Nonostante l’esistenza di numerose politiche di settore, in Italia manca dagli anni Ottanta una strategia industriale nazionale. Un vuoto che genera disorganicità e rende difficile un approccio coerente e a lungo termine, come sottolineato da Paolo Quercia, direttore del Centro Studi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, durante l’ultima giornata del Made in Italy Innovation Forum, la tre giorni organizzata da MICS dedicata ai trend e alle sfide dei principali settori della manifattura.
“La politica industriale, a differenza di altri settori come la difesa o la sanità, è per sua natura atipica e trasversale e coinvolge diversi ministeri: dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy al MEF, passando per Lavoro, Ricerca, Affari Esteri (per il commercio internazionale) e Ambiente e Sicurezza Energetica (MASE). Questa molteplicità di attori rende indispensabile una visione strategica unitaria, che definisca chiaramente obiettivi, ruoli e, soprattutto, risorse non occasionali, garantendo stabilità e prevedibilità”, spiega Quercia.
La strategia industriale, quindi, è un passaggio superiore e propedeutico che identifica attori, obiettivi e risorse con una visione a lungo termine per dare organicità alla politica industriale, che altrimenti risulterebbe un insieme trasversale e disorganico di incentivi e spese, come quella attualmente presente in Italia.
In arrivo un libro bianco per definire una strategia nazionale per l’industria del futuro
Per colmare questa lacuna e fornire una rotta chiara il Ministero delle Imprese e del Made in Italy sta coordinando la stesura di un Libro bianco sulla strategia industriale nazionale.
Questo documento, la cui presentazione è attesa nelle prossime settimane, rappresenta il culmine di un percorso iniziato con un precedente Libro verde, il documento di proposta redatto dal Mimit lo scorso anno allo scopo di stimolare il dibattito pubblico per costruire una strategia industriale condivisa.
“Si tratta di un passo fondamentale, considerando che l’ultimo testo analogo in Italia risale agli anni ’80”, spiega Quercia.
Un ritardo significativo se confrontato con il Regno Unito, che negli ultimi vent’anni ha elaborato ben dodici diverse strategie industriali.
L’obiettivo del libro bianco è definire un quadro che permetta una programmazione di cinque-sette anni, che sia idealmente allineata con il quadro finanziario settennale dell’Unione Europea.
“La coerenza tra politiche orizzontali europee e strategie nazionali è fondamentale per ottimizzare l’uso dei fondi e delle competenze, in particolare in settori come l’innovazione e la decarbonizzazione, dove l’UE svolge un ruolo guida”, aggiunge Quercia.
Il ruolo dello “Stato stratega” nelle grandi transizioni
Un pilastro fondamentale del futuro Libro bianco è la ridefinizione del ruolo dello Stato: non più imprenditore, come al tempo dell’IRI, o mero regolatore, ma chiamato a riappropriarsi di una funzione strategica, agendo come “Stato stratega”.
Un’evoluzione necessaria per guidare l’industria nell’affrontare le quattro “enormi transizioni”, come le definisce Quercia, che stanno ridisegnando il panorama globale: i cambiamenti geopolitici (con particolare riferimento ai dazi e alle nuove dinamiche commerciali), le profonde trasformazioni tecnologiche, le sfide legate alla transizione energetica e i mutamenti demografici.
“Questi non sono processi che il mercato può gestire autonomamente. Richiedono, al contrario, un intervento statale robusto e lungimirante, capace di coordinare le forze in gioco, anticipare gli scenari futuri e aggregare dati per orientare interventi selettivi e mirati”, spiega Quercia.
Ed è in virtù di queste sfide che è ancora più urgente rafforzare il legame tra il mondo della ricerca e quello delle imprese, un’area in cui l’Italia sconta ancora un deficit significativo.
Dazi e geo-economia: l’Italia nel vortice del commercio globale
Una delle grandi trasformazioni in atto, come detto, riguarda il commercio internazionale e gli impatti dei nuovi dazi introdotti dall’amministrazione Trump.
L’Italia ha un interscambio commerciale fortemente polarizzato verso l’Occidente: circa il 70% del totale avviene con l’area euro-atlantica, inclusi i paesi del G7 e dell’EFTA. Un ulteriore 10% riguarda i paesi di prossimità (Nord Africa, Medio Oriente, Balcani, Europa orientale), mentre il restante 20% si distribuisce con il resto del mondo.
In questo scenario i dazi americani rappresentano un elemento di forte criticità, in quanto mettono in discussione assetti consolidati e impongono una riconsiderazione delle strategie.
“La risposta italiana dovrà essere ponderata, evitando reazioni impulsive come i controdazi e privilegiando l’innovazione tecnologica quale leva competitiva”, spiega Quercia.
I dazi si inseriscono infatti in una più ampia strategia di reindustrializzazione dell’Occidente.
Dopo decenni di delocalizzazione dettata dalla globalizzazione, si assiste a un tentativo di riportare la produzione in patria attraverso una combinazione di barriere tariffarie e incentivi, come nel caso dell’Inflation Reduction Act negli Stati Uniti.
“Diventa perciò essenziale per l’Europa definire il proprio posizionamento rispetto agli USA e agli altri blocchi economici, in termini di politica di innovazione. Bisogna stabilire dove l’autonomia è indispensabile e dove, invece, è più vantaggioso evitare duplicazioni di risorse, magari esplorando collaborazioni che, come il fallito ‘Trade and Technology Council’ tra Europa e USA, potrebbero offrire percorsi condivisi”, aggiunge Quercia.
Superare il focus settoriale: le filiere motori della crescita industriale
Il Libro bianco propone un cambio di prospettiva fondamentale: superare la visione settoriale tradizionale a favore di un approccio basato sulle filiere produttive.
“I settori, spesso troppo ristretti, non consentono di affrontare efficacemente le grandi sfide contemporanee. Allo stesso modo, politiche troppo orizzontali rischiano di essere inefficaci, poiché la politica industriale implica scelte e interventi mirati”, spiega Quercia.
“Al centro di questa strategia di reindustrializzazione dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente deve esserci la manifattura. È in questo comparto che si concentrano l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo, elementi essenziali per la crescita economica”, aggiunge.
Una filiera produttiva, nell’accezione del Libro bianco, si estende dalla materia prima fino al consumatore finale, integrando in sé anche il commercio e i servizi a valle e a monte della produzione.
In Italia sono state mappate 18 filiere produttive di rilevanza strategica. Proprio per questa pluralità, non può esistere una soluzione unica per tutti, ma si rende necessario elaborare una specifica politica industriale di filiera, capace di rispondere alle esigenze e alle peculiarità di settori come la chimica, il tessile, i macchinari o la farmaceutica.
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