Marelli torna nell’occhio del ciclone. Dopo anni turbolenti, segnati da passaggi di proprietà e tentativi di rilancio, il gruppo industriale nato dalla fusione di Magneti Marelli e Calsonic Kansei potrebbe cambiare ancora bandiera. Secondo diverse indiscrezioni non smentite, il fondo statunitense Kkr, attuale proprietario, sarebbe in trattativa avanzata con Samvardhana Motherson International Ltd (Samil), colosso indiano della componentistica auto da 12 miliardi di euro di fatturato e 129.000 dipendenti.
L’accordo — secondo quanto emerso — prevederebbe un’operazione a costo zero per gli acquirenti, con l’assunzione di circa il 20% del debito di Marelli (pari a 4,2 miliardi complessivi) e un aumento di capitale da 700 milioni di euro, indispensabile per garantire la continuità aziendale. Ultimo tassello della vicenda: il 7 giugno Marelli Holdings Usa ha chiesto l’accesso al Chapter 11, la procedura giudiziale americana (per alcuni aspetti simile al nostro concordato preventivo) che consente di ristrutturare il debito – pari a 4,2 miliardi di euro – per garantire la continuità operativa del gruppo.
Un capitolo chiave della storia industriale italiana
Marelli è molto più di un nome nella componentistica automotive: è un pezzo pregiato della storia industriale italiana, nato all’interno della galassia Fiat-Agnelli e protagonista per decenni dello sviluppo tecnologico e produttivo del settore automobilistico. Fondata nel 1919 da Ercole Marelli, ha contribuito a plasmare l’evoluzione dell’automobile in Italia e nel mondo. Con innovazioni nei sistemi di illuminazione, powertrain, elettronica di controllo e infotainment, Marelli ha segnato tappe fondamentali nella modernizzazione della filiera dell’auto. Alcune sue soluzioni sono state adottate da costruttori globali come Ferrari, Maserati, Bmw, Mercedes-Benz e Toyota. Il know-how nei sistemi ibridi e nell’elettronica di potenza la colloca ancora oggi tra i fornitori tecnologicamente più avanzati del settore. Marelli ha inoltre giocato un ruolo pionieristico nell’integrazione dell’elettronica nei veicoli, sviluppando centraline elettroniche e software embedded in grado di gestire funzioni sempre più complesse.
Nel corso della sua storia, Marelli ha anche rappresentato un punto di riferimento per l’evoluzione della manifattura automotive italiana, contribuendo alla formazione di tecnici e ingegneri altamente qualificati. I suoi centri di ricerca e sviluppo in Italia, Giappone e Germania continuano a lavorare su tecnologie chiave come l’elettrificazione, i sistemi di guida assistita e l’efficienza energetica dei veicoli. La sua capacità di sviluppare moduli integrati per veicoli elettrici è oggi un asset strategico in un’industria in piena transizione.
La crisi e il Chapter 11 negli Stati Uniti
Negli ultimi anni, però, il gruppo ha affrontato una profonda crisi. L’operazione da 6,2 miliardi di euro con cui, nel 2019, Kkr ha acquisito Magneti Marelli da Fca per poi fonderla con la giapponese Calsonic Kansei (controllata sempre da KKR), ha dato origine a un nuovo soggetto globale da 15 miliardi di fatturato. Il vantaggio era dimensionale. Lo svantaggio consisteva nel fatto KKR ha poi riversato sulla newco una parte del debito contratto per acquisirla: la nuova Marelli, pertanto, è partita azzoppata. Non a caso, la fusione ha incontrato difficoltà operative e finanziarie fin dall’inizio. A livello industriale, le sinergie previste non si sono pienamente realizzate e l’integrazione organizzativa tra la parte italiana e quella giapponese ha generato frizioni gestionali e disallineamenti strategici. Inoltre, il precedente rapporto privilegiato con Fiat e poi con Fca è andato perduto: la nuova Stellantis ha preferito privilegiare fornitori francesi. A questo si è aggiunta la pandemia, che ha impattato la catena di fornitura e il mercato automotive globale.
Sabato 7 giugno è emersa la notizia della richiesta di accesso al Chapter 11 negli Stati Uniti da parte di Marelli Holdings Usa, strumento legale previsto dal diritto fallimentare americano per consentire alle aziende in difficoltà di ristrutturare i propri debiti. La richiesta riguarda una parte della struttura del gruppo e ha lo scopo di ridurre il peso del debito complessivo, oggi stimato in circa 4,2 miliardi di euro. L’obiettivo è quello di garantire la continuità operativa dei siti produttivi e il mantenimento delle attività chiave nei mercati strategici.
Trattative con Motherson in fase avanzata
Parallelamente alla procedura americana, Kkr starebbe trattando la cessione di Marelli a Samvardhana Motherson International Ltd (Samil). Il gruppo indiano, che già nel 2022 aveva sondato il terreno, sarebbe tornato alla carica dopo il mancato accordo tra KKR e Bain Capital. Per il fondo americano, che aveva investito oltre 6 miliardi di euro nell’operazione originaria di acquisizione e fusione, l’attuale strategia punta a ridurre la propria esposizione, salvaguardando al contempo la continuità industriale di Marelli. L’operazione con Motherson prevede un’acquisizione senza esborso diretto, con l’assunzione di circa il 20% del debito e un aumento di capitale da 700 milioni. Alcuni asset, secondo indiscrezioni, potrebbero essere riassorbiti da Nissan, storico partner tecnologico di Calsonic.
La trattativa riflette un ritorno di interesse da parte di Motherson, che aveva già manifestato attenzione al dossier in passato, ma che si era poi defilata di fronte al rischio di un’integrazione troppo onerosa. Ora, però, la situazione potrebbe essere più favorevole per una ripartenza selettiva, con una valorizzazione degli asset più strategici e l’abbandono di quelli non più core. La logica dell’operazione sarebbe quindi quella di un consolidamento mirato, da attuare attraverso una ristrutturazione del perimetro operativo.
Chi è Motherson
Fondata nel 1975 a Noida, Samvardhana Motherson è oggi uno dei principali fornitori Tier 1 al mondo. Il gruppo opera in 44 Paesi con oltre 425 stabilimenti, producendo cablaggi, moduli plastici, sistemi per specchi retrovisori e soluzioni ad alta complessità per i veicoli premium. Negli ultimi anni ha avviato una strategia di diversificazione anche fuori dall’automotive, annunciando che circa il 70% del capitale investito nel 2026 sarà destinato a settori diversi. Il management, guidato dalla famiglia Sehgal, è considerato tra i più dinamici e proiettati all’innovazione dell’intero comparto.
La struttura di Motherson si fonda su un forte presidio ingegneristico, una supply chain estesa e un modello industriale flessibile, capace di adattarsi a richieste diversificate nei diversi mercati geografici. Il gruppo ha già effettuato diverse acquisizioni in Europa e ha dimostrato una certa attenzione alla valorizzazione delle competenze locali. In questo senso, l’acquisizione di Marelli potrebbe rappresentare un’occasione per rafforzare la sua presenza tecnologica in Europa e presidiare aree strategiche della componentistica automotive avanzata.
Una cessione strutturale per Kkr
Va sottolineato che, per loro natura, i fondi di private equity come Kkr non mantengono a lungo le partecipazioni. La durata media va fra i 3 e i 5 anni. L’obiettivo è valorizzarle per poi uscire con una plusvalenza. In questo caso, l’uscita potrebbe rappresentare più un ridimensionamento delle perdite che un guadagno, ma è coerente con la logica del settore. L’interrogativo è se Motherson, a differenza di altri soggetti, possa garantire continuità industriale e un reale rilancio.
Occupazione e ruolo del governo
In Italia, Marelli impiega circa 6.000 lavoratori su 50.000 totali. I siti di Torino, Bologna, Sulmona, Crevalcore e Corbetta sono al centro delle preoccupazioni sindacali, che temono tagli, delocalizzazioni o ristrutturazioni senza adeguate garanzie. Le organizzazioni dei lavoratori chiedono un intervento del Governo per ottenere chiarimenti dai vertici e da Kkr sulle prospettive industriali e occupazionali. Si chiede in particolare che venga definito un piano industriale trasparente, con impegni su investimenti, linee di produzione e mantenimento dell’occupazione nei siti strategici. Certo è che in questa partita il Governo italiano non ha molte carte da giocare. Se anche potesse impedire la cessione agli indiani (e non può), non aiuterebbe Marelli: restare impaludata con KKR sarebbe molto probabilmente assai peggio.
Tra rischio e rilancio
Se da un lato c’è il timore di un’ennesima ristrutturazione lacrime e sangue, dall’altro l’ingresso di Motherson potrebbe rappresentare un’opportunità di rilancio, con nuovi investimenti e l’integrazione in un ecosistema globale ben strutturato. Vale la pena ricordare che, negli anni precedenti alla cessione da parte di Fca, il gruppo Marelli era già in sofferenza e privo di investimenti strategici. Il rilancio, se ci sarà, potrebbe paradossalmente arrivare più da Nuova Delhi che da Torino. In un contesto globale in cui la tecnologia automotive evolve rapidamente, l’ingresso di un attore dinamico e globalizzato potrebbe essere la condizione necessaria per valorizzare davvero le competenze accumulate in oltre un secolo di storia industriale italiana.
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