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Stati Uniti con Israele nella guerra all’Iran? Solo con le armi Usa è possibile distruggere la minaccia nucleare di Teheran


Donald Trump dice da mesi di essere alla ricerca di un accordo sul nucleare iraniano. Sulla strada verso quello che per il presidente degli Stati Uniti sarebbe il primo risultato da rivendicare sul piano internazionale come una vittoria si staglia un ostacolo: Israele. Con l’attacco all’Iran il governo di Benjamin Netanyahu ha messo nel mirino anche le trattative difficoltosamente avviate negli ultimi mesi da Washington e Teheran, nella convinzione che un’intesa finirebbe per rafforzare il regime degli ayatollah nella regione. Anzi, da anni Israele chiede a Washington di metter fine con la forza al programma nucleare della Repubblica islamica, ovvero bombardando i due principali impianti di arricchimento dell’uranio del paese, quelli di Fordow e Natanz. Finora prima Joe Biden e poi Trump hanno resistito, ma adesso il tempo dell’attesa sembra essere finito. Il tycoon sta seriamente valutando se entrare o meno in guerra al fianco di Tel Aviv.

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FORDOW E NATANZ, SITI SIMBOLO DEL NUCLEARE IRANIANO
Nel mirino di Israele e degli Usa ci sono i due principali impianti di arricchimento dell’uranio del paese, tenuti sotto osservazione nell’ambito dell’accordo Jcpoa firmato nel 2015 e citati nell’ultimo report pubblicato il 31 maggio dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, alla base della risoluzione adottata giovedì 12 giugno dalla stessa Aiea presa a pretesto da Israele per attaccare. Fordow è la struttura simbolo del programma nucleare iraniano, costruita nei pressi della città di Qom, circa 150 km a sud di Teheran, la cui esistenza è stata confermata dall’Iran all’Aiea nel 2009 in seguito a una fuga di documenti messa a segno dall’intelligence israeliana. Non esistono cifre ufficiali, ma secondo uno studio pubblicato a marzo dal think tank britannico Royal United Service Instituite, i suoi impianti sarebbero stati realizzati a una profondità tra gli 80 e i 90 metri nel terreno. Più in superficie si trovano le strutture di Natanz, a 220 km a sud est della capitale, il cui impianto principale secondo il Rusi si trova a “8 metri di profondità” anche se protetto da “12 metri di calcestruzzo armato” e nel cui sito sarebbero in corso lavori per la realizzazione di un nuovo impianto “a una profondità stimata di 80-100 metri”. Secondo l’Institute for Science and National Security, think tank anti-nuclearista tenuto in considerazione a Washington, Teheran “ha ora circa 14.689 centrifughe avanzate installate a Natanz e Fordow, la maggior parte delle quali è impiegata nell’impianto di arricchimento del combustibile di Natanz”.

PER DANNEGGIARLI SERVONO LE “BUNKER BOMB” DEGLI USA
Entrambe le strutture sono state prese di mira nei giorni scorsi dalla Israeli Air Force. Ma stando al report del Royal United Services Institute, per arrecare “danni significativi a queste strutture sotterranee richiederebbe una notevole potenza di fuoco”. Danneggiare Fordow, in particolare, sarebbe quasi impossibile per le sole forze di Israele e richiederebbe l’assistenza degli Stati Uniti. “Se vogliamo che Fordow venga distrutta da un ordigno sganciato dal cielo – ha confermato lunedì l’ambasciatore di Tel Aviv a Washington, Yechiel Leiter -, l’unico paese al mondo che lo possiede sono gli Usa”. Per questo l’amministrazione Trump dovrebbe mettere a disposizione di Tel Aviv le “Massive Ordnance Penetrator”, ovvero le bombe GBU-57, che pesano 13,5 tonnellate ciascuna e deflagrando raggiungono circa 60 metri di profondità, ma che possono essere caricate solo dai B-2 Spirit stealth bomber, bombardieri in dotazione all’Aeronautica a stelle e strisce e non a quella israeliana. Non è un caso che finora le bombe di Israele abbiano prodotto effetti limitati: ieri l’Aiea ha parlato di “impatti diretti sulle sale di arricchimento sotterranee di Natanz” mentre non c’è “nessun cambiamento da segnalare a Isfahan (altro importante impianto colpito nei giorni scorsi, ndr) e Fordow”. In ogni caso, prosegue il Rusi, sia nel caso di Fordow che in quello del nuovo impianto in via di costruzione a Natanz “anche la GBU-57/B richiederebbe probabilmente impatti multipli nello stesso punto di mira per avere buone probabilità di penetrare la struttura”.

URANIO ARRICCHITO: TEHERAN E’ DAVVERO VICINA ALLA BOMBA?
Secondo il report dell’Aiea del 31 maggio, al 17 maggio Teheran disponeva di 408,6 kg di uranio arricchito al 60%, rispetto ai 274,8 kg rivelati nell’ispezione di febbraio, segnale che l’arricchimento era proseguito. “L’aumento significativo della produzione e dell’accumulazione di uranio altamente arricchito da parte dell’Iran, unico Stato non dotato di armi nucleari a produrre tale materiale nucleare, è fonte di grave preoccupazione”. Una preoccupazione che l’Institute for Science and National Security ha tradotto il 9 giugno in termini apocalittici: “In tre settimane presso l’impianto di Fordow l’Iran può convertire le sue attuali scorte di uranio arricchito al 60% in 233 kg di WGU (uranio arricchito contenente il 90% o più del l’isotopo nucleare uranio-235, ndr), sufficienti per 9 armi nucleari”. Ancora: “Insieme i siti di Fordow e di Natanz “potrebbero produrre WGU sufficienti per 11 armi nucleari nel primo mese, 15 armi nucleari entro la fine del secondo, 19 entro la fine del terzo, 21 alla fine del quarto e 22 alla fine del quinto”. Anche lo Us Central Command, che coordina le operazioni militari statunitensi in Medio Oriente, aveva comunicato a Washington un’accelerazione intrapresa da Teheran. Una prospettiva molto differente da quella tracciata dai 4 funzionari militari e dell’intelligence statunitense che hanno riferito alla Cnn che non solo il regime degli ayatollah non stava lavorando alla costruzione di un’arma nucleare, ma ci sarebbero voluti anche tre anni prima che fosse in grado di produrne una. Ma anche da quella indicata dal rapporto consegnato alla Commissione Esteri della Camera del Congresso Usa, di cui il Fatto ha dato conto il 15 giugno, secondo cui “la comunità di intelligence americana continua a stimare che al momento l’Iran non sta conducendo attività legate alle armi nucleari”.

IL PERICOLO RADIAZIONI
L’Aiea ha confermato che Fordow e Natanz sono state colpite. Se nel primo caso “non sono stati registrati danni”, nel secondo “l’attacco di venerdì”, – ha detto il direttore generale Rafael Grossi durante la sessione d’urgenza del consiglio dell’Agenzia convocata a Vienna, “ha distrutto la parte fuori terra dell’impianto pilota” di Natanz. Non ci sono state, invece, “indicazioni di un attacco fisico alla sala sotterranea a cascata che ospita parte dell’impianto pilota e l’impianto principale di arricchimento del combustibile”. In questo contesto “il livello di radioattività all’esterno del sito di Natanz è rimasto invariato e a livelli normali, il che indica che non vi è stato alcun impatto radiologico esterno sulla popolazione o sull’ambiente a seguito di questo evento”. “All’interno dell’impianto”, invece, “è presente contaminazione sia radiologica che chimica” e le radiazioni “rappresentano un pericolo significativo in caso di inalazione o ingestione di uranio. Tuttavia, questo rischio può essere gestito efficacemente con adeguate misure di protezione, come l’utilizzo di dispositivi di protezione respiratoria”. Ora “la principale preoccupazione è la tossicità chimica dell’esafluoruro di uranio e dei composti di fluoruro generati a contatto con l’acqua”. Israele ha colpito anche l’impianto di ricerca nucleare a Isfahan: “Quattro edifici sono stati danneggiati”, ha spiegato Grossi”, tra cui “un impianto di conversione dell’uranio” e “l’impianto di produzione del combustibile per reattori”. Ma “come a Natanz, i livelli di radiazione fuori dalla sede restano invariati”.

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