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Il Made in Italy tra tradizione e futuro: ecco come l’innovazione può guidare la manifattura (senza sacrificarne l’anima)


Il Made in Italy si trova di fronte a un bivio. L’innovazione tecnologica, dalla digitalizzazione all’intelligenza artificiale, rappresenta una spinta ineludibile e un’opportunità per rafforzare competitività e sostenibilità. Ma per navigare con successo in questo scenario è necessario fare un investimento strategico e continuativo nelle competenze, attivare un dialogo più profondo tra accademia e industria e operare una rivoluzione culturale che parta dalle fondamenta della società. Solo così l’Italia potrà guidare l’innovazione manifatturiera senza perdere quell’anima che la rende icona di eccellenza globale.

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Di questi temi si è discusso in occasione di una tavola rotonda nell’ambito del Made in Italy Innovation Forum, evento organizzato dal partenariato esteso MICS e incentrato sulle sfide a cui sono chiamate a rispondere le tre “A” cardine della manifattura italiana – Abbigliamento, Arredamento e Automazione. Al centro del dibattito la questione fondamentale di come l’industria italiana possa abbracciare pienamente la transizione tecnologica e digitale senza compromettere quell’identità, quella qualità e quel “saper fare” che la rendono unica al mondo.

Il confronto ha visto protagonisti quattro figure di spicco: Ugo Ghilardi, Amministratore Delegato di Itema S.p.A. (macchine per la tessitura), Edoardo Imperiale, Direttore Generale della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli e delle Materie Concianti (SSIP), Silvana Pezzoli, Vicepresidente Confindustria Moda e Vicepresidente Esecutivo Sitip S.p.A., e Marco Vecchio, Direttore Tecnico Federazione ANIE.

L’imperativo digitale e il campo aperto della manifattura

“Tutto a tutti”: così Ghilardi ha efficacemente descritto il modo in cui l’avvento della digitalizzazione ha ormai ridefinito il panorama industriale. La disponibilità pervasiva di tecnologie a costi contenuti ha dissolto mediazioni e privilegi consolidati, aprendo il campo a nuovi attori che, pur con identità più giovani, si muovono con velocità e capacità di acquisire competenze inattese.

Ghilardi ha sottolineato come questo sia un “campo aperto non difendibile”, destinato a un’accelerazione ulteriore con l’intelligenza artificiale. Il Made in Italy è così chiamato a una riflessione profonda sulla propria postura: come continuare a “giocare” in questo scenario mantenendo l’essenza di funzionalità, estetica, emozione, bellezza e qualità? La questione si sposta sul piano della disponibilità a “perdere” qualcosa della tradizione, un sacrificio necessario per acquisire la flessibilità e l’energia richieste dal presente. L’esempio dell’MP3, che ha impoverito la qualità musicale per renderla più veloce e condivisibile, è un monito sulla necessità di accettare compromessi per abilitare nuovi modelli di business e modalità di innovazione.

L’evoluzione del prodotto e il fattore umano

Le tecnologie avanzate non agiscono su un terreno incolto, ma rimodellano processi e prodotti, ponendo l’essere umano al centro. Imperiale, con la sua esperienza nel settore della concia delle pelli, ha evidenziato come l’impatto delle tecnologie sia “in atto” e richieda di essere governato e anticipato. Rimarcando poi la distinzione tra ricerca e innovazione: la prima sperimenta, la seconda applica efficacemente. Le tecnologie digitali aumentano l’efficienza, permettendo tracciabilità e personalizzazione dei processi produttivi, ma impongono nuovi modelli di lavoro che richiedono un investimento costante in “(re)skilling” e “upskilling”.

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Imperiale ha inoltre posto l’accento sull’umanocentrismo, spiegando che la tecnologia “aiuta il saper fare” senza sostituirlo e deve essere costantemente aggiornata. Il settore conciario rappresenta un esempio di circolarità secolare, perché trasforma gli scarti dell’industria alimentare in materie prime di valore dimostrando come il Made in Italy possa coniugare artigianalità e innovazione per prodotti ad alte prestazioni e basso impatto ambientale, sempre più orientati alla biodegradabilità e al riciclo.

Pezzoli, rappresentante del settore moda, ha illustrato le tre direttive principali che stanno trasformando l’industria. La digitalizzazione è pervasiva, dalla prototipazione 3D e collezioni virtuali all’analisi dei dati sul consumatore e l’integrazione dell’intelligenza artificiale. In secondo luogo, la sostenibilità è divenuta imprescindibile, con la ricerca di nuove biotecnologie e l’utilizzo di fibre innovative derivate da agrumi, alghe, fondi di caffè e scarti di cocco. Infine, l’avanzamento degli “smart textile” con funzionalità avanzate (antibatterici, anti-UV, ignifughi) e l’integrazione di microchip per il monitoraggio biomedico, testimoniano una costante ricerca di interazione con l’essere umano, confermando la centralità della figura umana e della sua collaborazione con la macchina.

La pervasività dell’elettrotecnica e le sfide regolatorie

Il ruolo dell’elettrotecnica e dell’elettronica, come sottolineato da Vecchio di Federazione ANIE, è diffuso nell’economia italiana. Con un valore di mercato proprio di circa 100 miliardi di euro, queste tecnologie abilitano mercati a valle per quasi 1.000 miliardi, equivalenti a circa la metà del PIL nazionale.

Vecchio ha evidenziato come l’intelligenza artificiale stia vivendo una “nuova epoca”, consolidata dalla diffusione capillare di strumenti come ChatGPT (che ha raggiunto 100 milioni di utenti in soli due mesi) e dal continuo avanzamento in aree quali i big data, la capacità di calcolo, il deep learning e le reti a banda ultralarga. L’IA trova già applicazioni concrete nel manifatturiero e nelle infrastrutture, dalla manutenzione predittiva al gemello virtuale, dalla robotica ai sistemi di visione per il controllo qualità.

Nonostante le prospettive incoraggianti permangono però barriere significative legate ai costi e, soprattutto, alle competenze. Un altro aspetto fondamentale è il quadro regolatorio: l’AI Act rappresenta un tassello recente di una serie di normative digitali volte a proteggere cittadini e consumatori dalle potenziali conseguenze negative dell’intelligenza artificiale, introducendo temi etici e normativi inseparabili dall’innovazione.

Il divario delle competenze: una questione culturale e demografica

Il tema delle competenze è uno dei punti che tutti i relatori hanno concordato nel definire “sensibile”: in un momento, come quello attuale, caratterizzato da grandi e veloci trasformazioni, le competenze rappresentano una delle principali criticità per la competitività e l’innovazione del Made in Italy. Il tema è critico non solo a causa della rapida evoluzione tecnologica, che richiede profili sempre più specializzati, ma anche per il divario preoccupante tra le esigenze dell’industria e le capacità disponibili sul mercato del lavoro italiano.

Ghilardi ha enfatizzato la necessità di fondere il “saper fare” con il “saper connettere”, un binomio essenziale per la postura del Made in Italy nel campo aperto globale. I giovani, ha argomentato, non sono un problema, ma un’energia da valorizzare, creando le condizioni affinché possano esprimersi e innovare all’interno del contesto italiano.

Pezzoli ha evidenziato come il 95% delle aziende manifatturiere italiane siano PMI, custodi di una qualità e manualità artigianale invidiate a livello internazionale. Ma queste piccole imprese necessitano di un supporto industriale concreto: piattaforme che forniscano informazioni sulla transizione digitale e occasioni di confronto.

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La formazione per i giovani è fondamentale, non solo per acquisire competenze sui software e macchinari avanzati, ma anche per sviluppare una cultura del valore del Made in Italy, comprendendo la differenza tra un prodotto di qualità e uno frutto di sfruttamento. La conservazione dell’intera filiera produttiva in Italia, dalla filatura ai finissaggi, rappresenta un patrimonio da valorizzare e spiegare, partendo dalle scuole.

Vecchio ha fornito dati significativi che delineano un quadro di arretratezza. Solo circa la metà della popolazione italiana possiede competenze digitali di base, un dato ben al di sotto della media OCSE (71%). La percentuale di giovani laureati in materie STEM è di 18,5 su 1000, drasticamente inferiore alla media europea di 199 su 1000. La formazione continua poi coinvolge solo il 10% degli adulti in età lavorativa, rispetto al 35% in paesi come la Svezia. L’Italia, con solo l’11% di laureati tra gli stranieri residenti, fatica anche ad attrarre talenti dall’estero, vivendo contemporaneamente una “fuga di cervelli”.

In questo quadro le aziende ANIE, pur avendo aumentato le assunzioni del 18% tra il 2019 e il 2023, segnalano difficoltà nel reperire profili adeguati, con il 75% che lamenta carenze di competenze tecniche (53%) e digitali (67%). Questo “mismatch” tra domanda e offerta, unito alla necessità di “reskilling” e “upskilling” del personale esistente e a un preoccupante problema demografico (con proiezioni che indicano un continuo calo delle nascite), rende la situazione complessa. Tra le soluzioni proposte, il rafforzamento degli ITS, la semplificazione burocratica e l’estensione degli orizzonti per gli incentivi alla ricerca, insieme a una maggiore permeabilità tra mondo accademico e industriale.



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