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MVP Factory, un’industria da 100 miliardi a caccia del suo futuro


La cultura può fare impresa, ma il Rinascimento Digitale Italiano non deve essere solo uno slogan. Identikit di 12 startup che si sono raccontate a Firenze durante il Demo Day di MVP Factory: una iniziativa nata dalla collaborazione tra Apply, Nana Bianca, Radix e StartupItalia

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Firenze, vigilia dell’estate. Negli spazi del Granaio dell’Abbondanza – un palazzo di pietra e vetro dove ogni giorno si vive il paradosso (solo apparente) che unisce il passato rinascimentale con il futuro tecnologico – le 12 startup del progetto MVP Factory si sono presentate al pubblico. È il Demo Day di un programma che non si limita a celebrare l’innovazione: la pone come condizione necessaria per la sopravvivenza del tessuto imprenditoriale e del patrimonio culturale italiano. Per usare le parole di Alessandro Sordi, CEO di Nana Bianca: “Dobbiamo difendere il futuro dal passato”, ovvero “se non riusciamo a innovare quanto fatto finora, non ci sarà speranza per il futuro”. In altre parole: non possiamo (solo) celebrare il genio italico, ma dobbiamo darci da fare per dotarci di processi e strumenti adeguati al 21simo secolo.

MVP Factory è una iniziativa nata dalla collaborazione tra Apply, Nana Bianca, StartupItalia e Radix, con il sostegno di istituzioni come il Ministero della Cultura, l’Unione Europea (attraverso i fondi NextGenerationEU) e Invitalia. Una alleanza, tra privato e pubblico, che può trasformarsi in un paradigma vincente non solo nel settore delle industrie creative. Tra i partner dell’iniziativa, a costituire un network di stakeholder dell’ecosistema, tra gli altri: 4books, BASE Milano, Cantieri Culturali alla Zisa, Clac, Cre.Zi.Plus, cheFare, Fondazione Cesare Pavese, Fondazione Giordano Dell’Amore, Giffoni Innovation Hub, hoopygang, Kilowatt, Lynx, Mare Culturale Urbano, One More Picture e Streamcolors e Rai Cinema.

Anatomia di una superpotenza culturale

A fornire la cornice economica del nostro patrimonio culturale è intervenuta Romina Surace, ricercatrice di Fondazione Symbola. I dati presentati non descrivono un settore in declino, ma una vera e propria industria con un impatto significativo. Nel 2023, il sistema produttivo culturale e creativo italiano ha generato un valore aggiunto di 104,3 miliardi di euro, pari al 5,6% del Prodotto Interno Lordo nazionale. Un comparto che dà lavoro a oltre 1,55 milioni di persone, il 5,9% dell’occupazione totale del Paese.

L’analisi di Symbola, che da 15 anni monitora il settore proprio per dimostrarne il ruolo di “asset strategico per il Paese”, va oltre i confini tradizionali. Se si considera l’indotto, ovvero l’impatto sulla filiera turistica e manifatturiera “creative-driven”, il valore complessivo generato schizza a oltre 296 miliardi di euro. Il settore, inoltre, mostra una una crescita del valore aggiunto del 12,7% rispetto ai livelli pre-pandemici del 2019. Segmenti come i videogiochi, l’editoria e il design sono in forte espansione, ma anche il patrimonio storico-artistico tradizionale mostra segnali di vitalità, con un aumento degli occupati di circa il 7%.

La tecnologia può svolgere il ruolo di catalizzatore: non solo migliorando l’efficienza dell’offerta, ma anche abbassando l’età media dei fruitori. Non mancano le indicazioni sulla mutazione in atto delle abitudini di consumo culturale: segnali che vanno recepiti nella qualità e nella tipologia di prodotti e servizi, con l’obiettivo di garantire a chi sta sviluppando oggi le proprie inclinazioni e i propri interessi di trovare una sponda adeguata tra chi lavora in questa industria.

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Una spinta dal basso

In questo scenario di profonda trasformazione si inserisce il programma MVP Factory. Le 106 candidature ricevute testimoniano un interesse diffuso, ma è la loro composizione a essere particolarmente significativa: il 53% proveniva da team informali, persone con un’idea ma non ancora un’impresa. Il 35% era costituito da startup già formate e solo il 12% da enti no-profit. Un dato che suggerisce che la spinta all’innovazione culturale non proviene primariamente da attori istituzionali o aziende consolidate, ma da un tessuto di creativi e tecnologi che operano dal basso. 

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Programmi come MVP Factory possono agire da ponte: fornendo la struttura, la formazione e il network necessari per trasformare queste intuizioni embrionali in imprese investibili. Il successo di questo approccio è misurabile: dei progetti finalisti selezionati, ben 6 hanno già ottenuto un primo round di finanziamento, mentre altri sono in fase di negoziazione avanzata con business angel e fondi di venture capital. Non si tratta dunque più solo di idee promettenti, ma di realtà imprenditoriali con una validazione di mercato concreta. Scopriamo quindi chi sono i 12 apostoli dell’innovazione che contribuiranno a ridisegnare i confini della Cultura in Italia.

Piattaforme per artisti

Il digitale ha visto imporsi su tutte una tendenza: la reintermediazione o la disintermediazione a favore dei creatori e degli artisti, offrendo loro strumenti per monetizzare il proprio lavoro e la propria community bypassando i giganti del web. Ecco quali sono le startup di MVP Factory che si occupano proprio di questo.

Kirke
Si definisce un “social network marketplace” per illustratori, autori di anime e manga, con un posizionamento netto e quasi politico: valorizzare esclusivamente contenuti “human-made”, in esplicita contrapposizione all’invasione delle intelligenze artificiali generative. Offre agli artisti uno spazio per vendere opere e commissioni direttamente ai fan. Il modello di business si basa su una commissione del 5% sulle transazioni, con piani futuri per abbonamenti e membership esclusive. La traction è notevole: oltre 3.400 beta-tester da 107 paesi, più di 1.000 euro già transati per commissioni, una valutazione pre-money di circa 5 milioni di euro e il prestigioso “Seal of Excellence” dell’Unione Europea, che ne attesta la visione strategica.

LoudRights
Affronta due problemi cruciali per i musicisti indipendenti: la difficoltà di trovare collaboratori e la complessa gestione dei diritti d’autore. La sua piattaforma permette a musicisti di tutto il mondo di creare insieme, registrando ogni contributo su blockchain per certificare in modo immutabile la proprietà intellettuale e automatizzare la ripartizione delle quote. Il modello di business è freemium, con un piano a pagamento da 4,99 euro al mese e la trattenuta di una piccola percentuale sui diritti generati, garantendo un flusso di ricavi allineato al successo degli artisti. Con un lancio pubblico previsto per il 1° settembre 2025 e la selezione da parte del prestigioso acceleratore di Abbey Road Studios, REDD, LoudRights si posiziona come un attore credibile a livello internazionale.

Heartist
Si propone come il “Kindle della musica”, una soluzione radicale alla svalutazione della musica nell’era dello streaming. Invece di micropagamenti per ascolto, Heartist permette agli artisti di vendere tracce e album come prodotti digitali, che i fan possono acquistare, collezionare e persino rivendere in un futuro marketplace di seconda mano. Il modello è trasparente: Heartist trattiene una commissione del 20% sulla vendita di musica e del 50% sulle membership ai fan club, I primi risultati sono incoraggianti: 30.000 euro già raccolti da angel investor, 5 artisti sotto contratto e oltre 10.000 “HeartCoins” (una valuta interna) venduti prima ancora del lancio ufficiale, previsto per ottobre 2025.

Strumenti B2B per la cultura

Un secondo gruppo di startup non cerca di sostituire le istituzioni culturali, ma di potenziarle dall’interno, offrendo soluzioni B2B che risolvono problemi di efficienza, gestione e coinvolgimento del pubblico.

Cinemize
Una piattaforma SaaS che porta ordine nel caos dei set cinematografici e televisivi. Il suo gestionale permette di monitorare i costi di produzione in tempo reale, anziché registrarli a posteriori, riducendo drasticamente il rischio di sforamenti di budget: un problema cronico del settore. Il suo vantaggio competitivo risiede nell’essere specificamente progettato per le pratiche contabili italiane, un dettaglio che lo rende immediatamente adottabile dal mercato locale. La validazione è avvenuta con giganti come Fremantle e Wildside.

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Sephirot
Questa piattaforma si rivolge a musei con collezioni permanenti, trasformando la visita in un’esperienza di gamification immersiva. Tramite un’app che utilizza la realtà aumentata, i visitatori vengono coinvolti in una storia interattiva che si snoda tra le opere, incentivandoli a tornare per sperimentare variazioni e ramificazioni diverse del racconto. Il vero valore per il museo è duplice: aumenta l’engagement del pubblico giovane e raccoglie dati preziosi sul comportamento dei visitatori. Oltre 1.500 persone hanno provato l’esperienza pilota con un tasso di ritorno del 75%, un dato che certifica un coinvolgimento elevatissimo. Sono 17 i clienti già attivi.

My Digital Exhibition Suite
Questa suite offre a musei, gallerie e spazi espositivi un set completo di strumenti digitali. Dalla creazione di “digital twin” per la mappatura degli spazi all’allestimento virtuale delle mostre (abbattendo costi e tempi), fino alla gestione automatizzata dei diritti d’autore connessi alle opere esposte. È una soluzione B2B che abilita modelli di business innovativi, come tour virtuali a pagamento. La startup ha già un portafoglio clienti di tutto rispetto (tra cui il musei e festival culturali) e sta formalizzando una partnership strategica (RTI) con altri attori del settore.

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Curatela e distribuzione

La frammentazione dell’offerta e la difficoltà di raggiungere audience specifiche sono problemi che un terzo gruppo di startup affronta con modelli di curatela e distribuzione innovativi.

Door
Nata come piattaforma collaborativa, si è evoluta in un magazine digitale pensato per avvicinare i giovani alla cultura. La sua proposta di valore è un formato editoriale agile: “5 pillole di notizie culturali al giorno” veicolate con linguaggi e formati (testo, audio, video) adatti a un pubblico nativo digitale. Dopo aver costruito una prima community (oltre 2.000 follower e 75 contributor esterni), il suo modello di business sta virando verso il B2B: offrire la piattaforma e i contenuti in white-label a media company o istituzioni culturali che vogliono raggiungere il target giovanile.

MyCulture
È una piattaforma di streaming video-on-demand (VOD) che si è ritagliata una nicchia di mercato precisa e ad alto valore culturale: i contenuti realizzati in lingue minoritarie e regionali, altrimenti invisibili sui canali mainstream. Funge da hub per la diversità linguistica, connettendo piccoli produttori con un pubblico globale di appassionati. Le metriche confermano l’esistenza di questo mercato: oltre 1.000 utenti registrati, un catalogo di 101 titoli in 18 lingue diverse (con nuovi titoli aggiunti ogni mese) e un tasso di completamento dei video del 65%, indice di un pubblico molto interessato. La partecipazione a eventi come il CES di Las Vegas e il mercato del Festival di Berlino ne segnala le ambizioni internazionali.

T Guides
Affronta il problema della “scoperta” culturale. Per chi cerca eventi alternativi e fuori dai circuiti principali, tenersi aggiornati è un’impresa. T Guides semplifica tutto con un chatbot basato su AI e integrato in WhatsApp, che funge da “matchmaker culturale”: gli utenti ricevono consigli personalizzati, mentre gli organizzatori di eventi e gli artisti possono promuovere le proprie iniziative a un pubblico mirato. Con una visione dichiaratamente europea, la startup ha già validato il modello con partner di peso come il Fringe Festival di Edimburgo e il Museo Galileo di Firenze.

Infine, un gruppo di startup mostra come i linguaggi e i processi creativi possano essere applicati con successo a settori apparentemente distanti come l’EdTech, la formazione aziendale e i servizi alla persona.

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LingoToons
Questa piattaforma EdTech parte da una premessa semplice: i metodi tradizionali per imparare le lingue sono spesso noiosi. La sua soluzione è usare fumetti, manga e webtoon interattivi come strumento didattico. L’apprendimento diventa immersivo e contestuale, sfruttando il potere narrativo e visivo delle storie. Il 90% dei contenuti è veicolato tramite dialoghi e illustrazioni, rendendo l’esperienza più naturale e memorabile.

Value Motion
Applica il linguaggio del cinema alla formazione aziendale. Propone workshop di team building in cui i dipendenti vengono guidati nella creazione di un cortometraggio, dalla sceneggiatura al montaggio. Questo format esperienziale si è dimostrato molto più efficace delle tradizionali attività formative per sviluppare soft skills e per trasmettere i valori aziendali. Il modello è puramente B2B, e la startup ha già validato l’interesse del mercato con 16 interviste a responsabili HR e un primo progetto pilota realizzato con un’azienda cliente.

Be My Hero
Digitalizza e aggrega un mercato estremamente frammentato: l’organizzazione di feste per bambini. La piattaforma è un marketplace che connette le famiglie con una rete di fornitori locali verficati (animatori, pasticceri, location). Il modello di business prevede un abbonamento a più livelli per i fornitori, che ottengono visibilità e accesso a richieste qualificate. Il potenziale di mercato è enorme (65 milioni di bambini 0-11 anni in Europa, con una spesa media di 300 euro a festa). I primi test sono stati positivi: in poche settimane ha raccolto oltre 120 richieste da famiglie e 387 candidature da fornitori, di cui 75 sono stati attentamente selezionati per garantire un alto standard di qualità, una mossa strategica per costruire fiducia.

Investire nell’Immaginazione

Il Demo Day di MVP Factory non è stato solo una vetrina per le startup, ma anche un momento di riflessione strategica sul futuro del sostegno all’innovazione culturale. Il panel finale, con la partecipazione di esponenti di primo piano di alcune delle più importanti fondazioni italiane, ha rivelato un’evoluzione profonda nel ruolo di questi attori: non più semplici erogatori di fondi, ma veri e propri mecenati di nuova generazione, sempre più venture capitalist che investono in un ecosistema che unisce impatto sociale e sostenibilità economica. L’approccio filantropico tradizionale, basato su grant a fondo perduto, sta lasciando il posto a logiche di investimento strategico, mirate a costruire imprese culturali durevoli e scalabili.

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Maria Chiara Baretta di Fondazione Cariplo ha sottolineato come il loro sia “un percorso in evoluzione”: l’intuizione chiave è che non sia sufficiente finanziare l’offerta di innovazione (le startup), ma sia necessario “stimolare la domanda di innovazione” da parte delle istituzioni culturali. Per fare ciò, Cariplo sta creando programmi completi che mettono in contatto i bisogni reali di musei, teatri e biblioteche con le soluzioni proposte dalle startup. L’annunciato rilancio di Innovacultura, un’iniziativa che partirà con workshop territoriali per mappare le esigenze del settore e lancerà una nuova call per startup a luglio 2025, è la manifestazione concreta di questa strategia a 360 gradi.

Questo passaggio da filantropia a investimento è ancora più esplicito caso di Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore. “Il nostro approccio non è più quello della semplice erogazione a fondo perduto, ma di veri investimenti in società ad alto impatto”, ha spiegato Rinaldo Canzi. Circa il 20% del portafoglio della fondazione è già investito in imprese culturali, con una visione a lungo termine: come dimostra l’attivazione di un fondo impact con un orizzonte di 20 anni per aziende culturali mature e l’ambizione di costruire un fondo europeo con altri investitori istituzionali per amplificare le risorse. Canzi ha anche insistito sull’importanza di “fare sistema”: incoraggiando la collaborazione tra le startup accelerate per creare filiere più forti e credibili di fronte al mercato e ai finanziatori.

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Infine Matteo Pessione di Fondazione CRT e OGR Torino ha illustrato il modello del “venture builder”, un approccio ancora più pratico. Alle OGR Tech si lavora su progetti che hanno già un embrione di community, una “fanbase”, aiutandoli a scalare offrendo mentorship per costruire una campagna di crowdfunding. Un modo per testare il mercato e insegnare ai team a trasformare i fan in sostenitori attivi. La strategia di Fondazione CRT si sta muovendo verso una decisa verticalizzazione, come dimostrano i programmi specifici sviluppati in collaborazione con Microsoft per il mondo dei videogiochi. Perché per competere in settori complessi come il gaming non basta un supporto generico, ma serve una profonda conoscenza del dominio, spesso ottenuta tramite partnership con leader di settore e atenei tecnici come il Politecnico.

Le fondazioni e gli altri stakeholder del settore si stanno quindi trasformando in investitori sofisticati, capaci di applicare le logiche del venture capital all’impatto culturale, di costruire ecosistemi e di specializzarsi in settori verticali. Questa triangolazione di potere – tra le startup agili, le istituzioni culturali detentrici del patrimonio e gli investitori strategici che forniscono capitale e visione – può diventare la vera chiave per una svolta del settore. Iniziative come MVP Factory sono il laboratorio in cui si sta forgiando questo nuovo patto tra creatività, tecnologia e finanza. Un patto che, se coltivato, ha il potenziale non solo di “difendere il futuro del passato”: ma di costruirne uno più dinamico, inclusivo, scalabile e, soprattutto, sostenibile attorno alla bellezza e alla creatività italiane.





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