indice VIX, barometro della volatilità, ha raggiunto livelli che non si vedevano dalla pandemia, mentre l’S&P 500 ha perso il 12% in pochi giorni. Il contraccolpo è stato avvertito anche in Europa, seppur in misura minore, con una conseguente ricomposizione dei portafogli globali a favore degli asset dell’eurozona. Il risultato è stato un marcato rafforzamento dell’euro, percepito dagli investitori come rifugio relativamente sicuro, e una pressione disinflazionistica ulteriore legata al calo dei prezzi delle materie prime.

Sul fronte dei prezzi al consumo, la Bce ritiene che il processo disinflazionistico sia ben avviato. L’inflazione complessiva è scesa al 2,2% a marzo, dal 2,3% di febbraio, mentre quella core ha segnato una discesa al 2,4%. Il rallentamento è attribuibile soprattutto alla flessione dell’inflazione nei servizi, che è passata dal 3,7% al 3,5%, e alla stabilizzazione dei prezzi dei beni. Le pressioni salariali, che negli scorsi mesi avevano contribuito a mantenere alti i prezzi, stanno progressivamente diminuendo: secondo l’ultima tornata di indagini, le aspettative di crescita delle retribuzioni per il 2025 si sono ridotte al 3% nelle imprese, in calo rispetto al 3,6% del trimestre precedente.

I mercati stanno quindi rivedendo al ribasso le loro aspettative inflazionistiche: gli swap sull’inflazione a un anno indicano livelli inferiori all’obiettivo del 2% per buona parte del 2025. Anche le aspettative a più lungo termine restano ancorate vicino al target, elemento che rafforza la fiducia della Bce nella traiettoria prevista. Tuttavia, l’istituto non sottovaluta i rischi: la discesa dei prezzi energetici, l’apprezzamento dell’euro e la contrazione della domanda estera rappresentano tutti fattori che potrebbero accentuare le spinte disinflazionistiche nel breve termine.

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Il taglio dei tassi si colloca in un quadro di condizioni finanziarie che, sebbene in parziale miglioramento, continuano a riflettere la recente volatilità dei mercati. I tassi sui nuovi prestiti alle imprese sono scesi di 15 punti base a febbraio, al 4,1%, mentre quelli sui mutui sono saliti leggermente al 3,3%. L’erogazione di credito alle imprese e alle famiglie mostra segnali di recupero, ma da livelli ancora modesti. Gli esperti di Francoforte osservano che la trasmissione della politica monetaria continua a essere efficace, anche se rallentata dall’elevata incertezza e dal peggioramento delle prospettive economiche.

In tale contesto, il Consiglio direttivo sottolinea il ruolo che potrebbero giocare le riforme strutturali annunciate a livello europeo, richiamando esplicitamente i rapporti redatti da Mario Draghi e da Enrico Letta come possibili catalizzatori per la crescita futura. «La situazione attuale può rappresentare un’opportunità per accelerare le riforme – si legge nei verbali – che, se attuate con decisione, potrebbero amplificare gli effetti positivi della spesa fiscale aggiuntiva pianificata in Germania». In particolare, l’allentamento del freno al debito da parte del governo tedesco, che ha aperto la strada a nuovi investimenti in difesa e infrastrutture, viene visto come un possibile volano per la domanda interna.

Se da un lato la Bce vede nella politica fiscale un alleato potenziale nella fase attuale, dall’altro mantiene un atteggiamento prudente rispetto all’evoluzione futura dei tassi. La rimozione della frase «la nostra politica monetaria sta diventando significativamente meno restrittiva» dal comunicato ufficiale riflette la volontà di evitare interpretazioni rigide o automatismi. «Non è il momento di definire se la politica sia ancora restrittiva, neutrale o espansiva – osservano i membri – ma piuttosto di mantenere flessibilità, adattandosi ai dati di volta in volta».

Pur riconoscendo che i rischi inflazionistici sono in discesa, il Consiglio non esclude la possibilità di sorprese al rialzo nel medio termine, specie se la guerra commerciale dovesse protrarsi o allargarsi. In particolare, viene evidenziato come un aumento dei dazi su beni intermedi difficilmente sostituibili potrebbe innescare un passaggio dei costi sui consumatori, con effetti persistenti sui prezzi al consumo. Anche un rialzo improvviso dei prezzi dell’energia, o un rafforzamento eccessivo della domanda interna in presenza di vincoli di capacità, potrebbero alimentare nuove pressioni sui prezzi. Ne deriva che la Bce appare determinata a non abbassare la guardia: i tassi sono stati ridotti, ma ogni ulteriore decisione verrà presa in base ai dati disponibili e alla valutazione costante dei rischi. Il messaggio è di stabilità e reattività, non di accomodamento automatico. In una fase di elevata incertezza globale, l’Eurotower intende porsi come ancoraggio di fiducia e coerenza.

Il Consiglio direttivo ribadisce il proprio impegno a garantire che l’inflazione si stabilizzi in modo sostenibile intorno al target del 2%. Le decisioni future continueranno a basarsi su tre criteri fondamentali: le prospettive per l’inflazione, la dinamica dell’inflazione di fondo e la forza del meccanismo di trasmissione della politica monetaria. In caso di peggioramento significativo delle condizioni, la Bce si dichiara pronta ad aggiustare tutti gli strumenti disponibili all’interno del proprio mandato, per garantire la stabilità dei prezzi e il corretto funzionamento della politica monetaria.



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