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Per Bolton Group l’arte è una vibrazione che produce benessere


Nel mondo dell’arte contemporanea, chiassoso ed egolatrico, Marina Nissim è una figura peculiare, in cui l’introspezione vale molto di più dell’esibizione. E per questo la sua intervista ha particolare valore. Ogni progetto a cui è legata, sia attraverso la Fondazione Elpis che attraverso il Bolton Group, mette al centro la coralità e la crescita dei talenti emergenti. L’occasione di questa chiacchierata è l’inaugurazione dell’opera di Andrea Martinucci nello stabilimento di Bolton a Calenzano, secondo capitolo di «Produrre Futuro», il progetto di Aidaf per portare l’arte nelle aziende, a cura di Eleonora De Blasio.

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Marina Nissim, perché con Bolton avete deciso di aderire al progetto di Produrre Futuro di Aidaf?
La ragione è la sintonia. Nell’obiettivo di «Produrre Futuro» ho riconosciuto molto di ciò che Bolton si prefigge di fare attraverso altre iniziative: favorire le condizioni perché il futuro possa avverarsi. Al tempo stesso, ho riconosciuto molto di ciò che mi appassiona quando si parla di arte, cioè le artiste e gli artisti delle nuove generazioni che, con il loro sguardo sul mondo e sulle cose, ci offrono prospettive meno abituali e più vibranti. Aggiungo una nota personale: nel 2020 ho dato vita a Una boccata d’arte, l’iniziativa diffusa che ogni anno coinvolge venti artiste e artisti nella creazione di progetti site-specific in venti borghi italiani… E alcuni di quegli artisti li ho ritrovati in «Produrre Futuro» – una coincidenza significativa che mi ha entusiasmato ancora di più. Visto che tempo fa avevamo già portato l’arte nel nostro stabilimento di Nova Milanese, Produrre futuro mi è parsa un’evoluzione naturale e coerente. Come dicevo, sintonia.

Ci racconta l’opera di Andrea Martinucci nel vostro stabilimento di Calenzano? In che modo può interagire in maniera positiva sulla quotidianità della vita aziendale?
Il primo impatto positivo l’ha avuto ancora prima di diventare un’opera, perché Andrea Martinucci si è messo in ascolto e attraverso una splendida attitudine partecipativa, ha lavorato con le persone dello stabilimento di Calenzano. Coinvolgerle nel processo creativo è stata prezioso. Questa fase è entrata nella memoria delle persone come una sensazione fuori dall’abituale e, perciò, importante. Nelle iniziative d’arte che promuovo e apprezzo, l’aspetto partecipativo è fondamentale e sono felice di averlo ritrovato in un luogo di Bolton. Inoltre, il dialogo tra artista e persone ha lasciato tracce visibili non solo perché ha ispirato l’opera, ma perché ne è diventato parte integrante. A Calenzano esiste infatti un lungo corridoio che collega la zona di produzione agli uffici: un luogo di transito e, al tempo stesso, di congiunzione tra quotidianità differenti. Sul pavimento del corridoio hanno trovato posto alcuni versi nati dal dialogo tra Andrea Martinucci e le persone dello stabilimento, una poesia visiva. Poi ci sono i tre quadri, tre segni pittorici montati su pannelli d’acciaio tecnologici che periodicamente cambiano angolazione. L’opera ha dato al corridoio un movimento inaspettato, gli ha dato nuova luce, ha aggiunto un significato ulteriore e stimolante. Adesso non è solo un luogo di passaggio, dove magari si va di fretta. Adesso è un invito a rallentare per leggere, per cogliere la prospettiva, per ammirare i dipinti. Così l’opera ha cambiato l’anima del luogo, ma con delicatezza, perché l’intervento è misurato, tutt’altro che invasivo. È una vibrazione che produce benessere, credo.

A proposito invece della sua storia personale legata al mondo dell’arte: quando è nata la sua passione? In che altri progetti è impegnata? Colleziona?
La curiosità verso l’arte l’avevo fin da ragazza, anche grazie al fatto che mio padre ha iniziato a collezionare, ma la passione per l’arte contemporanea è scoppiata una trentina d’anni fa. Mi sono avvicinata piano piano, a modo mio: amo le opere che mi trasmettono un’energia positiva, che mi parlano subito. Sono una persona che interagisce con l’arte anzitutto in maniera istintiva, non concettuale… il primo sguardo è lo sguardo della verità. Poi approfondisco, capisco, ma l’arte io devo sentirla così. Ed è così che ho avuto occasione di conoscere gli artisti. Non tanto il mondo e il mercato dell’arte, ma gli artisti. Le persone. Vado a incontrarli da sola perché voglio scoprire il percorso formativo, la sensibilità specifica, le traiettorie individuali. Mi interessa soprattutto la scena giovanile, italiana e straniera. Proprio per questo nel 2020 ho creato Fondazione Elpis, che persegue con lo stesso entusiasmo la missione che ci siamo dati il primo giorno: cercare il talento artistico dovunque nel mondo, in particolare nelle nuove generazioni, qualunque siano i linguaggi che scelgono per esprimersi, perché la libertà di espressione è un valore imprescindibile. Ogni iniziativa della Fondazione promuove gesti d’ascolto, come l’opera di Martinucci a Calenzano, per suscitare una partecipazione tanto libera quanto appassionata. Certe volte serve uscire dai percorsi abituali per far nascere connessioni nuove e autentiche nel mondo della cultura.

 Come spesso accade in questa rubrica, lanciamo un appello: perché è cosa buona e giusta che gli imprenditori investano in arte e più in generale in progetti culturali? Quale può essere il valore aggiunto per la loro azienda?
Da imprenditrice, credo che sia decisivo far sentire le persone dell’azienda a loro agio, cioè non imporre nulla. Neppure la bellezza. Per creare vero valore aggiunto, io mi sforzo di non calare dall’alto il mio desiderio o la mia passione per l’arte. Mi sforzo di non farlo per me stessa. Affinché la bellezza si diffonda è indispensabile creare occasioni di vera partecipazione che, a poco a poco, facciano sentire alle persone che quella bellezza è parte della loro storia, gli appartiene. E così, gli sguardi che le artiste e gli artisti ci regalano sul mondo diventano cultura condivisa.

 

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