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il Report sull’Italia di Harvard


Il “Critical and Emerging Technologies Index 2025” della Harvard Kennedy School. Italia in equilibrio precario tra eccellenze e debolezze

Nel panorama tecnologico globale del 2025, tra intelligenza artificiale, tecnologie quantistiche, semiconduttori, biotecnologie e Space industry, l’Italia si trova in una posizione di equilibrio precario: ben distante dalla vetta, ma con vere e proprie eccellenze da valorizzare ulteriormente e trasformare in solidi asset.

 

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Secondo il “Critical and Emerging Technologies Index 2025 pubblicato dalla Harvard Kennedy School, il nostro Paese si colloca al 14° posto su 25 tra nazioni e blocchi regionali analizzati, dietro a Regno Unito, Germania, Francia, ma sopra Spagna e Paesi Bassi.
Un piazzamento che riflette una tensione costante tra potenziale scientifico e debolezza sistemica, tra eccellenze isolate e mancanza di coordinamento nazionale.

Sembra un posizionamento mediocre, ma invitiamo a un ragionamento: se si guarda alla classifica e si vede “la stazza” di chi ci precede, il 14° posto non è per niente un risultato negativo, tutt’altro. Prima di noi ci sono Paesi di dimensioni ragguardevoli molto più grandi del nostro dal punto di vista territoriale e quindi della disponibilità di risorse (USA, Cina, Russia, Canada o Australia).
A parte il caso tutto particolare di Taiwan e Corea del Sud, i nostri diretti concorrenti sono sempre gli stessi: Germania, Regno Unito e Francia (questi ultimi due Paesi, inoltre, possono ancora contare sui rapporti ‘esclusivi’ con le loro ex colonie).

Giannone (Harvard Kennedy School): “Il vero problema è sistemico”

Un nuovo Indice globale sulle tecnologie critiche ed emergenti, che confronta decine di Paesi in diversi settori strategici. Oltre all’indice, la Harvard Kennedy School ha redatto dei country report, uno dei quali è stato dedicato al nostro Paese, dove si esamina nel dettaglio lo stato dell’arte di ogni ambito e si propongono raccomandazioni concrete per colmare il divario con i Paesi leader.

L’Italia dispone di risorse scientifiche e istituzionali di altissimo livello, ma non riesce ancora a tradurle in competitività tecnologica. Il divario con Francia e Germania è evidente: siamo forti in ricerca accademica, ma deboli nella commercializzazione, nella produzione di brevetti e nella scalabilità delle startup. In settori come l’intelligenza artificiale e i semiconduttori esistono basi promettenti — basti pensare a centri come il CINECA o a realtà come STMicroelectronics — ma mancano investimenti mirati, capitale paziente e strumenti per collegare la ricerca al mercato. Sulle tecnologie quantistiche, invece, il ritardo è netto: pochi fondi, governance frammentata, fuga di cervelli”, ci ha spiegato Carlo Giannone, autore dell’Italy Report e Ricercatore del Belfer Center dell’Harvard Kennedy School.

Il vero problema è sistemico. Nonostante l’accesso a generosi fondi europei, l’Italia non ha ancora un meccanismo efficace per trasformare la spesa pubblica in leadership industriale o leva geopolitica. Servono infrastrutture, competenze specializzate, filiere produttive, ma soprattutto una cabina di regia. Nel report – ha precisato Giannone – propongo la creazione di una Italian Emerging Technology Agency (IETA): un’agenzia nazionale per l’innovazione ad alto rischio e ad alto impatto, sul modello della SPRIND tedesca o della DIUx americana. Una struttura snella, autonoma e strategica, capace di scommettere su progetti pionieristici e costruire, nel tempo, la sovranità tecnologica del Paese. IETA potrebbe nascere come evoluzione dell’attuale divisione Deep Tech di CDP, rafforzandone capacità operative, autonomia e missione di lungo periodo”.

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AI: infrastrutture italiane all’avanguardia, ma serve un cambio di passo per restare competitivi

In alcuni settori strategici, come l’intelligenza artificiale (AI), l’Italia può vantare infrastrutture d’avanguardia e una comunità scientifica tra le più attive a livello europeo. Il supercomputer Leonardo di CINECA, settimo al mondo per capacità di calcolo, ne è la prova tangibile. Tuttavia, il ritardo nella commercializzazione delle tecnologie AI è evidente.

Il nostro ecosistema è ancora privo di attori in grado di competere con le grandi piattaforme statunitensi, britanniche o cinesi nello sviluppo di modelli fondativi di apprendimento automatico. Le startup italiane in ambito AI non riescono ancora a scalare, a causa di una scarsità strutturale di capitale di rischio e meccanismi di trasferimento tecnologico deboli.
È necessario quindi un cambio di passo, che potrebbe passare per la creazione di un National AI Growth Fund sul modello francese o tedesco, capace di attrarre investimenti privati attraverso garanzie e incentivi fiscali, e che punti allo sviluppo di consorzi pubblico-privati centrati su università d’eccellenza, dataset industriali e infrastrutture di calcolo sovrane.

Biotech, finanziamenti pubblici e privati inferiori rispetto ai concorrenti

Nel campo delle biotecnologie, la situazione è paradossale: l’Italia figura tra i paesi con la produzione scientifica più elevata, ma non riesce a tradurre questa leadership accademica in brevetti e applicazioni industriali.

Il problema è duplice: da un lato, i finanziamenti pubblici e privati sono nettamente inferiori rispetto ai principali concorrenti europei; dall’altro, la normativa italiana resta ancorata a una visione restrittiva che frena innovazioni cruciali come l’editing genetico e le colture OGM. Se da una parte emergono poli promettenti come il Bioindustry Park in Piemonte o il Distretto Biomedicale di Mirandola, dall’altra manca una governance capace di canalizzare fondi, riforme regolatorie e strumenti di brevettazione accelerata in un’unica strategia nazionale. Serve una svolta culturale, prima ancora che finanziaria.

Fintech, siamo poco attrattivi

Anche nel settore fintech, pur in crescita, l’Italia sconta un ritardo rispetto a hub consolidati come Londra, Berlino o Parigi. Il volume complessivo di investimenti ha superato il miliardo di euro nel 2023, ma la qualità dell’infrastruttura digitale – soprattutto nel Sud – e la debolezza strutturale nella cybersecurity limitano l’attrattività del nostro ecosistema. Un’espansione più rapida delle reti a banda larga, supportata dal piano Digital Italy 2026, e l’adozione estesa di standard come il framework “Zero Trust” per la sicurezza, potrebbero creare le condizioni per la nascita di “campioni nazionali” nel fintech, oggi ancora assenti.

Semiconduttori: qui l’Italia sorprende, ma ci sono ulteriori opportunità di crescita

Un capitolo a parte merita il settore dei semiconduttori, dove l’Italia sorprende per vitalità industriale: siamo il secondo Paese in Europa per numero di aziende coinvolte nella microelettronica. Tuttavia, gran parte della filiera si concentra sulle attività front-end, mentre restano scoperte le aree più avanzate e strategiche come i chip sotto i 10 nanometri, il design fabless o gli strumenti EDA.

Il governo ha stanziato 4 miliardi di euro nel 2022 per rafforzare il comparto e ha promosso la fondazione Chips.IT a Pavia, ma la mancanza di un vero colosso nazionale limita le ambizioni. La recente decisione della società di Singapore Silicon Box di investire 3,2 miliardi in un impianto di packaging a Novara apre una finestra di opportunità: per sfruttarla appieno, l’Italia deve incentivare partenariati tra PMI, grandi imprese come Leonardo o Enel, e centri universitari, favorendo la nascita di un ecosistema connesso e capace di innovare lungo tutta la catena del valore.

Spazio, Italia da tempo in prima linea

Nello spazio, l’Italia vanta una lunga tradizione, un ruolo chiave nella costruzione della Stazione Spaziale Internazionale e la presenza di astronauti di profilo internazionale, come Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano. Leonardo, insieme a Thales, è leader nella produzione satellitare europea.

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Proprio nella notte tra lunedì e martedì, il nostro Paese ha lanciato sette nuovi satelliti spaziali che vanno ad incrementare la costellazione istituzionale IRIDE.
Una missione avviata dal Governo italiano, coordinata dall’Agenzia spaziale europea (ESA), con il supporto dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e sviluppata da Argotec, uno dei principali attori del programma. 

Tuttavia, il settore resta pesantemente dipendente da fondi pubblici, che rappresentano l’88% del totale, a fronte di una partecipazione privata molto più bassa rispetto a Francia, Germania o Regno Unito.

L’assenza di un sito di lancio nazionale limita la nostra autonomia (in realtà anche quella europea), mentre i costi assicurativi molto elevati frenano la nascita di startup competitive. Il rafforzamento del programma IRIS2, lanciato dall’Unione Europea per offrire un’alternativa a Starlink, può diventare un catalizzatore per rilanciare il ruolo italiano, a condizione che si promuova anche una filiera commerciale, e non solo difensiva, di servizi satellitari.

Quantum tech: competenze di altissimo livello, ma senza (o quasi) industrializzazione

Infine, il settore delle tecnologie quantistiche è forse il più emblematico della nostra condizione: un capitale umano e scientifico di altissimo livello, ma quasi assente in termini di industrializzazione. L’Italia eccelle nella sensoristica quantistica e nella comunicazione sicura (Quantum Key Distribution), grazie ad attori come QTI e istituzioni come INRIM e Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN).

Tuttavia, i finanziamenti statali sono solo il 12% di quelli francesi e meno del 6% rispetto al Regno Unito. Non esistono aziende mature, né un cloud quantistico nazionale, né programmi strutturati per la formazione di dottorandi e specialisti.

Serve un investimento deciso nella creazione di un hub quantistico nazionale, un acceleratore dedicato alle startup di settore e una collaborazione attiva tra imprese e università per la creazione di valore a lungo termine.

Le proposte

In questo scenario complesso, nel suo Capitolo dell’Indice dedicato all’Italia, Giannone avanza delle proposte, come quella di istituire una nuova agenzia per l’innovazione avanzata– ispirata alla SPRIND tedesca o alla DIUx americana.

 

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L’Italian Emerging Technology Agency (IETA), secondo il ricercatore italiano di Harvard. potrebbe rappresentare il perno attorno al quale far ruotare tutte le iniziative per lo sviluppo tecnologico del Paese, superando la frammentazione attuale tra ministeri, agenzie, CDP e fondi del PNRR.

Non si tratta solo di attrarre fondi o trattenere talenti, si legge nel documento, ma di costruire un’identità industriale e tecnologica all’altezza delle sfide geopolitiche ed economiche del nostro tempo.

In definitiva, il report del Belfer Center ci offre non solo una radiografia delle fragilità italiane, ma anche una mappa per trasformarle in leve di crescita. La posta in gioco non è solo l’innovazione, ma la sovranità tecnologica del Paese nei prossimi decenni.

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