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Il contratto a tempo determinato dopo il Collegato Lavoro


Modifiche alla disciplina della somministrazione di lavoro

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In materia di somministrazione di lavoro, l’art. 10 L. 203/2024 (cd. Collegato Lavoro), con il comma 1, lettera a), numero 1, ha soppresso gli ultimi due periodi dell’art. 31 c. 1 D.Lgs n. 81/2015, eliminando così la disciplina transitoriamente in vigore fino al 30 giugno 2025, che consentiva agli utilizzatori di superare il limite complessivo di 24 mesi, anche non continuativi, per le missioni a tempo determinato di un medesimo lavoratore somministrato, laddove l’agenzia di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore di aver assunto detto lavoratore a tempo indeterminato. Lo sforamento del limite temporale di 24 mesi dispone ora la costituzione in capo all’utilizzatore di un rapporto a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato.

Con la circolare n. 6 del 27 marzo 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha precisato che per il calcolo del periodo di 24 mesi,si conteggiano solo i periodi di missione a termine avviati successivamente al 12 gennaio 2025, data di entrata in vigore del Collegato Lavoro. Le missioni in corso al 12 gennaio, fino al 30 giugno 2025 potranno giungere alla naturale scadenza, senza che l’utilizzatore incorra nella sanzione della trasformazione a tempo indeterminato.

L’art. 10 c. 1 lett. a) n. 2 L. 203/2024 estende invece le categorie di lavoratori escluse dal limite quantitativo del 30% di lavoratori a termine e somministrati a tempo determinato, rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al primo gennaio dell’anno di stipulazione, previsto dall’art. 31 c. 2 D.Lgs. 81/2015.

Rientrano nelle ipotesi escluse dai limiti quantitativi del 30%, i contratti conclusi:

  • in fase di avvio di nuove attività;
  • da start-up innovative; 
  • per lo svolgimento di attività stagionali;
  • per lo svolgimento di specifici programmi o spettacoli; 
  • per la sostituzione di lavoratori assenti; 
  • con lavoratori over 50. 

Inoltre, viene ora consentito di non conteggiare entro la citata percentuale del 30% i lavoratori inviati in missione a tempo determinato, qualora siano assunti a tempo indeterminato dal somministratore.

 

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Infine, con l’obiettivo di incentivare le opportunità di impiego per i lavoratori che versano in situazioni di particolare debolezza, l’art. 10 c. 1 lett. b) modifica l’art. 34 c. 2 D.Lgs. 81/2015 per consentire alle agenzie di somministrazione di inviare in missione a tempo determinato senza l’apposizione di causale:

  • i soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali;
  • i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati, di cui ai numeri 4) e 99) dell’art. 2 c. 1 Reg. UE 651/2014 come individuati con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali adottato ai sensi dell’art. 31 c. 2 D.Lgs. 81/2015.  

Norme di interpretazione autentica riferite alle attività stagionali

L’art. 11 del Collegato Lavoro ha fornito un’interpretazione autentica in materia di attività stagionali (art. 21 c. 2 D.Lgs. 81/2015) chiarendo che vi rientrano, oltre a quelle indicate dal DPR 1525/1963, anche le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa, secondo quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro, ivi compresi quelli già sottoscritti alla data di entrata in vigore del Collegato Lavoro, stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella categoria, ai sensi dell’art. 51 D.Lgs. 81/2015.

Trattandosi di una norma di interpretazione autentica, ha natura retroattiva e trova applicazione anche per i contratti collettivi firmati prima della sua entrata in vigore.

In base alla disposizione in esame, sono considerate stagionali non solo le tradizionali attività legate a cicli stagionali ben definiti, ma anche quelle indispensabili a far fronte ad intensificazioni produttive.

L’art. 11 in commento ha chiarito come la stagionalità, legittimante l’apposizione di un termine senza intervalli tra due contratti consecutivi, vada individuata, oltre che nelle casistiche elencate dal DPR 1525/1963, anche nelle norme dei CCNL.

È quindi compito della contrattazione collettiva chiarire le caratteristiche delle attività che possono essere ricomprese nel concetto di stagionalità: è bene ricordare infatti che i contratti a termine stipulati per attività stagionali hanno vincoli ridotti rispetto alla generalità dei contratti a termine. In particolare, possono essere prorogati o rinnovati senza causale, non si applica la durata massima di 24 mesi e non si applica lo stop & go.

Per quanto riguarda le casistiche di esenzione dal versamento del contributo addizionale NASpI (1,40%) e dall’incremento previsto in occasione di ciascun rinnovo (0,50%), in ambito lo lavoro stagionale, l’INPS è intervenuta con il messaggio n. 269 del 23 gennaio 2025 e il messaggio n. 483 del 7 febbraio 2025.

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La durata del periodo di prova

L’art. 13 del Collegato Lavoro integra l’art. 7 c. 2 del Decreto Trasparenza (D.Lgs. 104/2022), il quale prevedeva che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova fosse stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego, dando attuazione alla Dir. UE 1152/2019 relativa alle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea, in base alla quale gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che la durata del periodo di prova nel rapporto di lavoro a tempo determinato sia proporzionata alla durata del contratto.

Le nuove disposizioni, introdotte dall’art. 13 in commento, si aggiungono a quanto sopra riportato, stabilendo che, fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in 1 giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può:

  • essere inferiore a 2 giorni né superiore a 15 giorni per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a 6 mesi,
  • essere inferiore a 2 giorni né superiore a 30 giorni, per quelli aventi durata superiore a 6 mesi e inferiore a 12 mesi.

Nel caso di contratti a termine di durata superiore ai 12 mesi, fatte salve le previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva, il periodo di prova sarà calcolato moltiplicando 1 giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario anche oltre la durata massima di 30 giorni stabiliti per i contratti a termine di durata inferiore a 12 mesi.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella richiamata circolare n. 6 del 27 marzo 2025, è intervenuto sul concetto di “miglior favore” applicabile dalla contrattazione collettiva. Per quanto riguarda i criteri in base ai quali valutare quali disposizioni della contrattazione collettiva siano più favorevoli rispetto alla previsione normativa, precisa la circolare, occorre considerare che, generalmente, in applicazione del  principio del favor prestatoris, per il quale in ambito lavoristico è da preferire l’interpretazione che accorda una maggiore tutela al lavoratore, viene considerata più favorevole una minore estensione del periodo di prova, a causa della precarietà che lo stesso comporta per il lavoratore.

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