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Fintech, serve maggiore confronto tra investitori e startup


Dialogo e collaborazione. Sono le parole d’ordine per garantire il consolidamento del settore fintech in Italia. Lo dice il nuovo studio “Founders vs Investors: two faces of fintech funding”, realizzato da EY e Italia Fintech e presentato ieri a Milano. Dopo le due edizioni precedenti della ricerca Fintech Waves, che hanno offerto uno sguardo complessivo su un ecosistema in via di consolidamento, il focus di questo nuovo studio si sposta sul rapporto tra startup e investitori.

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IL FINTECH IN ITALIA

Nonostante il 2024 abbia fatto registrare circa 600 startup attive, il settore fintech italiano deve confrontarsi con una serie di aspetti che ne limitano l’accesso al capitale, specialmente nelle fasi iniziali di sviluppo.

Se il 2022 è considerato l’anno d’oro con una raccolta complessiva pari a 1 miliardo di euro, il biennio 2023-2024 ha offerto performance decisamente al di sotto in termini di funding con, rispettivamente, 174 milioni e 250 milioni raccolti.

Sebbene il fintech rappresenti un settore ad alto potenziale innovativo, permane una sua marginalità all’interno delle priorità strategiche degli investitori. Tale tendenza è evidenziata dalla dimensione contenuta dei ticket medi e dal limitato peso del comparto nei portafogli complessivi: in oltre un terzo dei casi, il valore allocato risulta inferiore ai 500.000 euro. La crescita del 2024 non è sufficiente a portare l’Italia allo stesso livello di altri Paesi europei come UK, Francia e Spagna, sia in termini di startup per abitante, sia di capitali raccolti.

LA PROSPETTIVA DI INVESTITORI E STARTUPPER FINTECH

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Il questionario di EY e Italia Fintech è stato somministrato a circa 90 fintech e circa 50 investitori, cui si aggiungono 13 interviste qualitative a startupper e investitori nel fintech. I risultati sono stati presentati da Federica Baiocchi, Innovation and Fintech Manager di EY e Massimiliano Varani, Partnerships & Projects manager del Fintech District.

Secondo lo studio, 75% dei fondatori ha notato un disallineamento strategico tra la loro visione e quella degli investitori. Il 45% dei fondatori ha esperienze imprenditoriali pregresse. Il 75% dei fondatori e 80% degli investitori dicono che network personale contano nel chiudere i i deal.

Il 75% degli investitori dice che per le startup le competenze organizzative sono molto importanti, e non bastano quelle tecniche. L’83% degli investitori ha chiuso almeno un deal tra il 2022 e il 2024, mentre solo il 69% dei fondatori ha chiuso round tra il 2022 e il 2024.

I fattori che hanno influenzato positivamente la chiusura del deal sono gli stessi per fondatori e investitori: caratteristiche del team; scalabilità della soluzione; robustezza del modello di business. Mentre i fattori che ostacolano la chiusura del deal sono i suoi termini sfavorevoli e il disallineamento culturale.

Per quanto riguarda i fondatori che non hanno chiuso round (31%), il 29% di essi ha cercato capitali ma non è riuscito a raccoglierli a causa della mancanza di contatti strategici. Gli investitori che non hanno investito (il 17% degli intervistati) si sono giustificati dicendo di non aver trovato dei target idonei in fintech italiano.

Oltre il 50% dei fondatori e investitori preferisce lavorare con soggetti esteri per la maggiore velocità decisionale (dicono i fondatori) e il maggior focus sulla scalabilità del business (affermano gli investitori)

Guardando avanti, il 66% dei fondatori intende chiudere un round entro metà 2026 e il 55% degli investitori vuole investire. I fondatori cercano investitori strategici: il 67% preferirebbe venture capital, il 53% corporate venture capital e il 39% business angel. I settori più attrattivi per gli investitori sono: pagamenti, insurtech e regtech.

I fondatori suggeriscono agli investitori di guardare meno ai dati, avere maggiore coraggio, effettuare mentorship, promuovere politiche favorevoli alle startup. Dall’altro lato, gli investitori chiedono alle startup di strutturarsi maggiormente in ottica di scalabilità, focalizzarsi su una nicchia, elaborare piani credibili, trasformare in un vantaggio competitivo la compliance. Quest’ultima è considerata importante dal 52% dei fondatori per attrarre gli investitori e dal 68% di questi ultimi. Infine, oltre un terzo di fondatori e investitori considera la diversity nella valutazione dei deal.

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I COMMENTI ALLO STUDIO DI EY E ITALIA FINTECH

Gabriele Ronchini, cofondatore e socio di Zest Group e ceo di Zest Investments, ha commentato così i risultati dello studio di EY e Italia Fintech: “Oggi l’investitore cerca di ridurre l’errore di fare l’investimento sbagliato, non aspira a fare quello giusto. Bisogna sbagliare meno degli altri investitori”. A suo avviso, agli acceleratori le startup dovrebbero chiedere prima i contatti, poi i soldi.

Francesca Failoni, cfo e cofondatrice della startup trentina Alps Blockchain, ha precisato sul tema: “I fondatori tendono a misurarsi di loro sulla base di ciò che hanno raccolto, non di ciò che hanno fatto. Ma è un errore: prima bisogna fare, poi raccogliere. Il capitale deve essere canalizzato su un obiettivo, affinchè l’azienda in futuro stia in piedi sulle proprie gambe”.

Lisa Disevo, managing partner e ceo di Prana Ventures, ha affermato: “Preferisco sostenere i fondatori che in precedenza hanno fallito ma hanno compreso i loro errori e imparato da essi”.

Inoltre, Ronchini ha evidenziato che “le startup in Italia solitamente non falliscono, ma per campare ‘spianano’: arrivano a un certo punto e poi non crescono più, ma poi gli investitori devono vendere e quindi si limitano a rientrare dall’investimento iniziale”.

Gli fa eco Davide Fioranelli, General Partner di Lumen Ventures, secondo cui “è difficile investire in fintech italiane in questo momento. In Italia bisogna essere super selettivi per fare rendimenti. Per le startup fintech italiane il mercato è l’Italia, che è piccolo, mentre per le startup fintech Usa il mercato è più ampio. Bisogna ragionare a livello di mercato europeo”.

In proposito, Laura Scaramella, Partner di Cdp Venture Capital sgr, ha invitato le startup ad “avere molta ambizione, ma anche il coraggio di chiudere se capiscono di non avere possibilità di crescita”. Marco Tricarico, ceo e co-fondatore della startup fintech Switcho, dal canto suo ha consigliato agli startupper di studiare tanto, non rassegnarsi dopo le porte in faccia degli investitori, fare attenzione al team e cercare di pensare in grande.

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Gabriele Musella, ceo e fondatore di Coinrule, ha detto di essere spesso contattato da fondatori italiani che vogliono essere presentati ai fondi di venture capital. In generale, all’estero c’è molta più rete rispetto a quella fra startupper italiani e velocità di investire.

Ronchini ha anche riflettuto sul fatto che il mercato italiano del venture capital ha avuto un bel momento con l’ingresso di Cdp Venture Capital, essendo passato passato da mezzo miliardo a 2 miliardi grazie ai suoi 20 acceleratori. “Da un lato è cresciuto il settore, ma dall’altro ciò ha portato poca professionalità”, ha sottolineato Ronchini.

Andrea Ferretti (nella foto, a sinistra), Italy Markets & Business Development Leader per i Financial Services di EY, commenta: “Il dialogo tra founder e investitori nel fintech italiano è ancora troppo spesso segnato da aspettative divergenti. I founder tendono a presentare progetti con ambizioni contenute, mentre gli investitori cercano visione, scalabilità e leadership. Questo disallineamento si riflette nei numeri emersi dallo studio “Founders vs Investors: two faces of Fintech funding”: uno su quattro tra i founder ha raccolto meno del previsto, mentre il 53% degli investitori individua nella mancanza di visione strategica una delle principali barriere all’investimento. Per superare questo scarto, è necessario costruire un terreno comune fatto di confronto aperto, mentorship e condivisione di obiettivi. Solo così sarà possibile trasformare il potenziale dell’ecosistema fintech italiano in crescita sostenibile e competitiva”.

Clelia Tosi (nella foto, a destra), Head of Fintech District, ha concluso: “L’ecosistema del fintech italiano è giunto in una fase cruciale. Dopo la crescita del 2022 e il successivo assestamento, i timidi segnali di ripresa del 2024 devono costituire un nuovo punto di partenza. Lo studio realizzato con EY lo conferma ed evidenzia come, da un lato, le startup, se vogliono attrarre capitali, debbano consolidare modelli di business sostenibili e conformi in termini di compliance e rischio e, dall’altro, come gli investitori, oggi più che mai, cerchino team resilienti e aziende scalabili. È solo grazie al confronto tra le due parti e le rispettive esigenze – che con lo studio “Founders vs Investors: two faces of Fintech funding” abbiamo voluto fotografare in maniera puntuale – che sarà possibile assistere a un reale consolidamento del fintech italiano”.



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