Il dibattito politico italiano appare molto sterile, ripetitivo, addirittura noioso.
Molti temi di taratura estera, nei quali l’Italia conta come il due di coppe e può fare ben poco, al di là delle dichiarazioni cristiane di prammatica: roba da intrattenimento al bar. Sono i temi preferiti dalla politica e dai media; tanto non si pretende di fare strategie; si esprimono solo opinioni. Così, anche se si dicono corbellerie, nessuno se le ricorda e a nessuno può essere addebitata qualche responsabilità.
Pochissimi temi di taratura interna, ma scelti oculatamente fra quelli fortemente divisivi, espressi in forma apodittica, che hanno la caratteristica principale che, se realizzati, non risolverebbero nulla.
Sembra che la casta dei politici rifugga dal “fare politica”. Qualcosa si vede nelle compagini governative, ma faticosamente e con logorante lentezza. Nulla, men che nulla nelle compagini dell’opposizione sempre impegnata a pretendere, dal balcone virtuale dove pensa di stare, cosa ogni esponente governativo debba dire.
Sorge il dubbio, più che legittimo, che non ci sia lo spessore culturale per “fare politica”. Tuttavia, si è pieni di erudizione, di atteggiamenti convenzionali, di burocrazia. Eppure i temi da affrontare e trattare sono parecchi. Sono decenni che si parla di riforme; ma non se ne riesce a fare una che non sia un appesantimento di quello che c’era prima.
La casta dei politici non legge nemmeno i Report dell’ISTAT; o se li legge, sembra non capirli. Il Report Istat sulla demografia del Paese fotografa un panorama della Società Italiana più che desolante.
Al 31 gennaio 2025, Istat denuncia che la popolazione residente in Italia ammonta a 58.924.313 unità accusando una diminuzione di quasi 10mila unità rispetto all’inizio dell’anno, rispetto al 1 Gennaio. In un mese, diecimila residenti in meno: un sacco di posto per gli immigrati che arrivano mentre gli italiani se ne vanno. Quelli che se ne vanno, però, sono acculturati; quelli che arrivano bisognerebbe “integrarli”.
L’Istat ci rivela, anche, che l’età media della popolazione cresce e si attesta a 46,8 anni. Ben oltre “il mezzo del cammin di nostra vita” di dantesca memoria. E’ una età conservativa, impiegatizia, statica; non è l’età giusta per studiare, né l’età giusta per intraprendere.
L’Italia si colloca fra i Paesi più anziani al mondo.Cosa ci si può aspettare da questi primi dati? È facile prevedere che i matrimoni diminuiscano vertiginosamente: e, infatti è così. È facile prevedere che gli indici di natalità vanno verso lo zero: e, infatti è così. È facile prevedere che la dimensione delle famiglie si riduca drasticamente: e, infatti, è così.
Quale sarebbe allora il futuro? Due parole: anziani e soli.
Come mai siamo arrivati a questo? Di primo acchito si possono classificare alcune disgrazie, letteralmente: un fisco esagerato fra i più alti al mondo che rende esangui; un potere d’acquisto depauperato tanto che il reddito medio reale del 2024 è inferiore a quello di venti anni prima; una burocrazia asfissiante che tradisce ogni libertà e impedisce ogni intraprendenza; la frustrante percezione che non esiste un futuro; la mortificazione della propria identità ridotta a larva inservibile.
Diciamo la verità: è molto difficile vivere in Italia. Se questa non è catastrofe, cosa sarebbe?
Non sono questi i problemi che si traducono in una disaffezione di appartenenza, che è poi la madre di un astensionismo ormai cronico al 50%?
La questione è di una gravità assoluta: non siamo di fronte soltanto ad un problema demografico. Qui è in gioco il futuro del Paese e bisogna urgentemente correre ai ripari.
Un altro dato che ci fornisce l’Istat è che oltre il 44% degli imprenditori italiani ha superato la soglia dei 60 anni; a questo dato si aggiunge quello impressionante sulla situazione economica della cittadinanza: il 25% della popolazione è a rischio povertà; percentuale che arriva al 40% al SUD. Quel Mezzogiorno sempre più arrancante per aver subito decenni di demenziali politiche di sviluppo basate sul dirigismo burocratico e sull’assistenzialismo peloso. Come mai nessuno ha capito che l’effetto che si sarebbe ottenuto sarebbe stato l’esatto opposto di quello ipocritamente propagandato?
Come mai la casta politica non rileva tutto questo e indugia, invece, a sgomitarsi ignominiosamente su faccende lontane e non prioritarie?
Come si fa a non concludere che si è delegato alle amministrazioni e al governo a candidati tuttologhi la politica del Paese piuttosto che a politici di sistema? Gente senza arte né parte, capace solo di abbindolare la fiducia di un popolo? Ora abbiamo statalismo e immobilismo invece che mercato e dinamismo.
Quello che è non accettabile per un Paese come l’Italia è che, in un decennio, ben 100.000 laureati hanno lasciato il proprio Paese per spiagge più assolate, più vivibili, più remunerative, più favorevoli.
Tutto questo lo dice l’Istat.
E noi, di fronte ai dati impietosi, non abbiamo altra opzione che concludere che L’Italia è in declino, impoverita, priva di attrattiva, priva di spinta vitale.
Purtroppo ritorna il ritornello: la politica è il responsabile unico e, malauguratamente, anche storico, dello stato di salute attuale del Paese.
Ora, anche la casta politica è anziana, priva di visione prospettica, vecchia nel pensiero, conservatrice benché si auto definisca progressista e riformatrice.
Tutto ciò si è traduce nella esaltazione dell’intervento pubblico, gestito da burocrati senza cultura, arroganti per la posizione, irrispettosi del cittadino.
Se osserviamo che il 55% del PIL è prodotto dallo Stato e, quindi, è un costo, ci si rende subito conto che il sistema Italia non regge, non può reggere.
Anzi si nota che si è creata una spaccatura nella società italiana: da un lato i percettori di tasse, privilegiati e tranquilli; dall’altra i produttori di reddito, affannati, delusi e mortificati.
In una parola l’Italia si può rappresentare con la formula “55/45”, a crescere.
Carlo Lottieri, Direttore del dipartimento di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni (IBL), commentando l’ISTAT, scrive che:“La stagnazione non è una condanna del cielo, è l’effetto inevitabile delle scelte politiche assunte concretamente, giorno dopo giorno, qui sulla terra … è l’effetto di inesauribile voglia di fare gli statalisti … a quanto pare lo Stato è sempre una mucca da mungere”.
Eppure, anche gli infanti sanno che lo statalismo è costoso, per tutti. Mettendo da parte quello statalismo che si traduce nella gabbia della burocrazia amministrativa, bancaria, giudiziale che si mangia, secondo la CGIA di Mestre, € 80 mld l’anno dal tessuto produttivo delle PMI, IBL, citando il Rapporto annuale ISTAT, osserva un aumento delle partecipazioni pubbliche nelle imprese pari al +1,5% nel 2022, nel settore dell’Industria e dei Servizi. In questo settore, “Delle 8.250 unità economiche partecipate, ne troviamo ben 5.782 per un totale di 839.025 addetti”. Quindi, ampia presenza dello Stato, in aziende sempre più piccole, con una media di 145 addetti per azienda. Una pacchia, questo inedito spoil system, per professionisti burocrati adatti alla “distruzione creativa del mercato”. Va da sé che si stratta di imprese in stato comatoso. Chi fa queste operazioni? Ovviamente la Invitalia. Qualche esempio?
La catena di abbigliamento Coin, le Terme di Chianciano, Firema (treni passeggeri), ex Ferrosud di Matera” e, ultimamente, forse, Giochi Preziosi.
Niente di strategico, tutto emergenziale. Questa sarebbe la politica economica della casta politica?
Invitalia, guidata dall’A.D. Bernardo Mattarella è la nuova “IRI”; ma non quell’IRI del boom economico; questa è l’IRI della Italietta.
Antonio Vox
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