L’ assessore comunale alla Cultura Roberto Falotico ha presentato qualche giorno fa, davanti a una tazza di caffè, o forse qualcosa di più amaro, il cartellone dell’“Estate in città”. Lo ha fatto, come suo stile, con garbo e con l’entusiasmo di chi, pur in condizioni economiche precarie, tenta di far quadrare i conti e offrire alla cittadinanza un po’ di compagnia nei mesi estivi. Ha parlato di eventi diffusi in vari spazi cittadini, ringraziato le associazioni locali per il loro apporto e sottolineato come, senza di esse, l’estate potentina non avrebbe visto la luce. Ha anche spiegato, l’assessore, che il Comune di Potenza è vincolato al rispetto del riequilibrio finanziario. Quindi, più di così non si poteva fare. Ora, capisco perfettamente i problemi dell’amministrazione. So bene cosa significhi avere vincoli di bilancio, tagli, imprevisti, riunioni su riunioni. Ma, caro assessore, davvero vogliamo continuare a usare il bilancio come alibi? Davvero nessun altro Comune in Italia ha problemi economici? Se così fosse, potrei elencartene almeno una ventina che, nonostante situazioni simili, riescono a mettere in piedi manifestazioni di li- vello nazionale. Come faranno? È la domanda che mi sono posto. E mi sono anche dato una risposta: a Potenza manca la visione. Manca un progetto. Manca un disegno, un’idea organica e strutturata che tenga dentro l’Estate in città, il Maggio potentino e, perché no, anche l’Autunno letterario, l’inverno, i giovedì, i sabati e le domeniche. Un progetto triennale, magari. Perché se non si pianifica, se non si mette a sistema, si finisce ogni anno a cercare artisti, permessi e patrocini con l’acqua alla gola e il fiato corto. Le associazioni locali hanno un ruolo centrale, e l’ho sempre riconosciuto. Senza di loro, questa città si spegnerebbe. Ma proprio per questo bisogna avere il coraggio di offrire loro nuove sfide, opportunità di crescita, orizzonti più ampi. Continuare a tenerle in una comfort zone fatta di piccoli eventi frammentati è un modo per renderle invisibili e non farle mai maturare. Mettiamole alla prova, diamogli fiducia, coinvolgiamole in un processo di trasformazione culturale vera, strutturata, intergenerazionale. Sento che, forse, all’assessore non conviene esporsi troppo. Forse si cerca di ottenere il massimo con il minimo sforzo. Ma è proprio qui il punto: se si ragionasse in termini di triennalità, si potrebbe finalmente coinvolgere, seriamente e non con un invito a cena, la Camera di Commercio, le imprese culturali, le banche, le fondazioni, le grandi aziende che ancora oggi “succhiano” il nostro sottosuolo senza restituire molto. Si potrebbero attivare canali per intercettare fondi europei, regionali, Pnrr, interregionali. E Potenza, capoluogo di regione, non dimentichiamolo mai, potrebbe iniziare a occupare uno spazio, anche piccolo ma autorevole, nel panorama nazionale. Se invece l’intento è solo quello di far spostare i residenti di Bucaletto al Parco Baden Powell e viceversa, per vedere un con- certo di musica classica o una sagra con cover band anni ’90, allora sì: l’operazione è ben riuscita. Missione compiuta. Ma se vogliamo davvero che Potenza ritrovi lo spirito e la vitalità degli anni ’80, quando qui passavano artisti veri, spettacoli internazionali e c’era aria di futuro e d’Europa, allora bisogna osare. Bisogna avere coraggio. E bisogna anche saper fare un passo indietro. Quando si parla di progettazione triennale, non si può prescindere da una direzione artistica vera e propria. Ma sia chiaro: non mi sto proponendo per dirigere nulla. Lo scrivo senza ambiguità. Tuttavia, se mai ci fosse il coraggio di affidare la guida di un progetto culturale a chi questo lavoro lo fa da una vita, con competenza e visione, beh… sarei felice di mettermi al servizio della mia città. Per passione, non per ambizione. Serve una figura, o un team, con visione, con capacità relazionali, con esperienza nel mettere insieme i pezzi e costruire un’identità culturale che duri nel tempo. Una figura super partes, riconosciuta anche fuori dai con- fini cittadini, capace di mettere in rete esperienze locali e produzioni nazionali. Serve qualcuno che sappia parlare con i curatori dei festival, con i direttori di scena, con i musicisti veri e con i tecnici. Qualcuno che sappia cucire una narrazione culturale credibile. Non è questione di nomi. È questione di metodo. E a Potenza, oggi, manca un metodo. Si va avanti per abitudine, per buona volontà, per affetto alla città. Ma non basta. Non più. Non se vogliamo che Potenza abbia un’identità culturale riconoscibile, stabile, coerente. E, perché no, una reputazione. Un progetto triennale, ben impostato, permetterebbe alle stesse associazioni locali di confrontarsi con realtà professionali più strutturate, di crescere, di evolversi. Offrirebbe loro un’occasione di miglioramento e di apertura verso nuove modalità organizzative. Si potrebbe così finalmente costruire una rete di collaborazione intercomunale, con Matera, Bari, Salerno, Avellino, condividendo date, artisti, logistica, costi e visibilità. Sarebbe uno scambio intelligente, utile a tutti. La volontà è (o dovrebbe essere) quella di attrarre anche turisti dalle regioni limitrofe. Ma come? Con l’appetibilità degli eventi. Una rassegna jazz seria, un cartellone di teatro contemporaneo, una collaborazione con festi- val consolidati. Potenza ha strutture, professionisti, pubblico. Quello che manca è una strategia. Il turista pugliese, campano o calabrese è disposto a scalare le montagne per un evento che valga il viaggio. La Notte della Taranta a Melpignano ne è l’esempio lampante. Diciamocelo: siamo nel 2025. Parliamo ogni giorno di smart cities, rigenerazione urbana, reti culturali, economia della conoscenza. Poi apriamo i cartelloni estivi e ci troviamo davanti a un’accozzaglia di eventi, alcuni dignitosissimi, altri arrangiati, senza un filo conduttore, senza una spinta. Nel frattempo, sui social, su qualche slide sparsa e tra una conferenza e l’altra, si è parlato (per davvero?) della candidatura di Potenza a Capitale Italiana della Cultura 2027. Ora, ammetto: non ho trovato conferme ufficiali. Ma se anche fosse una suggestione, una provocazione, allora rilancio: facciamolo per davvero. Ma con una progettazione vera, seria, continua. Non con il copia-incolla dei comunicati o le buone intenzioni da campagna elettorale. Sì, lo so. Dopo questa ennesima riflessione, diventerò il nemico numero uno, se non lo sono già, dell’assessore Falotico, della giunta comunale, sindaco in testa, e della maggioranza consiliare che lo sostiene per partito preso. Ma funziona così, lo so bene. E so anche che in cuor loro molti sono d’accordo con me. Solo che non possono dirlo. Pazienza. Caro Roberto, io ti voglio bene. E continuerò a volertene. Come amo questa città. Non me ne sono mai andato. Ci ho investito la mia vita. Ci credo ancora. Credo nelle sue potenzialità. E non ho più voglia di stare zitto. Se dopo questa riflessione mi farai cancellare dalle mailing list, se mi toglierai il saluto o se smetterai di invitarmi alle conferenze stampa, poco importa. Il mio affetto nei tuoi confronti non cambierà. Ma io voglio una città europea. Una città che non rincorra eventi, ma li progetti. Una città che abbia rispetto per la cultura, e la cultura del rispetto. Una città che non si accontenti più. E allora sì, caro assessore: ti propongo un’altra tazza di caffè. Ma stavolta con un foglio bianco, tre anni davanti e il coraggio di una piccola rivoluzione culturale. Ci stai?
Dino Quaratino
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