Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto
Audizione del Ministro dell’economia e delle finanze
On. Giancarlo Giorgetti
18 giugno 2025
Presidente, Onorevoli colleghi Deputati,
desidero anzitutto ringraziare questa Commissione per l’opportunità di poter dare un contributo ai lavori di indagine sugli effetti economici e sociali della transizione demografica in atto.
La denatalità, l’invecchiamento della popolazione e i fenomeni di spopolamento territoriale costituiscono una delle principali problematiche e sfide strutturali che il nostro Paese, come molti altri, si trovano ad affrontare, con implicazioni anche di lungo periodo sul piano della sostenibilità finanziaria, della coesione sociale e dello sviluppo economico.
Contrastare il declino demografico costituisce un obiettivo politico che questo Governo si è posto sin dal suo insediamento. Una sfida ambiziosa e complessa, poiché ci troviamo a fronteggiare una tendenza, in atto ormai da decenni, guidata da variabili economiche, sociologiche e culturali che sono intrinsecamente connesse tra loro.
È altresì un tema trasversale, che interessa ambiti e tematiche che afferiscono alle competenze di diverse Amministrazioni su cui è importante ragionare in una prospettiva d’insieme.
Nel mio intervento, ferme le premesse di inquadramento del caso, mi concentrerò su alcuni aspetti e dati che ritengo particolarmente rilevanti e sui quali credo sia importante ragionare e porre l’attenzione.
Tornerò anche su alcune tematiche che so essere state affrontate nelle audizioni che mi hanno preceduto, esaminandoli nell’ottica delle funzioni del Ministero dell’economia e delle finanze, per fornire una visione complessiva dei fenomeni e delle politiche messe in campo finora.
Inquadramento
In premessa, è opportuno partire da una riflessione di fondo, rinviando ai dati specifici che sono già stati forniti dalle amministrazioni competenti nelle pregresse audizioni: l’Italia è interessata da tempo da un progressivo declino della natalità e del tasso di fecondità, nonché da un aumento della speranza di vita che, nel complesso, hanno determinato una modifica sostanziale nella struttura per età: l’età media della popolazione residente è in costante aumento, l’incidenza degli over 65 sul totale della popolazione è sempre più elevata, l’indice di vecchiaia è in continuo aumento così come l’indice di dipendenza strutturale.
Al contempo, non si può non evidenziare che l’Italia non è isolata e che non è certamente un problema solo italiano, anzi. Il declino della natalità e del tasso di fecondità, sebbene con intensità differenziate, si manifesta in gran parte dei paesi ad alto reddito e l’Unione europea non è una eccezione. Inoltre, dalla disaggregazione territoriale dei dati medi italiani emergono eterogeneità più o meno marcate, che è necessario indagare per comprendere la complessità del fenomeno e definire interventi mirati. Mi vorrei limitare a pochi dati ma esemplificativi: nel 2024, la fecondità rimane stabile al Centro rispetto all’anno precedente (1,12), mentre il Mezzogiorno e il Nord sperimentano una contrazione; in particolare, il Mezzogiorno raggiunge un nuovo punto di minimo (1,20), mentre il Nord si attesta a 1,19.
Infine, occorre anche tener conto che la questione della denatalità presenta elementi di sovrapposizione con quella dello spopolamento territoriale. In conseguenza dei bassi tassi di natalità e fecondità le previsioni demografiche, come è stato ricordato, indicano un calo della popolazione residente tanto nel breve termine (-1,1 per mille in media annua fino al 2030), quanto nel medio (-3,3 per mille fino al 2050) e lungo termine (-5,8 per mille fino al 2080). Ci sono però significative differenze territoriali: nel breve termine si prevede infatti un lieve incremento di popolazione nel Nord Italia (+1,5 per mille annuo), un lieve calo al Centro (-0,9) e un più marcato decremento nel Mezzogiorno (-4,8). Nel medio e lungo periodo, il calo sarà generalizzato in tutte le ripartizioni territoriali, ma ben più sostenuto nelle regioni meridionali, dove la popolazione potrebbe calare di 3,4 milioni di abitanti entro il 2050 e di ben 7,9 milioni entro il 2080.
Il fenomeno però non riguarda solo la dimensione macroregionale (Nord – Centro – Mezzogiorno), ma anche quella interna a tali macroaree, nel senso che gli scenari demografici indicano che il calo sarà più intenso nelle aree interne rispetto ai centri maggiori. I Comuni delle aree interne del Centro-Nord potrebbero, invece, andare incontro ad un aumento della popolazione. Sullo spopolamento nel Mezzogiorno e nelle aree interne hanno influito e influiscono diversi fattori, dal calo di fertilità e natalità, dal perdurare del fenomeno della mobilità interna, che continua ad essere di segno negativo soprattutto per Sud e Isole, con una perdita di popolazione nel biennio 2022-2023 a vantaggio del Centro-nord, pari a 129.000 residenti.
Ciò detto, va evidenziato che le tendenze che ho richiamato hanno un impatto sull’andamento delle variabili economiche, che certamente ne risentono, anche per quanto concerne gli effetti derivanti dai cambiamenti della dinamica della forza lavoro, della struttura dei consumi pubblici e privati e degli interventi necessari a mantenere la coesione sociale.
In quest’ottica, il Ministero dell’economia e delle finanze opera anche in una logica di cooperazione interministeriale, mettendo a disposizione, per quanto di competenza, analisi quantitative, competenze modellistiche e strumenti di valutazione ex ante ed ex post e sta anche partecipando al gruppo di lavoro interministeriale su “demografia, spopolamento e divari territoriali”, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (sotto il coordinamento dell’Autorità politica responsabile delle politiche per la famiglia, la natalità e le pari opportunità) con finalità di analisi, proposta e coordinamento tra le amministrazioni coinvolte.
Il Governo punta a sviluppare una strategia che combini dati, politiche coerenti e sostenibilità finanziaria, con una visione a medio-lungo termine, per poter affrontare le complesse dinamiche demografiche e gestirne le conseguenze economiche e sociali in modo efficace e duraturo.
Quanto finora evidenziato comporta rischi ma anche sfide sia per la crescita economica sia per la finanza pubblica e la sostenibilità del debito pubblico.
Gli effetti: considerazioni di fondo
Tornando agli effetti della transizione demografica, vi sono almeno due considerazioni di fondo da fare, diciamo come punto di partenza.
La prima attiene al fatto che il fattore “ageing” rileva in modo significativo nelle valutazioni sulla sostenibilità e sul rischio del debito pubblico formulate dalle organizzazioni internazionali e dalla Commissione Europea, nonché dalle società di rating.
A livello internazionale, è utile menzionare la valutazione svolta dal Fondo Monetario Internazionale nell’ambito della sorveglianza dell’articolo IV sulla stabilità finanziaria ed economica. Nelle ultime conclusioni pubblicate a inizio giugno, il Fondo ha confermato un livello di rischio del debito sovrano ‘moderato’, in linea con l’anno scorso. La valutazione è basata sia su modelli di medio e lungo periodo, sia su una componente judgmental che considera i diversi fattori mitigatori del rischio, tra cui l’elevata vita media del debito pubblico italiano.
In questo contesto, l’invecchiamento della popolazione influenza, in particolare, la valutazione meccanica dei modelli, attraverso due canali principali: da un lato, ci si attende che esso influenzi negativamente le prospettive macroeconomiche; dall’altro lato, eserciti una pressione sulla spesa pubblica, in particolare sulla componente legata all’invecchiamento, cd. age-related, che include la spesa per pensioni, sanità, spesa socioassistenziale (long-term care) e istruzione.
La transizione demografica eserciterà, infatti, una pressione significativa sulla spesa pensionistica, sanitaria e per la long-term care, con un lieve effetto compensativo sulla spesa per l’istruzione. Gli effetti più rilevanti sono attesi nella prima metà degli anni Quaranta del secolo in corso, quando le generazioni dei cosiddetti baby boomers saranno uscite dalla forza lavoro.
A livello europeo, come è noto, l’applicazione delle nuove regole di bilancio europee del Patto di Stabilità e Crescita, entrate in vigore ad aprile 2024, si basa sull’analisi di sostenibilità del debito. Nella nuova metodologia, l’impatto dell’ageing entra in modo diretto nelle previsioni di spesa, attraverso l’incremento atteso della spesa age-related, e in modo indiretto attraverso il ridimensionamento previsto delle stime di crescita del prodotto potenziale elaborate sulla base della metodologia comune europea. L’ageing renderebbe sempre meno favorevole il differenziale tra tasso di crescita dell’economia e il tasso di interesse implicito, spingendo al rialzo la crescita del rapporto debito/PIL e quindi richiedendo, nell’immediato, correzioni del saldo primario strutturale più sfidanti.
L’attenzione rivolta all’impatto macroeconomico e alla finanza pubblica derivante dell’invecchiamento della popolazione è stata, dunque, rafforzata dal nuovo sistema europeo e ha assunto una connotazione di medio termine; tuttavia, essa era già presente nel processo di sorveglianza multilaterale di bilancio e degli squilibri macroeconomici condotto dalla Commissione. Basta scorrere le passate Raccomandazioni specifiche del Consiglio UE, ad esempio, dal 2019 ad oggi, per notare come da tempo sia sistematicamente sottolineata la necessità di mitigare gli effetti del declino demografico sulla crescita del potenziale e sulla sostenibilità fiscale.
Infine, permettetemi di ricordare come l’impatto della transizione demografica sia rilevante anche ai fini della valutazione sul rischio del debito sovrano regolarmente aggiornato dalle società di rating, in considerazione della sua rilevanza per le previsioni di crescita economica del paese e l’andamento dei conti pubblici.
In aprile, Standard and Poor’s (S&P) ha peraltro alzato il rating dell’Italia (da BBB a BBB+), citando sia il miglioramento delle condizioni economiche, sia i graduali progressi conseguiti nella stabilizzazione delle finanze pubbliche dopo la pandemia.
Questa prima considerazione di fondo già anticipa la seconda, ovvero che i fattori demografici influenzano in misura rilevante la dinamica dei saldi di finanza pubblica e del debito pubblico.
I fenomeni demografici agiscono su molteplici canali; in particolare: (i) influenzano la produttività aggregata, (ii) la dinamica della forza lavoro, (iii) la pressione sul sistema previdenziale e (iv) il fabbisogno di servizi pubblici fondamentali, generando ricadute che richiedono un continuo aggiornamento dei modelli previsionali e degli strumenti di bilancio.
Secondo le ultime proiezioni del Rapporto sull’invecchiamento della popolazione della Commissione europea pubblicate nel 2024, per effetto delle sfide demografiche il contributo alla crescita dell’economia fornito dalla forza lavoro è atteso diventare negativo a partire dal 2030 e l’incremento atteso per il tasso di partecipazione e di occupazione non sarebbe sufficiente a compensare il declino della popolazione in età attiva. Questo trend di fondo vale per l’economia italiana, ma più in generale anche per le altre economie europee.
È anche vero, tuttavia, che gli scenari di proiezione scontano variazioni in aumento del numero di lavoratori occupati abbastanza contenute e che la politica dei governi e l’azione di riforma deve andare nella direzione di favorire al massimo la partecipazione, in primo luogo dei giovani e di quella femminile. I risultati conseguiti nel corso degli ultimi anni, che vedono, congiuntamente, tassi di disoccupazione al livello minimo degli ultimi venti anni e tassi di occupazione ai massimi storici lasciano ben sperare.
D’altro canto, la crescita economica non dipende solo da fattori demografici ma anche da fattori economici, in particolare dall’andamento della produttività del lavoro. L’effetto della transizione demografica sulla produttività del lavoro non è scontato secondo la letteratura recente. Secondo alcuni, il contestuale processo di transizione digitale metterebbe a dura prova la capacità di una forza lavoro in progressivo invecchiamento di adeguarsi il cambiamento tecnologico; ne risentirebbero la produttività e il potenziale di crescita del paese verrebbe ulteriormente a ridursi. L’invecchiamento della popolazione ridurrebbe la dinamicità delle imprese e la propensione all’innovazione. Questa è comunque una visione prudenziale e forse pessimistica, dato che la sostituzione del fattore lavoro con il fattore capitale, contestualmente all’adozione di nuove tecnologie e innovazioni, tra cui l’uso della robotica e dell’intelligenza artificiale, potrebbe condurre a una ricomposizione settoriale dell’economia e del mercato del lavoro, e quindi a un miglioramento della produttività del lavoro e al ritorno della crescita economica di medio periodo su una tendenza più favorevole.
Un tale risultato si può ottenere investendo nella formazione delle nuove generazioni, ma anche tramite l’aggiornamento del bagaglio professionale dei lavoratori più adulti; le politiche che puntano al capitale umano, come avrò modo di ricordare in seguito, sono un tema centrale dell’azione di governo.
Per aumentare il potenziale di crescita dell’economia e migliorare la sostenibilità futura delle finanze pubbliche, occorre stimolare la produttività del lavoro creando un sistema economico favorevole alla iniziativa imprenditoriale e agli investimenti. Non approfondisco ulteriormente quest’aspetto – pure ampiamente presente nel Piano Strutturale – in quanto meno strettamente legato alla questione in oggetto.
Ciò detto, vorrei tornare su una tematica già affrontata nell’audizione della Banca d’Italia per aggiungere alcune considerazioni, in particolare sul PIL pro-capite.
Per comprendere l’impatto della transizione demografica sull’economia, si può ricorrere alla contabilità della crescita, che scompone il PIL pro-capite reale in diverse componenti fondamentali: (i) la quota di popolazione in età lavorativa; (ii) il tasso di occupazione (la percentuale di popolazione attiva effettivamente impiegata); (iii) le ore lavorate per occupato; (iv) la produttività oraria del lavoro
Questa scomposizione consente di isolare i contributi specifici della demografia e della produttività alla crescita economica, fornendo una base analitica per valutare le politiche pubbliche.
Come evidenziato dalla Banca d’Italia, mentre nella seconda metà dello scorso secolo il PIL reale pro-capite in Italia è stato trainato quasi interamente dall’aumento della produttività del lavoro, negli ultimi decenni, si è registrato un rallentamento marcato, dovuto alla stagnazione della produttività, alla riduzione delle ore lavorate per occupato e soprattutto dall’impatto crescente dell’invecchiamento demografico sulla quota di popolazione attiva.
Nonostante il PIL pro-capite abbia mostrato una crescita modesta recentemente, esso è aumentato comunque più del PIL nominale complessivo. Ciò è dovuto alla riduzione della popolazione residente, che ha “meccanicamente” aumentato il valore medio per abitante.
Non si tratta di un dato confortante, in quanto sicuramente indicativo della decrescita demografica in atto, ma comunque può essere letto in modo favorevole, considerato che a fronte di un calo della popolazione si è riusciti a generare più risorse per ciascun italiano; questo, prevalentemente, per l’ottima evoluzione del mercato del lavoro.
Ricordo che nel 2025 l’Italia ha raggiunto la Francia in termini di PIL pro-capite a parità di potere d’acquisto e ha ridotto il divario con la Germania. Questo processo di catching up rispetto alle principali economie europee è stato possibile grazie alla dinamica dei prezzi relativamente più moderata.
In ogni caso, nell’ottica della definizione delle politiche pubbliche, l’aumento del PIL pro-capite può offrire margini per politiche “mirate” e suggerisce l’opportunità di spostare il focus dalla crescita quantitativa alla qualità, dalla logica del “più” a quella del “meglio”.
Inoltre, con riferimento all’impatto dell’invecchiamento sui saldi di finanza pubblica, non devono essere trascurati i riflessi sulle entrate e le basi imponibili delle principali imposte e contributi.
I dati delle dichiarazioni dei redditi evidenziano alcuni cambiamenti demografici significativi: nel 2004, i contribuenti sotto i 45 anni rappresentavano il 41% del totale. Nel 2023, questa percentuale è scesa al 31%. Nello stesso periodo, la quota di reddito dichiarata dai contribuenti con almeno 65 anni è aumentata dal 24% al 35%, mentre quella dei contribuenti tra i 15 e i 44 anni è diminuita dal 37% al 23%.
Gli ultimi dati sulle dichiarazioni dei redditi mostrano anche segnali di invecchiamento della popolazione. Nel 2023, il numero di contribuenti con almeno 65 anni è stato pari alla metà di tutti i contribuenti con meno di 65 anni, contro il 41% registrato nel 2004.
Infine, gli andamenti demografici hanno almeno due correlazioni di fondamentale importanza – non entro nei temi pensionistici essendo già stati affrontati nelle pregresse audizioni: mi concentrerò su quello della spesa sanitaria, socioassistenziale e per istruzione.
Secondo quanto recentemente riportato dall’Istat, il declino demografico ha determinato già una rilevante perdita di studenti: tra l’anno scolastico 2018/2019 e 2022/2023 si conta una riduzione del 5,2 per cento degli studenti.
Il calo riguarda in particolare, la scuola dell’infanzia e la scuola primaria e viene parzialmente per ora compensato dal progressivo incremento degli iscritti con cittadinanza straniera e del tasso di scolarità nella fascia dei 15-19enni.
La fotografia attuale, unita alla considerazione che il calo sulle scuole primarie si estenderà via via agli altri gradi, ci induce a un ripensamento in chiave prospettiva delle strutture, del personale e della spesa che nel futuro sarà assegnata all’istruzione. Per tutte queste tre variabili, considerando il loro ridimensionamento quantitativo, sarà necessario puntare a una migliore qualità.
Parallelamente, ci aspettiamo una maggiore domanda di servizi e strutture in ambito sanitario e assistenziale. Come noto, il Governo ha già mostrato un grande impegno sul tema, assicurando un aumento della spesa pubblica e strumenti per una migliore individuazione dei fabbisogni in termini di strutture e personale. Tali iniziative, insieme al completamento degli investimenti del PNRR, mirano ad assicurare il rafforzamento delle cure primarie, la velocizzazione delle prestazioni, il miglioramento dell’assistenza sul territorio e, non da ultimo, un invecchiamento attivo.
4. Le politiche del Governo per contrastare gli effetti negativi della transizione demografica
Per quanto concerne le politiche del Governo, partirei da una riflessione: la curva demografica che abbiamo descritto non ci può lasciare indifferenti e dobbiamo continuare ad implementare gli sforzi per rafforzare gli incentivi alla natalità, con strumenti sia diretti che indiretti.
Inoltre, in sede di programmazione e in considerazione degli effetti di breve e medio termine delle possibili leve da azionare, potrebbe non essere risolutivo concentrare ogni azione esclusivamente sull’obiettivo della natalità. Inoltre, per invertire l’attuale tendenza demografica servono non solo misure di policy, ma anche tempo, e nel medesimo tempo sarebbe altresì necessario preoccuparci di mitigare gli effetti negativi che il declino demografico ha sugli altri settori di riferimento.
Con riferimento ai documenti di programmazione, la consapevolezza della rilevanza sistemica della transizione demografica, nel più generale contesto dei profondi cambiamenti in atto a livello globale, ha fatto da sfondo alla costruzione del Piano strutturale di bilancio di medio termine, presentato alle Camere lo scorso autunno e approvato dal Consiglio dell’Unione europea a gennaio dell’anno in corso.
In tale quadro, il Piano ha introdotto una novità sostanziale: la variabile demografica è stata formalmente riconosciuta come uno dei principali fattori di rischio macro-strutturale e, al tempo stesso, come parametro strategico di indirizzo per l’azione pubblica. L’inserimento di tale dimensione non è stato meramente descrittivo o tecnico-statistico, bensì ha comportato un cambio di prospettiva nella definizione delle priorità: l’equilibrio demografico è stato trattato come condizione necessaria per la tenuta del sistema produttivo, la sostenibilità del debito pubblico, l’efficacia del welfare e la coesione territoriale.
In coerenza con gli obiettivi poc’anzi esposti, l’azione del Governo si snoda su diversi nuclei di politiche, che vanno ad affrontare le diverse sfide collegate alla transizione demografica: natalità, partecipazione al mercato del lavoro, sostegno all’istruzione, attrattività di lavoratori specializzati, contrasto allo spopolamento e sostenibilità della spesa sanitaria e pensionistica. Ciascuno dei temi richiede l’adozione di un approccio multidimensionale.
Oltre all’assegno unico e universale per i figli e alle misure fiscali a sostegno diretto della famiglia, nonché indiretto alla natalità e alla genitorialità tramite il riconoscimento di una detrazione per determinate spese sostenute per i figli, il Governo, in merito all’azione di promozione della natalità, ha recentemente attivato e sta lavorando al potenziamento di politiche che vadano a mitigare le criticità economiche, sociali, lavorative e culturali che frenano la natalità.
Anzitutto, attraverso il Bonus nuove nascite e il riordino delle detrazioni fiscali a vantaggio delle famiglie e di una maggiore indipendenza dei giovani dal nucleo familiare, nonché il sostegno economico e le politiche abitative a supporto delle famiglie numerose e vulnerabili. I recenti provvedimenti adottati nell’ultima legge di bilancio si sono mossi proprio in questa direzione.
In particolare, sono stati introdotti il parziale esonero contributivo a favore delle mamme di due e tre figli con una retribuzione inferiore a 40.000 euro e un bonus pari a mille euro per ogni nuovo nato in famiglie con Isee inferiore a 40.000 euro.
La manovra per il 2025 ha inoltre avviato un processo di riordino delle spese fiscali che, attraverso l’introduzione di un quoziente familiare che sostenga la genitorialità, è funzionale alla realizzazione dell’obiettivo programmatico inserito all’interno del citato Piano strutturale di bilancio di medio termine. Il nuovo meccanismo per fruire delle detrazioni fiscali è basato su tetti massimi di spesa ammissibile alla detrazione. L’importo massimo della spesa detraibile dipende ora dal reddito complessivo e dal numero di figli a carico e, quindi, a parità di reddito, un contribuente con più figli potrà beneficiare di maggiori detrazioni fiscali.
Questa misura ha rappresentato un passo importante verso una maggiore equità fiscale perché ha consentito di riconoscere in modo più adeguato il carico economico che grava sulle famiglie con figli. In particolare, all’aumentare del numero di figli, crescono anche, ad esempio, le spese legate all’istruzione. In questo contesto, mantenere un tetto unico alla detraibilità delle spese, indipendentemente dalla composizione familiare, avrebbe significato penalizzare proprio quelle famiglie che sostengono maggiori costi per assicurare ai propri figli un percorso educativo completo e di qualità. L’intervento ha quindi avuto il merito di correggere questa distorsione, offrendo un sostegno concreto a chi investe ad esempio nell’istruzione dei propri figli.
Nel prossimo futuro, un approccio strutturale, integrato e lungimirante deve continuare a promuovere la semplificazione e la razionalizzazione delle misure esistenti a favore delle famiglie, a integrare le politiche fiscali e le politiche di spesa, in particolare per sostenere la genitorialità e la cura, e a valutare sistematicamente l’impatto redistributivo delle misure, con attenzione agli effetti su natalità, povertà minorile e occupazione femminile.
Quanto a quest’ultimo tema, per perseguire obiettivi quali l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, difficilmente potremo operare solo mediante la leva fiscale generale, ovvero attraverso una riduzione delle aliquote marginali. È essenziale riconoscere infatti che il prelievo fiscale, per sua natura, è neutrale rispetto al “genere” degli individui. Possono essere previste tuttavia alcune specifiche detrazioni che indirettamente influenzano l’offerta di lavoro femminile.
Anche per perseguire questi obiettivi è stato costituito recentemente presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un tavolo tecnico con il compito di valutare eventuali modifiche alla legislazione vigente in materia di Isee. Infatti, a distanza di dodici anni alcuni parametri previsti nel decreto istitutivo dell’Isee potrebbero essere non più idonei a misurare l’effettiva situazione delle famiglie in un contesto che nel tempo si è profondamente trasformato. Una corretta fotografia della situazione economica delle famiglie attraverso un indicatore correttamente aggiornato contribuirà a fornire nuove indicazioni e spunti di riflessione per migliorare l’efficacia di strumenti a sostegno della famiglia, quali l’assegno unico e di altre misure di contrasto alla povertà basate sullo stesso indicatore.
È altresì importante assicurare alle donne e alle famiglie in genere migliori prospettive di stabilità e crescita professionale.
In questo ambito rilevano, in particolare:
- il potenziamento della durata e dell’indennità dei congedi parentali;
- l’estensione del congedo di paternità per ribilanciare i carichi di cura;
- l’esonero parziale dei contributi previdenziali per le lavoratrici madri di due o più figli, che abbiamo reso strutturale dal 2025.
Un ulteriore tema è anche quello del potenziamento dei servizi. Ciò attiene, in particolare, ai servizi per la prima infanzia, che il Governo si è impegnato ad estendere nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e nel Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine. Su questo aspetto, il Governo mira ad assicurare non solo una maggiore disponibilità sul territorio, ma anche una maggiore accessibilità agli stessi. In questo contesto deve essere letto il Bonus asili nido, ma anche la definizione di nuovi scaglioni contributivi per i contributi genitoriali, che i Governo si è impegnato a realizzare nel Piano Strutturale.
L’azione sul fronte dei servizi riguarda, tuttavia, anche l’investimento del PNRR relativo all’estensione del tempo pieno nelle scuole e la promozione di centri per la famiglia, quali hub di sviluppo di politiche familiari territoriali, in un’ottica sussidiaria e di servizi a misura di famiglia sul territorio.
I risultati positivi registrati in questi anni sono prova dell’efficacia di quanto avviato e, al contempo, stimolo per proseguire in questa direzione.
In particolare, il Governo ha messo in atto diverse misure volte a favorire l’occupazione e la crescita economica, con particolare attenzione a gruppi vulnerabili e a specifiche aree del paese.
In primo luogo, è stato introdotto un esonero contributivo per l’assunzione di donne, giovani e persone vulnerabili, con un particolare vantaggio per le zone del Sud Italia, dove le opportunità di lavoro sono spesso limitate.
In aggiunta, sono stati previsti incentivi per sostenere l’occupazione e l’imprenditorialità femminile. Ciò include la promozione della certificazione di genere nelle imprese e il supporto alla creazione di imprese femminili, per garantire che le donne possano avere un ruolo sempre più attivo nell’economia.
Un altro passo importante riguarda il welfare aziendale, che è stato potenziato per rendere più accessibile l’abitazione per i lavoratori e migliorare la loro mobilità nel mercato del lavoro. In questo modo, si facilita la transizione tra i vari settori e si contribuisce a una maggiore stabilità occupazionale.
Il governo ha anche avviato un’iniziativa strategica per affrontare l’emergenza abitativa e promuovere l’housing sociale. Questo piano prevede investimenti significativi destinati al recupero e alla riconversione del patrimonio immobiliare pubblico in edilizia residenziale sociale. L’obiettivo è ridurre le centinaia di migliaia di domande inevase per l’accesso a case popolari, semplificando le procedure e coinvolgendo anche soggetti privati attraverso progetti pilota.
Sono state anche introdotte misure fiscali (a sostegno delle famiglie) come l’innalzamento della soglia di esenzione per i fringe benefit, che possono essere utilizzati anche per pagare affitti e utenze domestiche.
Contestualmente, il Governo è impegnato nel supporto ai settori scolastico e universitario, considerati snodi essenziali per accrescere e valorizzare il capitale umano e creare un ambiente sociale favorevole alla genitorialità e contrastare i fenomeni di spopolamento.
Conclusioni
Quella che abbiamo dinanzi non è solo una sfida statistica o contabile, è anche una sfida “umana”. La transizione demografica non riguarda solo numeri, ma è il cuore pulsante della nostra società: le persone, le famiglie, i territori. Ecco perché oggi, più che mai, è fondamentale affrontare questo tema con coraggio, responsabilità e visione.
Abbiamo dati che parlano chiaro: l’Italia invecchia, le nascite calano, intere aree del Paese si svuotano. Ma quei numeri, che a volte sembrano spietati, devono diventare stimolo all’azione.
La buona notizia è che, oggi, non partiamo da zero. Il Governo ha già messo in campo un insieme articolato di politiche, di cui ho ricordato i tratti fondamentali e lo spirito. E non si tratta di misure isolate, ma di un disegno strategico che tiene insieme diversi fattori rilevanti per le tematiche che ci occupano.
Serve una visione ampia, che tenga conto di tutte le variabili del caso. Anche per questo abbiamo scelto di includere la variabile demografica nella programmazione economica nazionale: perché ciò che non si misura, spesso non si governa.
Non possiamo illuderci che bastino pochi anni per cambiare una tendenza alimentata da decenni, ma, con pragmatismo, abbiamo, da subito, rafforzato il nostro impegno, per la natalità, per le famiglie, per i giovani, implementando gli sforzi per riconoscere a tali politiche un peso importante. Insomma, abbiamo scelto di non girarci dall’altra parte. Abbiamo scelto di guardare in faccia la realtà e di affrontarla, passo dopo passo, con serietà e determinazione. Sappiamo che c’è ancora molto da fare. Ma sappiamo anche che, lavorando insieme, e ferme le variabili del caso, possiamo tentare di invertire le tendenze e costruire un’Italia più attenta alle problematiche in questione.
Vi ringrazio per l’attenzione e per il prezioso lavoro che questa Commissione sta svolgendo.
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