Bruxelles – Sul ritiro della direttiva europea sulle dichiarazioni ambientali, che mira a combattere il greenwashing aziendale, si stanno giocando due partite fondamentali: da un lato rischia di essere il punto di non ritorno della fragilissima ‘piattaforma’ che sostiene Ursula von der Leyen – composta da popolari, socialisti e liberali -, dall’altro mina la credibilità del processo legislativo e la fiducia tra le stesse istituzioni europee.
Questa mattina (23 giugno) era previsto l’incontro potenzialmente decisivo tra i negoziatori del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Ue per limare l’aspetto finale della direttiva, proposta dalla Commissione europea nel marzo del 2023. Ma l’annuncio a sorpresa, venerdì scorso (20 giugno), da parte dei portavoce dell’esecutivo, di voler ritirare la proposta a pochi metri dal traguardo, ha innescato un terremoto. La presidenza di turno polacca del Consiglio dell’Ue ha annullato la riunione: “Ci sono troppi dubbi e confusione sul dossier. Abbiamo deciso di sospendere i lavori. La qualità è più importante della rapidità”, ha fatto sapere Varsavia.
Nel frattempo, Bruxelles ha fornito le prime spiegazioni ufficiali. Il problema sarebbe che la posizione negoziale a cui stanno pervenendo i colegislatori è troppo distante dalla proposta originaria messa sul tavolo dalla Commissione. “Ci sono stati sviluppi, incluso un emendamento che va chiaramente contro l’obiettivo di semplificazione della Commissione. In particolare, per quanto riguarda le microimprese”, ha spiegato Paula Pinho, portavoce capo dell’esecutivo, sottolineando che l’emendamento comporterebbe oneri “per circa 30 milioni di microimprese, il 96 per cento di tutte le imprese”.
L’emendamento in questione, inserito dai Paesi membri, “distorce la proposta della Commissione, impedendo il raggiungimento degli obiettivi che la proposta stessa si prefiggeva sin dall’inizio, ovvero sostenere lo sviluppo dei mercati verdi senza imporre oneri alle imprese più piccole“, ha proseguito la portavoce. Il ritiro della proposta, prerogativa della Commissione prevista nei trattati, diventa così un’arma per influenzare i negoziati: “Aspetteremo e vedremo il prossimo incontro interistituzionale per capire se questo emendamento, che va completamente contro l’agenda di semplificazione, verrà mantenuto oppure no. Se non verrà mantenuto, allora potremo riconsiderare la nostra proposta di ritiro“, ha concluso Pinho.
La questione è in realtà, se il prossimo incontro interistituzionale si terrà mai. E in che modo ci arriverà – eventualmente – il Consiglio dell’Ue. Perché nel corso del weekend l’Italia ha approfittato della presa di posizione della Commissione e ha revocato il proprio appoggio conferito alla presidenza polacca del Consiglio dell’Ue per i negoziati. “Si tratta di una proposta che l’Italia non ha mai sostenuto”, hanno confermato fonti diplomatiche. Anche se, al momento dell’approvazione dell’orientamento generale del Consiglio, nel giugno 2024, l’Italia aveva dato il proprio assenso. La giravolta italiana potrebbe costringere gli Stati membri a riaprire il testo, trovare un nuovo compromesso e ricominciare da capo i negoziati con il Parlamento. Peraltro, oltre ai nodi microimprese e semplificazione, alcune delegazioni avevano sollevato dubbi sulla validità del metodo individuato dalla Commissione europea per valutare la sostenibilità dei prodotti, il Product Environmental Footprint Category Rules (PEFCR).
All’Eurocamera, socialisti e liberali sono su tutte le furie per una forzatura “senza precedenti” da parte della Commissione europea. E per il tradimento consumato da parte del Partito Popolare Europeo, che “ha deciso di allearsi con l’estrema destra” nella crociata contro il Green Deal. La decisione della Commissione europea – a trazione popolare – è infatti arrivata solo due giorni dopo la richiesta esplicita di ritiro della proposta da parte di Ppe, Conservatori (Ecr) e Patrioti (PfE). “Abbiamo avuto l’impressione che la Commissione stesse seguendo le istruzioni dei tre gruppi politici“, è la conclusione tratta da Sandro Gozi, eurodeputato liberale di Renew e relatore relatore del provvedimento per l’Eurocamera. “Il Berlaymont (sede della Commissione europea, ndr) assomiglia sempre più al quartier generale del Ppe”, ha attaccato il socialdemocratico Timo Wolken.
Gozi ha sottolineato che il trilogo in agenda oggi avrebbe dovuto affrontare proprio il nodo delle microimprese e che, “indovinate un po’, nel mandato del Parlamento europeo le microimprese sono esentate dal campo di applicazione della direttiva”. Una “falsa scusa” insomma, quella di Ursula von der Leyen e della commissaria per l’Ambiente, Jessika Roswall – entrambe del Partito Popolare -, per coprire quella che è in realtà una linea politica del partito di appartenenza. “Solleveremo la questione alla presidente del Parlamento europeo”, ha annunciato Gozi. Secondo i presidenti della commissione Mercato interno e Ambiente del Parlamento europeo, Anna Cavazzini (Greens) e il dem Antonio Decaro, “questo modus operandi potrebbe costituire un pericoloso precedente per il processo legislativo e le procedure istituzionali, portando a inutili e evitabili scontri tra i colegislatori”.
La vicenda, in questo momento, rischia di entrare in una fase di stallo. La Commissione europea ha affermato di voler attendere il prossimo trilogo, mentre la presidenza del Consiglio dell’Ue – responsabile di convocare le riunioni – chiede chiarezza: “Per quanto riguarda i prossimi passi, non abbiamo ancora le idee chiare, quindi resteremo in contatto con il Parlamento europeo e la Commissione europea per valutare le possibili azioni da intraprendere”.
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