Il Rapporto annuale Istat ci offre una tale mole di dati sulla situazione del nostro Paese da non permettere più a nessuno di dire che non conosciamo la realtà. Se anche solo per curiosità andiamo a leggere le sintesi dei vari capitoli o guardiamo le infografiche troviamo la misurazione di molti fenomeni sociali che abbiamo magari percepito, ma di cui avremmo fatto fatica a determinare la dimensione.
È per esempio quasi dimezzato il vizio del fumo fra la generazione attuale dei 20-30enni e quella dei loro genitori. Così come è diminuito il consumo di alcool ai pasti. I più giovani hanno però un consumo di alcool fuori pasto del 30% superiore alla generazione più adulta.
Per quanto riguarda le giovani generazioni il quadro non è certamente dei migliori. Godono ovviamente di tutti i miglioramenti sociali dovuti alla crescita del benessere a partire da una speranza di vita molto maggiore di quella della generazione del primo dopoguerra.
Hanno una formazione maggiore, il tasso di laureati presente fra il totale degli addetti è cresciuto dal 14,1% al 19,4%. Fra i giovani supera il 25%. Studiare è ancora la via migliore per avere una migliore prospettiva in termini sia lavorativi che di reddito. Nel 2022 i giovani che hanno un reddito di buon livello mostrano anche una situazione economica e sociale migliore di quella della famiglia di origine. Il 53% ha un titolo universitario e il 49% è diplomato.
Pesano fortemente però ancora tre handicap iniziali. Fra i giovani provenienti da famiglie con basso titolo di studio (sovrapposte per larga parte a quelle con basso reddito) solo il 17,6% arriva alla laurea contro il 75% di quanti provengono da famiglia con i genitori in possesso di laurea.
Per i giovani del Mezzogiorno raggiungere un buon reddito è più difficile. La probabilità di avere un miglioramento rispetto alla famiglia di origine con redditi del 40-60% superiori è associata allo spostamento verso le zone più industrializzate del Paese.
La differenza di opportunità lavorative e di reddito per le donne, anche a parità di tutte le altre condizioni, è ancora alta, il peso del part-time involontario è per tre quarti femminile e contribuisce ad abbassare il reddito medio femminile che già presenta una differenza anche a parità di posizione lavorativa.
Pesa poi un tema generale verso i giovani con alti livelli di preparazione e per alcune professioni legate alla ricerca e alle nuove tecnologie. Il nostro sistema produttivo investe poco in ricerca e sviluppo. Per la dimensione di impresa, per la mancata crescita di alcuni settori produttivi e per la lenta diffusione della digitalizzazione e dell’IA. Fatto sta che molti giovani vanno all’estero ed è sempre più difficile favorirne il rientro.
La situazione giovanile è indicativa del problema lavoro che oggi interessa complessivamente la nostra realtà sociale. Abbiamo dati sicuramente positivi. L’occupazione è cresciuta e il tasso di occupazione (63% a fine 2024 oggi supera il 64%) non è mai stato così alto. Anche il Pil italiano negli ultimi 24 anni è cresciuto del 9,3%. Nello stesso periodo in Germania e Francia è cresciuto del 30% e in Spagna del 45%.
La crescita occupazionale del 16% è in linea con quanto avvenuto negli altri Paesi europei citati. Il risultato è che la nostra produttività è rimasta indietro, il Pil per occupato si è ridotto del 5,8% mentre nei tre Paesi europei è cresciuto fra il 10% e il 12%. Il Pil per ora lavorata è cresciuto solo dello 0,7%. Risultato finale la perdita del salario rispetto all’andamento dei prezzi.
Nonostante il recupero degli ultimi due anni per effetto dei rinnovi contrattuali, il potere d’acquisto dei salari non ha coperto l’effetto dell’inflazione. Se non vi è stata una maggiore tensione sociale lo dobbiamo alla crescita occupazionale che ha fatto sì che il reddito disponibile famigliare equivalente sia cresciuto del 6,3% a fronte di una diminuzione del numero dei componenti dei nuclei famigliari.
Questi effetti sulla media dei redditi disponibili e sul miglioramento registrato al 4,2% del reddito mediano convivono con grandi differenze che accentuano le divaricazioni presenti sul mercato del lavoro. Le fasce di lavoro più basse sono oggi entro situazioni di povertà. La crescita occupazionale registrata nel nostro Paese è dovuta soprattutto alla crescita in settori dei servizi alle imprese e alle persone a bassa produttività e con bassi investimenti e innovazione. Si è così determinata una fascia di lavoro povero che non permette di raggiungere l’autonomia economica famigliare.
Il quadro che esce dai dati Istat ci conferma così che abbiamo un sistema economico che zoppica. Chiarisce la tensione che riguarda certo il mercato del lavoro con la questione redditi salariali, che necessitano di un recupero degli effetti inflattivi, ma anche di una crescita per poter avere un ulteriore base di consumi e di soddisfazione per le famiglie, e di un sistema economico che richiede investimenti per un’innovazione complessiva del sistema sia industriale che della Pubblica amministrazione.
In questi ultimi anni tutti i leader populisti che sono stati e sono al Governo hanno inseguito singoli problemi sociali inventando bonus. Alle obiezioni hanno sempre risposto che la priorità era rispondere alle povertà. L’Istat certifica che così le povertà sono aumentate. Spostare decisamente risorse su investimenti che facciano crescere velocemente la produttività e insieme i consumi interni con crescita dei salari sarebbe una via alternativa da provare.
Sarebbe anche una sfida alle parti sociali per chiede a tutti di assumersi responsabilità per comportamenti che hanno a cuore il futuro collettivo e non battaglie, vedi i prossimi referendum, che hanno lo sguardo rivolto al passato.
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