«Se una volta il Made in Italy poteva essere raccontato attraverso l’estetica, la bellezza del prodotto, la qualità del prodotto, oggi raccontare un prodotto verde, circolare – cosa che non si vede, non si tocca – è sicuramente molto più difficile. Quindi c’è anche bisogno di rivedere il posizionamento, l’immagine del nostro made in Italy».
Marco Taisch, presidente Partenariato Esteso Mics-Made in Italy Circolare e Sostenibile, va dritto al punto: il sistema industriale italiano è davanti a una svolta storica. Non basta più saper “fare bene”, né sbandierare il gusto e la tradizione. Serve ripensare la manifattura in chiave sostenibile, digitale e interconnessa, con una trasformazione che parta dai materiali, attraversi le fabbriche e arrivi ai modelli di business. La sfida è chiara: è necessario rimettere il Made in Italy al centro dell’innovazione industriale. Come? Attraverso un’alleanza tra accademia e impresa.
Parte da qui il Made in Italy Innovation Forum, la tre giorni ospitata a Villa Erba (Cernobbio) che segna un momento di sintesi per il partenariato esteso Made in Italy Circolare e Sostenibile (Mics), un progetto da 115 milioni nato nel gennaio 2023 grazie a un finanziamento del Mur e guidato dal professor Marco Taisch. Otto i filoni di ricerca, 87 progetti attivi, 25 partner (12 università e 13 aziende) e oltre mille persone coinvolte: numeri che fotografano una delle più ambiziose operazioni di innovazione sistemica mai lanciate nel Paese. «L’intento è creare un ecosistema dove il trasferimento tecnologico non sia episodico, ma strutturale – spiega Taisch – E dove anche la proprietà intellettuale, in quanto finanziata dal pubblico, diventi patrimonio accessibile lungo tutta la filiera nazionale».
Il progetto si concentra su tre comparti chiave – abbigliamento, arredamento e automazione – che insieme valgono oltre il 52% del Pil industriale italiano. Con un obiettivo chiaro: costruire una manifattura che non solo produca valore, ma lo faccia in modo sostenibile, replicabile, trasparente. «Ma la vera intuizione è la possibilità di fare cross-fertilizzazione – spiega Taisch – mettere in connessione ambiti produttivi finora autonomi, e generare soluzioni scalabili».
Con Marco Taisch, presidente, Partenariato Esteso Mics-Made in Italy Circolare e Sostenibile; Alessandro Fermi, Assessore Università, Ricerca e Innovazione, Regione Lombardia; Bianca Maria Colosimo, Presidente Comitato Tecnico Scientifico, Mics-Made in Italy Circolare e Sostenibile.
Catene logistiche interrotte, la servitizzazione al centro, iper personalizzazione: il nuovo paradigma manifatturiero secondo Taisch
Il progetto Made in Italy Circolare e Sostenibile nasce da un’alleanza tra università e imprese per affrontare una transizione industriale non più rimandabile. Alla base c’è l’idea che il posizionamento del Made in Italy debba evolvere, superando la centralità dell’estetica e della qualità percepita. «C’è bisogno di rivedere il posizionamento, l’immagine del nostro Made in Italy» osserva Marco Taisch. La trasformazione è spinta da fattori geopolitici e sistemici. Il paradigma globalizzato, un tempo dato per scontato, ha mostrato tutta la sua fragilità. Le catene logistiche si sono interrotte, la prevedibilità operativa si è ridotta. «Per anni abbiamo costruito modelli produttivi ottimizzati sulla disponibilità globale delle scorte. Oggi non funziona più così».
In parallelo, i comportamenti di consumo sono mutati. «La sostenibilità non è più una scelta etica – prosegue Taisch – è un elemento costitutivo della visione del mondo dei più giovani». I consumatori richiedono informazioni verificabili, misurazioni trasparenti, indicatori ambientali chiari. «Vogliono vedere stampato sulla confezione l’impatto ambientale del prodotto in chili di CO₂. E questo si può fare solo con i dati, con la ricerca, con l’innovazione». La manifattura si ritrova al centro di un ecosistema più ampio. Cambiano i modelli di business, con l’avanzare della servitizzazione. Cresce la richiesta di iper-personalizzazione. «Prodotti e servizi non sono più separabili – commenta Taisch – Ma senza un prodotto solido alla base, non c’è servizio che tenga».
Da qui la rivalutazione del ruolo del manifatturiero. Non solo per la sua incidenza economica, ma per l’impatto sociale e territoriale. «Se c’è manifattura, c’è lavoro. Se c’è lavoro, c’è ricchezza. E dove c’è ricchezza, c’è stabilità. Per questo credo che pace voglia dire manifattura». Taisch invita a riconsiderare il concetto di tradizione, che va riletta. Solo così può restare un valore competitivo nel contesto di una manifattura che oggi è connessa, multidisciplinare e orientata a obiettivi misurabili.
Made in Italy Circolare e Sostenibile: 15 milioni a bando, ma le imprese chiedono 75 milioni. Taisch: «Segnale chiaro: le imprese chiedono innovazione»
Al primo bando del Made in Italy Circolare e Sostenibile sono stati messi a disposizione 15 milioni di euro. La risposta è stata immediata: 75 milioni fra tutti i progetti presentati, cinque volte il budget disponibile. Un segnale chiaro: le imprese chiedono innovazione, riconoscono in questa iniziativa un’occasione strategica e sistemica. Il progetto ha raccolto un’ampia legittimazione istituzionale: più di venti incontri parlamentari, colloqui con ministeri, regioni e associazioni, 21 patrocini ufficiali. Non si tratta di un evento, ma di un’infrastruttura di sistema.
Le sfide sono note: produttività stagnante da vent’anni, sottoinvestimento cronico in R&S (ferma all’1,4% del Pil), bassa partecipazione femminile nei settori Stem. A questo si aggiunge la pressione competitiva di Paesi che investono di più e meglio. «Eppure, l’Italia conserva asset forti – sottolinea Taisch – l’industria dei beni strumentali rappresenta il 9% della produzione globale e il Made in Italy vanta la presenza più ampia nei podi mondiali per varietà settoriale. Una ricchezza che non può essere lasciata alla rendita».
Un manifesto per l’innovazione. Taisch: «Dieci punti per rifondare il Made in Italy»
Marco Taisch propone un manifesto per l’innovazione industriale italiana. Dieci punti, definiti come base di discussione per l’intero Forum Mics, con l’obiettivo di trasformarli in un’agenda condivisa e operativa.
- Il Made in Italy deve progettare futuro, non rincorrerlo
Le tecnologie digitali sono già disponibili. Il compito ora è integrarle nei prodotti, dalla fase progettuale fino alla distribuzione. Ogni oggetto deve diventare intelligente e connesso, ma senza perdere identità. È questa la nuova fedeltà al Dna produttivo italiano. - La collaborazione strutturata tra ricerca e impresa non è accessoria: è fondativa
Mics nasce su questo principio: ogni progetto deve coinvolgere almeno un’azienda partner. Senza applicazione industriale, la ricerca rischia di restare sterile. «È il modo per garantire concretezza e impatto ai risultati». - Accelerare sul capitale umano
L’Italia sta perdendo risorse giovani. In nove anni sono usciti dal Paese circa 350mila under 25. Il saldo demografico e formativo è negativo. Servono strategie nuove per trattenere, formare e attrarre talenti. - I prodotti del futuro devono essere human-centric
Non basta parlare di sostenibilità o digitalizzazione: i prodotti devono essere pensati per le persone, integrando etica, funzione, estetica e impatto sociale. In questo senso, il design italiano rappresenta un asset strategico. - Serve più entusiasmo e consapevolezza europea
A Bruxelles, secondo Taisch, i rappresentanti italiani faticano a valorizzare le proprie capacità. «Gli altri Paesi sanno vendere bene anche con meno. Noi dobbiamo imparare a farlo con convinzione e metodo». - Non basta produrre bene, bisogna produrre meglio
La circolarità e l’innovazione non vanno intese come alternative, ma come forze convergenti. La sostenibilità non può essere trattata come un tema a parte, ma come parte integrante della strategia industriale. - Le Pmi restano fondamentali, ma serve massa critica
L’eccellenza del Made in Italy è legata alle sue piccole e medie imprese. Tuttavia, la dimensione ridotta spesso limita la capacità di innovare. «Il piccolo è importante, ma il «piccolo è bello” non basta più». - L’Italia deve farsi ascoltare in Europa
Pur essendo il secondo paese manifatturiero d’Europa, l’Italia non guida l’agenda industriale europea. «È inaccettabile che siano altri a scrivere le priorità della manifattura continentale mentre noi restiamo marginali». - Il futuro va progettato ora
La visione strategica non può essere delegata. «Se non lo facciamo noi, lo faranno gli altri». Servono generosità, continuità politica e investimenti strutturali. Il limite dell’1,4% del Pil in R&S deve essere superato. - Mics deve diventare una piattaforma permanente
Non un progetto a termine, ma un’infrastruttura stabile. «Abbiamo assunto 300 ricercatori e 150 dottorandi. Non è assistenzialismo: è progettare il futuro insieme» Il modello passa anche da un nuovo patto tra imprese e centri di ricerca: ascolto reciproco, sperimentazione condivisa, visione sistemica.
Bianca Maria Colosimo: «Mics diventi piattaforma permanente a supporto della manifattura»
«Vogliamo che il Made in Italy Circolare e Sostenibile resti attivo oltre la scadenza del finanziamento, come infrastruttura stabile del Paese». È con questa affermazione che Bianca Maria Colosimo, presidente del Comitato Tecnico Scientifico di Mics, spiega il valore aggiunto di Mics: una piattaforma in grado di aiutare l’Italia a rimanere un grande Paese manifatturiero in Europa. Una riflessione per differenza, articolata attorno a quattro parole chiave – solitudine, scala, relazione, estensione – che definiscono la natura sistemica del partenariato e ne delineano la traiettoria evolutiva. Obiettivo: trasformare la ricerca industriale in una piattaforma permanente, capace di incidere sul tessuto produttivo nazionale, non solo nel breve periodo.
Solitudine. Uno dei limiti della ricerca italiana è la frammentazione. Università e imprese lavorano troppo spesso in isolamento. «Mics ha superato questo schema – chiosa Colosimo – creando un ecosistema collaborativo con 25 partner ufficiali, oltre 100 soggetti aggregati e più di 1.000 ricercatori coinvolti. L’82% dei nuovi ingressi è costituito da Pmi e microimprese».
Scala. Non basta la dimensione: serve capacità di portare le soluzioni dai laboratori alle aziende. «Il valore aggiunto di Mics è la scalabilità dei progetti – prosegue Colosimo – costruiti per raggiungere rapidamente un livello di maturità tecnologica trasferibile». L’obiettivo è trasformare la ricerca in asset industriali reali.
Relazione. La struttura del partenariato si articola in otto spoke tematici (prodotto, materiali, processi, fabbrica, digitalizzazione, nuovi modelli di business). «Ma ciò che distingue Mics è l’interconnessione – sottolinea Colosimo – i progetti non si esauriscono all’interno di un’area, ma attraversano ambiti diversi, integrando materiali, design, produzione e strategie di mercato». All’interno di questo framework si sviluppano anche le flagship, progetti ad alta rappresentatività che mostrano in modo esemplare l’approccio integrato: la fabbrica nello spazio, la produzione sostenibile di gioielli con materiali urbani riciclati, i tessuti biotecnologici per la moda, le soluzioni anti-contraffazione, e i prodotti sensorizzati in grado di “percepire e decidere”.
Estensione. Il concetto di “partenariato esteso” è duplice. Esteso nello spazio, perché coinvolge attori da tutto il territorio nazionale. Esteso nel tempo, perché punta a diventare una piattaforma permanente. A oggi, Mics ha prodotto oltre 300 pubblicazioni scientifiche, attivato 90 dimostratori tecnologici e organizzato più di 150 eventi di disseminazione. Per Colosimo, questo significa costruire un laboratorio a scala nazionale che accompagni la manifattura italiana lungo una traiettoria futura sostenibile, intelligente e identitaria.
Ricerca, 60 milioni dalla Lombardia. Fermi: «Le imprese potranno usare gratis i laboratori universitari»
«La Regione Lombardia ha stanziato 60 milioni di euro per finanziare una nuova misura a supporto della ricerca universitaria – annuncia l’assessore Alessandro Fermi – ma la novità più significativa sarà l’apertura gratuita dei laboratori e delle attrezzature universitarie alle imprese lombarde. È una misura totalmente innovativa. Non ha senso duplicare investimenti quando possiamo mettere a sistema risorse pubbliche già disponibili». L’obiettivo è duplice: evitare sprechi e facilitare l’accesso alla tecnologia da parte delle Pmi, che spesso non hanno le risorse per dotarsi internamente di strumentazioni avanzate. In parallelo, la Regione intende garantire una maggiore continuità di programmazione alle università, innescando un circolo virtuoso tra investimenti pubblici e utilizzo industriale.
Secondo Fermi, è questo il tipo di politiche che servono per colmare il divario tra l’enorme potenziale del Paese e la cronica sottovalutazione del sistema della ricerca. «Abbiamo un capitale umano straordinario, un Dna industriale unico e una tradizione di innovazione che ci ha resi competitivi anche senza un forte sostegno istituzionale. Ma non basta più. Serve visione, serve stabilità, serve continuità». E servono finanziamenti. «Se paragoniamo le risorse pubbliche investite in ricerca e innovazione negli ultimi 25 anni -prosegue – siamo tra gli ultimi in Europa. E questo nonostante le eccellenze che abbiamo nei nostri atenei e nei nostri centri di ricerca». Il Pnrr ha rappresentato una svolta, ma ora il tema è la continuità post-Pnrr. «La ricerca non può essere un episodio – afferma Fermi – Dobbiamo stabilizzarla nei bilanci, soprattutto a livello regionale. In questa legislatura abbiamo raddoppiato le risorse destinate all’innovazione. Ora servono strumenti strutturali».
Al centro della riflessione anche il nodo della formazione e il divario tra ciò che viene insegnato e ciò che richiede il mercato. «Il mismatch tra istruzione e impresa ci è costato fino a 15 punti di competitività rispetto alla Germania. È un problema culturale, non solo economico. Serve una svolta netta anche sul fronte degli Its e dei percorsi professionalizzanti». Fermi ha annunciato il lancio di un campus Its a Mind, nell’ambito del piano nazionale che prevede una struttura per ogni macro-area del Paese. «Dobbiamo smettere di considerare la formazione tecnica come una seconda scelta. Gli Its offrono sbocchi lavorativi concreti e qualificati. Serve un cambio di narrazione, anche nei confronti delle famiglie. Inoltre, l’università non deve limitarsi a formare. Deve contribuire direttamente allo sviluppo industriale – conclude Fermi – Ed è questo che stiamo cercando di realizzare con la nuova misura lombarda».
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