L’Europa è in ritardo su innovazione e competitività. . E non si tratta di una percezione, ma di un dato oggettivo. Va, quindi, vista con interesse e attenzione la strategia definita dalla Commissione Europea nel piano “Choose Europe to startu and scale“. Ma servono velocità e ambizione.
La fotografia attuale dell’economia digitale mondiale parla chiaro: i giganti tech sono nati altrove. Negli Stati Uniti, o in Cina. Google, Apple, Microsoft, Meta, Amazon, Alibaba, Tencent: nessuno di questi colossi ha radici europee. L’unico tra i “giganti” nati da questo lato dell’Atlantico è Spotify, svedese. Una bella storia, certo, ma non sufficiente a compensare il gap sistemico che determina il ritardo dell’Europa su innovazione e tecnologia.
Eppure, non mancano né il talento né lo studio. Anzi, in molti ambiti la ricerca accademica europea è tra le più avanzate al mondo. È a Londra, ad esempio, che nasce DeepMind, il laboratorio pioniere dell’intelligenza artificiale poi acquisito da Google. L’Europa genera scienza, ma non la trasforma in aziende scalabili. L’innovazione, quindi, può partire da qui, ma cresce altrove.
Il ritardo europeo sull’innovazione: tre fattori
Il mio punto di vista, come Director Italy di Plug and Play, piattaforma globale di innovazione nata in Silicon Valley e attiva in oltre 60 sedi nel mondo – tra cui Milano, Torino, Modena e Catania – è che i fattori alla base del ritardo dell’Europa sull’innovazione siano molteplici, e ben identificabili.
- Il primo riguarda l’accesso al capitale lungo tutta la filiera dell’innovazione. Gli ecosistemi europei hanno negli ultimi anni fatto progresso in alcune fasi, ma c’è ancora molto da fare — soprattutto per ciò che riguarda le fasi di investimento growth. Questo fattore rallenta la capacità delle startup di crescere, attrarre talenti globali, scalare, commercializzare tecnologie ed uscire dai confini nazionali. Chiaramente esistono storie di successo, ma la catena del valore non è ancora “industrializzata”.
- Il secondo fattore è il fatto che il mercato delle exit sia ancora relativamente poco sviluppato: poche IPO, exit ed acquisizioni strategiche. Senza strategie di uscita chiare, anche gli investitori istituzionali rimangono alla finestra. Questo gap si lega al terzo punto: un contesto culturale spesso avverso al rischio. In Europa, l’imprenditore che fallisce porta uno stigma mentre negli Stati Uniti, è quasi un badge of honor.
- A questo si aggiunge una riluttanza all’adozione dell’innovazione, in particolare tra le PMI. Troppe aziende aspettano che la trasformazione digitale sia “sicura” prima di adottarla, perdendo slancio competitivo. Ma, come ricordiamo spesso, oggi la cosa più rischiosa è non prendersi rischi. Il mondo non aspetta.
Che cosa fare per colmare il ritardo europeo: 6 azioni concrete
In Plug and Play, la visione è chiara: investire in tecnologia non è solo una scelta economica, ma è una scelta strategica. Se vogliamo che i valori europei della democrazia, libertà di parola e di espressione, stato di diritto e mercato aperto sopravvivano nella competizione globale, dobbiamo dotarci degli strumenti tecnologici giusti per difenderli e promuoverli. Per farlo, servono alcune azioni concrete:
- Capitali: dobbiamo potenziare gli strumenti finanziari per sostenere le startup in ogni fase. Non bastano i fondi pubblici o privati: serve un’infrastruttura capace di attirare anche investitori istituzionali, come i fondi pensione. È qui che il ruolo del regolatore diventa fondamentale — e stiamo andando nella direzione giusta.
- Il pubblico come abilitante: se pensiamo a DARPA, in Silicon Valley, lo Stato ha agito soprattutto come acquirente — dando il via all’ecosistema oggi più innovativo al mondo. In Europa, seguiamo un modello diverso, ma potenzialmente altrettanto vincente — come in Francia con BPIFrance o in Italia con CDP Venture Capital, che agiscono da catalizzatori senza sostituirsi al privato.
- Favorire il mercato delle exit: costruire un mercato secondario, facilitare M&A strategici e rendere il processo per arrivare alle IPO più accessibile anche sotto un profilo regolatorio sono elementi essenziali per creare un “flywheel-effect” virtuoso. Le storie di successo attirano capitale, creano nuovi angel investor e formano altri imprenditori. Un ciclo che, in alcune aree d’Europa, e anche in Italia, ha già iniziato a girare.
- Scommettere sui settori giusti: l’Europa ha punti di forza nei settori deep tech, nell’energia, nei materiali avanzati e nella manifattura di precisione. Qui possiamo fare la differenza su scala globale. Se riusciamo, ad esempio, a guidare l’innovazione energetica – immaginiamo l’impatto di tecnologie che garantiscano abbondante energia a basso costo – potremmo davvero riscrivere le regole del gioco economico globale.
- Sviluppare propensione all’innovazione “rischiosa”: come piattaforma di innovazione, collaboriamo ogni giorno con aziende e startup per superare le barriere culturali. Ma serve uno scatto collettivo: istituzioni, imprese, università e investitori. È tempo di mettere da parte l’attendismo e investire davvero nel futuro.
- Infine, serve una strategia coesa a livello Europeo per attrarre talenti con un’ambizione globale. Anche in quest’ottica, gli ultimi passi presi per il programma Choose Europe sono incoraggianti.
Uno scenario di possibilità per la competitività europea
Il nuovo Startup and Scaleup Manifesto, pubblicato qualche giorni fa, si muove in questa direzione.
Le proposte contenute – più capitale, incentivi fiscali, supporto alle scaleup, semplificazioni normative – rappresentano passi importanti. Ma servono maggiore ambizione, visione e urgenza nell’agire.
Al Plug and Play Italy Summit 2025, il tema che abbiamo scelto di portare all’attenzione del nostro pubblico è stato proprio questo: la competitività europea. Un confronto strategico tra decision maker, imprenditori, ricercatori e investitori dove abbiamo discusso di AI, filiere industriali, deep tech, venture capital e, soprattutto, abbiamo riflettuto sul ruolo concreto che possiamo e dobbiamo giocare per colmare il divario e riportare l’innovazione europea al centro della scena globale.
Non è una sfida impossibile. È, semplicemente, la sfida del nostro tempo.
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