Il panorama imprenditoriale italiano si trova di fronte a un paradosso che rischia di compromettere la sua competitività futura. Mentre le sfide economiche diventano sempre più complesse e richiedono competenze specialistiche avanzate, la maggior parte delle piccole e medie imprese continua a sottovalutare il ruolo strategico della formazione professionale. Questa discrepanza tra necessità reali e percezione del problema rappresenta oggi uno dei principali ostacoli alla crescita del tessuto produttivo nazionale.
L’analisi condotta da 24ORE Business School su oltre 1.300 aziende rivela come le imprese italiane stiano attraversando una fase di trasformazione accelerata, dove sostenibilità ambientale, digitalizzazione e intelligenza artificiale non rappresentano più opzioni future, ma requisiti immediati per la sopravvivenza sul mercato. Tuttavia, la risposta formativa appare ancora frammentata e spesso inadeguata rispetto alla portata dei cambiamenti in corso.
Le competenze più ricercate dalle PMI riflettono questa duplice esigenza di innovazione e concretezza operativa. Al vertice della classifica si posizionano le soft skill, con particolare emphasis su leadership, comunicazione efficace e gestione dello stress, seguite dalle competenze commerciali specialistiche e dal project management. Non mancano le richieste per conoscenze economico-gestionali di base, sintomo di una necessità di consolidamento delle fondamenta manageriali in molte realtà imprenditoriali.
La rivoluzione delle competenze
Parallelamente alla domanda di competenze tradizionali, emerge una crescente richiesta di figure professionali capaci di guidare il cambiamento organizzativo. Project Manager, Sales Manager, Marketing Specialist, HR Manager e Responsabili Amministrazione Finanza e Controllo rappresentano i profili più ambiti, configurandosi come catalizzatori della modernizzazione aziendale. Questi ruoli incarnano la necessità delle PMI di strutturarsi in modo più professionale per affrontare mercati sempre più competitivi.
La transizione verso nuovi modelli di business si riflette anche nelle aree strategiche su cui si concentrano gli investimenti formativi più avanzati. Digital transformation e Big Data guidano la classifica delle priorità, seguiti dall’intelligenza artificiale e dai processi di innovazione legati al passaggio generazionale. Particolare attenzione viene dedicata ai nuovi modelli organizzativi e alla gestione delle risorse umane, segno di una maturità crescente nella comprensione dell’importanza del fattore umano nei processi di crescita.
L’età media dei leader d’impresa è 61 anni, con un tasso di imprenditorialità tra i più bassi in Europa
Fabio Papa, economista e coordinatore scientifico dei Master in Gestione e Strategia d’Impresa di 24ORE Business School, identifica tre macro-sfide cruciali per il futuro delle PMI italiane. La sostenibilità ambientale non rappresenta più un’opzione facoltativa ma un imperativo strategico, mentre la digitalizzazione, accelerata dall’avvento dell’intelligenza artificiale, sta ridefinendo i parametri di produttività ed efficienza operativa in tutti i settori.
Il nodo generazionale che frena l’innovazione
La sfida più urgente rimane tuttavia la transizione generazionale, un problema che tocca il cuore stesso del sistema imprenditoriale italiano. Con un’età media dei leader d’impresa fissata a 61 anni e un tasso di imprenditorialità giovanile tra i più bassi d’Europa, il Paese si trova di fronte a un ricambio generazionale che procede a rilento, rallentando inevitabilmente i processi di modernizzazione e innovazione.
La fotografia del tessuto imprenditoriale italiano rivela dimensioni strutturali che amplificano queste difficoltà. Il 99% delle oltre 4,5 milioni di imprese è rappresentato da PMI, prevalentemente microimprese a conduzione familiare caratterizzate da un basso livello di scolarizzazione tra i titolari. Solo 2 proprietari su 10 possiedono una laurea, evidenziando un disallineamento significativo tra l’offerta formativa disponibile e le reali caratteristiche del target imprenditoriale.
Nonostante la crescente complessità del contesto economico, determinata dalla convergenza di transizione ecologica, crisi energetica e innovazione tecnologica, appena il 51% delle PMI riconosce nella formazione una leva strategica fondamentale. Ancora più preoccupante è il dato che evidenzia come il 37% delle imprese non programmi affatto attività formative, continuando a percepire la formazione come un’attività teorica e distante dalle necessità quotidiane dell’azienda.
La combinazione di hard skill per l’analisi dei dati e la costruzione di strategie concrete con soft skill per la valorizzazione delle risorse umane rappresenta oggi il mix vincente per le PMI che puntano alla crescita. Come sottolinea Papa, le imprese che investono in formazione registrano risultati immediati e misurabili: decisioni più efficaci, processi più snelli e performance complessive migliori. Si tratta di formazione che genera valore reale, trasformando l’investimento in competenze in un vantaggio competitivo tangibile e duraturo.
In occasione della Giornata Mondiale delle PMI del 27 giugno, l’appello lanciato da 24ORE Business School assume quindi un significato particolare: rimettere la formazione delle persone al centro delle strategie aziendali non rappresenta solo un’opportunità di crescita, ma una necessità imprescindibile per rafforzare competitività, innovazione e sostenibilità del sistema produttivo italiano.
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