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Diritti umani in filiera agroalimentare e Gdo: luci e ombre


Com’è la situazione dei diritti umani nel settore agroalimentare e nella distribuzione? Se c’è stata una fase in cui sembrava che si stesse migliorando, il terzo Rapporto dell’Osservatorio italiano imprese e diritti umani (Oiidu) sottolinea come in questo momento è in atto un arretramento. Sia del dibattito pubblico, sia delle normative. Il documento, presentato il 10 giugno a Milano da Avanzi – Sostenibilità per azioni, analizza il comportamento delle grandi imprese di produzione nella filiera agroalimentare e di quelle della distribuzione organizzata (Gdo).

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A detta degli autori, il problema non è tanto il contesto reale, quanto il clima generale che si sta creando. La falsa percezione di un clima punitivo e limitante per le imprese ha conseguenze dirette sugli strumenti giuridici e, in generale, sulla democrazia anche all’interno delle filiere. In questo senso, il report si presenta come uno strumento per costruire una narrazione corrispondente ai fatti.

Perché studiare la due diligence sui diritti umani nella filiera agroalimentare

La scelta di analizzare i progressi in sostenibilità e diritti umani proprio del settore agroalimentare deriva da due ordini di motivi. Da un lato le sue caratteristiche intrinseche. Dall’altro, il ruolo cruciale dei consumatori. Guardando alla prima ragione: quella agroalimentare è considerata una filiera ad alto rischio di violazioni dei diritti umani, soprattutto durante la raccolta delle materie prime che fa un intensivo ricorso a manodopera.

Contemporaneamente, molte delle aree di produzione sono povere, il che facilita la possibilità di sfruttamento. Già nel precedente rapporto Oiidu era emerso come queste violazioni (caporalato compreso) non riguardassero solo Paesi a basso reddito, ma fossero presenti anche nelle campagne italiane. Come dimostrano i dati Istat, l’agricoltura è uno dei settori più colpiti insieme ad alloggio, ristorazione, edilizia e alimentare. Nel 2022 lo sfruttamento in questi comparti valeva 69,2 miliardi di euro: il 3,5% del nostro prodotto interno lordo nazionale dipendeva da lavoro irregolare. Le posizioni di lavoro irregolare erano circa 3,63 milioni, il 12,3% del totale, con una concentrazione particolarmente elevata nei doppi lavori dipendenti e nel lavoro domestico.

Premesse la necessità di interventi normativi più stringenti e di controlli più frequenti, chi consuma può avere un ruolo centrale. Perché, con le sue scelte, può guidare le imprese verso pratiche responsabili. La Gdo, essendo il punto d’incontro tra produzione e consumo, ha un potenziale di influenza sulle scelte di acquisto responsabili che appare ancora poco o per nulla attivato.

Imprese agroalimentari: livelli di sostenibilità, consapevolezza e limiti operativi

Dall’esame dei report di sostenibilità volontari delle imprese agroalimentari, emerge che nell’88% dei casi la filiera è esplicitamente citata come un fattore critico, collegato a sicurezza alimentare, freschezza, qualità e origine delle materie prime. Questo richiede maggiori controlli sulla catena di fornitura. Il 62% delle imprese adotta iniziative strutturate, riconducibili a due approcci: integrazione della filiera (con relazioni dirette e durature) e selezione dei fornitori che abbiano certificazioni o valutazioni approfondite. Il modello delle cooperative e dei consorzi, dove i fornitori sono anche proprietari dell’impresa di trasformazione, è uno degli esempi di relazione stretta con i fornitori riportato dallo studio.

 

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L’88% delle imprese è consapevole della rilevanza della filiera in termini di sostenibilità, il 50% cita i diritti umani. Ma, fra le 26 imprese monitorate, sono solo otto quelle che hanno adottato politiche o standard specifici per l’approvvigionamento responsabile. Solo il 15% cita l’implementazione di una due diligence. Tra le iniziative concrete per il controllo della sostenibilità nella filiera ci sono gli audit (46%), le valutazioni Esg (31% proprie, 38% esterne), la richiesta di certificazioni (31%). L’uso di clausole contrattuali con codici di condotta per i fornitori è meno diffuso (61%) rispetto ad altri settori. Gli standard esterni possono essere generali (Smeta, Ecovadis, SA 8000) o settoriali (GlobalGAP-Grasp, Rainforest Alliance, Fairtrade).

Tuttavia, la garanzia di qualità o origine controllata nelle filiere integrate, anche italiane, non si estende automaticamente alla sostenibilità e ai diritti umani. Le imprese che si attivano su questi aspetti non superano il 61% per nessun singolo strumento analizzato. Molti sistemi sono ancora in fase di avvio o applicati solo a una parte dei fornitori. Solo il 35% delle imprese ha definito obiettivi sulla sostenibilità della filiera. Un’eccezione positiva si osserva in alcune imprese che lavorano materie prime come cacao o caffè.

Gdo e diritti umani: perché i controlli restano insufficienti

Nel settore della Gdo, il 78% delle imprese monitorate fornisce una rendicontazione sulla sostenibilità, in gran parte su base volontaria. Tuttavia, solo due imprese considerano esplicitamente i diritti umani come tema rilevante. La gestione sostenibile della catena di fornitura è ritenuta rilevante solo dal 29% delle società della Gdo, un dato significativamente inferiore rispetto alle imprese agroalimentari (88%).

Solo il 17% delle imprese Gdo ha adottato una politica specifica sui diritti umani. Alcune menzionano l’impegno nei codici di condotta per i fornitori o nel codice etico, ma spesso in modo generico. Solo due imprese hanno dichiarato di avere un processo strutturato di due diligence sui diritti umani. Il 79% controlla i propri fornitori con diversi strumenti (audit, criteri di selezione, clausole contrattuali), concentrandosi però quasi solo sui prodotti a marca del distributore (Mdd). Nella maggior parte dei casi, i criteri di selezione e monitoraggio dei fornitori non sono specificati nel dettaglio. Al limite si menzionano qualità, affidabilità o criteri etico-sociali basilari (salute e sicurezza sul lavoro, rispetto delle norme contro il lavoro nero). Solo in tre casi vi è un riferimento esplicito agli audit sociali o ai diritti umani, con focus sulle catene a rischio più elevato.

Come la Gdo avvia una due diligence sui diritti umani per colmare il ritardo

Solo la metà degli intervistati adotta clausole contrattuali che impongono codici di condotta, ma spesso senza verifiche o sanzioni. Nel 64% dei casi effettuano degli audit che però, in linea di massima, verificano solo qualità e sicurezza. In nessun caso si adottano incentivi per i fornitori basati sulle performance Esg e, in generale, c’è uno scarso monitoraggio delle catene di fornitura. Gli strumenti per raccogliere segnalazioni di violazioni dei diritti umani sono rari, così come i programmi di formazione specifica per i dipendenti e la partecipazione a iniziative multistakeholder sono limitate. Un tema assente nei report della Gdo è quello del giusto prezzo e delle pratiche di acquisto.

Le interviste con le imprese agroalimentari evidenziano che le richieste di informazioni ambientali, sociali e di governance (Esg) da parte della Gdo sono generalmente poche e poco sistematiche. A differenza per esempio dei Paesi del Nord Europa (e in parte Germania, Francia, Regno Unito, Nord America), dove le richieste sono più approfondite e includono spesso audit e requisiti di selezione. Tuttavia, il settore nel suo complesso è percepito in movimento, con alcuni gruppi italiani che mostrano crescente interesse negli ultimi due anni. Soprattutto quelli di maggiori dimensioni e alcuni discount, come Lidl e Aldi. Per ora si tratta per lo più di sollecitazioni, non di criteri di esclusione.

Direttive Csrd e Csddd: come spingono la Gdo verso maggiore trasparenza

Secondo le imprese intervistate, nei prossimi anni le normative sulla due diligence (Csddd), sulla rendicontazione di sostenibilità (Csrd) e sulla deforestazione (Eudr) intensificheranno le richieste di informazioni dalla Gdo. Certo, l’attesa è per richieste cautelative, volte a individuare requisiti di mera conformità formale. Parallelamente, le iniziative europee contro il greenwashing (“Green claims”) avranno un impatto rilevante in termini di comunicazione.

L’attenzione dei consumatori alla sostenibilità non è prioritaria; prevalgono prezzo e qualità (nutrizionale). Non aiuta il sistema di diverse etichette che tende a confondere. Da questo punto di vista, la Gdo è vista come un attore indispensabile per l’informazione di sostenibilità ai consumatori, data la centralità del punto vendita. Alcune imprese suggeriscono che la Gdo dovrebbe giocare un ruolo “educativo” e privilegiare i prodotti più sostenibili sugli scaffali.

 

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Linee guida Ocse-Fao: due diligence per filiere agricole responsabili

Il rapporto invita a prendere in considerazione le linee guida Ocse-Fao per catene di fornitura agricole responsabili, sviluppate tra il 2013 e il 2015 e approvate nel 2016. Lo schema di due diligence sul rischio prevede cinque fasi: integrazione nelle politiche della Rbc (condotta di business responsabile), identificazione e valutazione dei rischi, mitigazione, monitoraggio e comunicazione. Le aree chiave sono diritti umani, diritti dei lavoratori, salute e sicurezza, sicurezza alimentare, diritti fondiari, benessere animale, ambiente, governance e innovazione.

Applicare la due diligence è tutt’altro che semplice. La catena di fornitura agroalimentare è complessa; implementare strumenti di monitoraggio richiede costi che generano resistenze, soprattutto dai fornitori. Ci sono generiche difficoltà di monitoraggio e trasparenza, e nelle relazioni con le comunità locali. Ma funziona. Statistiche basate su altri rapporti indicano miglioramenti significativi in termini di riduzione delle emissioni (-15%), riduzione dello sfruttamento lavorativo (-30%), miglioramento delle condizioni di lavoro (+20%), resilienza e trasparenza (+25%), collaborazione con le comunità (+40%) e crescita del fatturato (+10%).

Da mappatura a best practice: il percorso di vigilanza sui diritti umani in filiera e Gdo

Guardando al complesso della filiera agroalimentare e alla Gdo c’è poco da essere ottimisti. L’attenzione a sostenibilità e diritti umani è scarsa. Se le imprese di produzione hanno assunto impegni maggiori che, però, non sempre si traducono in processi gestionali. La distribuzione d’altronde cura poco il tema e quasi solo per i prodotti a marchio.

Cosa si può fare? Secondo il rapporto, le imprese (sia agroalimentari che Gdo) dovrebbero sviluppare una mappatura completa delle filiere e implementare processi di due diligence strutturati. La comunicazione ai consumatori deve essere credibile e focalizzata su aspetti materiali e verificabili. La Gdo dovrebbe rafforzare il presidio interno sui temi di sostenibilità, investire nella formazione degli uffici acquisti, coinvolgere le imprese agroalimentari in iniziative valorizzate verso i consumatori e promuovere il co-branding di prodotti sostenibili. È fondamentale collaborare con imprese agroalimentari, Ong ed esperti per acquisire competenze e sviluppare iniziative. Un punto cruciale è adottare il principio del giusto prezzo per i fornitori in filiere a rischio.

Le Ong, da parte loro, servono per sollecitare e stimolare un circolo virtuoso. Infine, le istituzioni pubbliche possono contribuire rafforzando il controllo sulla legalità del lavoro nella filiera e promuovendo un’informazione corretta ai consumatori. Insomma la strada da fare è ancora lunga, ma è tracciata. Si tratta solo di avanzare.

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