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Errore del commercialista, deve pagare il cliente? Cosa dice la legge


Come è noto, il commercialista aiuta il cittadino a gestire correttamente gli obblighi fiscali, come la dichiarazione dei redditi, e offre consulenza su bonus, detrazioni e pratiche quotidiane. Se da un lato è una guida fondamentale per evitare sbagli e risparmiare legalmente, dall’altro non rappresenta una garanzia di infallibilità.

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Anche questo professionista sbaglia, rivelandosi la causa diretta di inadempienze fiscali ma, come ha spiegato la Sezione tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13358 di quest’anno, il contribuente può essere bersaglio di sanzioni amministrative tributarie, anche per l’errore o l’irregolarità commessa da altri.

Cerchiamo allora di capire perché – e in quali casi – la responsabilità va a ricadere sul cliente, invece che sulla persona a cui sono stati affidati gli adempimenti tributari.

Le violazioni del commercialista

Come frequentemente accade per professionisti e lavoratori autonomi, un ingegnere – titolare di una ditta individuale – aveva incaricato un commercialista di occuparsi delle sue dichiarazioni fiscali.

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Dal successivo esame di queste ultime, svolto dall’Agenzia delle Entrate, emersero irregolarità gravi e, in particolare – come indicato nell’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti – l’uso di fatture oggettivamente inesistenti, il ricorso a crediti fittizi in compensazione e a un’indebita maxi-detrazione Iva.

Insomma, vere e proprie violazioni tributarie, spia delle pratiche truffaldine compiute dal commercialista.

In particolare, secondo un verbale della GdF compreso tra gli atti di causa, l’ingegnere aveva versato 50mila euro allo studio professionale incaricato della tenuta delle scritture contabili, per provvedere all’estinzione di alcune posizioni debitorie nei confronti del Fisco.

Tuttavia, come si legge nella sentenza della Cassazione:

i professionisti, incassate le somme, avevano provveduto all’estinzione dei debiti senza utilizzare l’ammontare corrisposto dal ricorrente, ma attraverso la compensazione dei suddetti debiti con un falso credito d’imposta artificialmente creato utilizzando fatture oggettivamente inesistenti.

Innanzi alle accuse del Fisco, che facevano da anticamera alle sanzioni tributarie, seguì la disputa legale tra l’uomo e la stessa Agenzia.

Ma, come riportato anche dalla sopracitata decisione della Corte, la Commissione Tributaria Regionale respinse l’appello proposto dall’ingegnere contro l’anteriore decisione di primo grado, che lo inchiodava a precise responsabilità nei confronti dell’Erario.

Sostenendo che la colpa dovesse interamente ricadere sul commercialista che aveva gestito irregolarmente la sua contabilità e presentato dichiarazioni scorrette e fraudolente, il professionista scelse di proseguire la causa fino in Cassazione.

Il cliente che non controlla il commercialista è responsabile

Oltre ad aver citato un indirizzo giurisprudenziale consolidato (Cass. 19422/2018, 8914/2018, 6930/2017, 11832/2016, 25580/2015) per definire le responsabilità in gioco, la Cassazione ha richiamato in sentenza il principio giuridico previsto dall’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472/1997 in materia di sanzioni amministrative tributarie.

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In sintesi, per legge il contribuente non è responsabile per l’errore del professionista solo se:

  • ha svolto un’effettiva attività di controllo nei suoi confronti;
  • gli errori del commercialista hanno avuto un intento fraudolento, complicando la rilevazione dell’inadempimento fiscale.

Ebbene, il punto chiave è che in questa vicenda l’ingegnere non era stato in grado di dimostrare di aver diligentemente vigilato sul lavoro del suo commercialista.

Infatti, come rimarcato nella sentenza dei giudici di piazza Cavour, in giudizio il ricorrente non ha dato prova:

dell’attività di vigilanza e controllo in concreto esercitata sull’operato di questi, facendosi anche consegnare le ricevute telematiche dell’avvenuta presentazione della dichiarazione, ma anche del comportamento fraudolento del professionista, finalizzato proprio a mascherare il proprio inadempimento all’incarico ricevuto, quindi anche mediante falsificazione di modelli F24 di pagamento delle imposte o delle ricevute di ricezione delle dichiarazioni telematiche o attraverso altre modalità di difficile riconoscibilità (Cass. 19422; Cass., 11 aprile 2018, n. 8914; Cass., 17 marzo 2017, n. 6930; Cass., 9 giugno 2016, n. 11832; Cass., 18 dicembre 2015, n. 25580).

In termini semplici, nel processo l’ingegnere non è riuscito a dimostrare di aver sorvegliato il commercialista nello svolgimento dei suoi compiti.

Non ha provato, infatti, di essersi fatto consegnare le ricevute che dimostrano l’invio delle dichiarazioni fiscali alle Entrate e non ha dimostrato gli inganni usati per nascondere la frode.

In sostanza, l’ingegnere è stato ritenuto colpevole di insufficiente attenzione su ciò che il commercialista stava facendo, pur essendo in presenza di un fatto imputabile proprio a quest’ultimo.

Ecco perché, dei mancati adempimenti fiscali e dichiarativi da parte dell’intermediario infedele, può rispondere il cliente-contribuente sul piano delle sanzioni tributarie conseguenti (come già affermato anche da Cass. 35612/2022). La Cassazione ha confermato così il provvedimento della Commissione Tributaria Regionale.

Processo tributario e penale: le differenze

Non solo. Cercando di scampare all’attribuzione di responsabilità nel processo tributario, l’ingegnere ha tentato di giocare la carta dell’assoluzione penale dal reato fiscale, nel frattempo intervenuta, ma la Corte ha escluso ogni automatismo tra giudicato penale e i fatti oggetto della sentenza che qui interessa.

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I giudici, infatti, scrivono che:

anche se i fatti accertati in sede penale erano gli stessi alla base dell’accertamento nei confronti del contribuente, tale sentenza poteva, al più, avere rilevanza come fonte di prova.

A configurare la responsabilità del contribuente nei confronti delle Entrate è – lo ribadiamo – il non aver provato l’assenza di propria colpa e la mancanza di accurati controlli sul suo commercialista.

Che cosa cambia

La vicenda e la sentenza 13558/2025 appena viste sono di monito per la generalità dei contribuenti che si affidano a un commercialista per gli adempimenti fiscali.

La Cassazione ha spiegato che può esservi una responsabilità del cliente rispetto alle irregolarità (anche gravi) commesse dal proprio consulente fiscale che, invece, andrebbe scelto con molta cura. Perché in molti casi il contribuente resta comunque obbligato verso il Fisco.

La Suprema Corte ha spiegato che il contribuente non rispetta gli obblighi tributari con il mero affidamento a un commercialista, essendo egli sempre tenuto a vigilare affinché questo mandato sia correttamente adempiuto.

Come visto, la legge esclude la sua responsabilità solo se è provato un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento.

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Concludendo, il contribuente non può solo fidarsi, ma deve anche controllare cosa fa il professionista e se rispetta la legge. Se non lo fa, rischia di rispondere in prima persona delle violazioni fiscali, anche se non le ha commesse lui direttamente.





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