Il Work Trend Index di Microsoft è una ricerca a cadenza semestrale che analizza come il lavoro evolve nelle organizzazioni digitali. L’edizione 2025 ha coinvolto 31.000 professionisti in 31 Paesi, incrociando una survey globale su LinkedIn con trilioni di segnali anonimi provenienti da Microsoft 365 e contributi di startup, accademici ed economisti. L’obiettivo non è semplicemente osservare le tecnologie adottate, ma misurare la maturità organizzativa con cui l’intelligenza artificiale viene integrata nei modelli operativi delle imprese.
Ed è proprio da questa osservazione sistemica che emergono le evidenze più significative. Perché se nel dibattito pubblico la tecnologia è spesso raccontata come una leva abilitante, gli analisti spostano l’attenzione su un altro piano: cosa accade quando l’AI non si limita ad affiancare le attività umane, ma diventa parte strutturale del modo in cui un’organizzazione funziona, decide e cresce?
AI e lavoro: una trasformazione che parte dall’organizzazione
L’aggiornamento di giugno del Work Trend Index 2025 propone una risposta netta: l’intelligenza artificiale non è più un’opzione tecnologica, ma un’urgenza organizzativa. E la trasformazione non si esaurisce nell’introduzione di strumenti digitali. Al contrario, investe in profondità il modo in cui si definiscono i ruoli, si progettano i flussi decisionali, si misurano le performance e – soprattutto – si gestisce il tempo. Una risorsa che, secondo il report, oggi scarseggia più delle competenze.
“Se l’AI è destinata a cambiare radicalmente il modo in cui lavoriamo, questo cambiamento deve partire dalla regia – sottolinea Veronica Rosso, Direttrice AI at Work di Microsoft Italia –. Non basta digitalizzare processi esistenti o adottare nuovi tool. Serve ripensare la governance organizzativa, creando un equilibrio sostenibile tra persone e agenti intelligenti che lavorano insieme, in modo sinergico e misurabile”.
Le Frontier Firm: un nuovo modello di impresa
È in questo contesto che il Microsoft Work Trend Index introduce il concetto di Frontier Firm, una nuova classe di imprese capaci di abbracciare l’AI in modo struttutale e proattivo. Il report mostra una correlazione netta tra questo approccio e le performance: il 71% dei lavoratori che opera in una Frontier Firm considera la propria azienda prospera, contro appena il 37% nelle organizzazioni tradizionali. Ma non solo: il 55% afferma di riuscire a gestire un carico di lavoro maggiore senza percepire un aumento dello stress, mentre la media si ferma al 20%.
“Con il termine Frontier Firm intendiamo un’organizzazione che adotta l’intelligenza artificiale non come supporto marginale, ma come leva strategica diffusa a ogni livello – spiega Rosso -. Parliamo di aziende che non si limitano a sperimentare l’AI in qualche area isolata, ma che la integrano in modo maturo per automatizzare task, supportare decisioni e ripensare l’intero flusso operativo. Il risultato è una struttura ibrida, composta da team in cui persone e agenti intelligenti collaborano attivamente per raggiungere obiettivi comuni”.
Una trasformazione, sottolinea Rosso, che richiede tre grandi transizioni: affiancare intelligenza umana e digitale, riprogettare le strutture organizzative e sviluppare nuove competenze trasversali.
“Ogni azienda percorre questo cammino con velocità diverse – aggiunge la manager -. All’interno di una stessa organizzazione possono coesistere team molto avanzati e altri in fase esplorativa. Ma l’elemento comune è la consapevolezza che non si può più restare in una logica di adozione parziale o sperimentale. L’AI deve diventare parte integrante dell’identità produttiva dell’impresa”.
Oltre la saturazione: il tempo come nuovo limite sistemico
Nel confronto tra le organizzazioni più evolute e quelle ancora legate a modelli tradizionali, un dato emerge con forza: il tempo è diventato il principale vincolo strutturale del lavoro. Il Microsoft Work Trend Index 2025 evidenzia un disallineamento crescente tra le aspettative dei leader e le risorse disponibili delle persone. Da un lato, il 53% dei manager a livello globale (42% in Italia) ritiene che la produttività debba aumentare. Dall’altro, l’80% dei lavoratori nel mondo (70% in Italia) afferma di non avere abbastanza tempo o energia per svolgere adeguatamente le proprie attività.
“Siamo di fronte a un paradosso organizzativo – commenta Rosso –: le aziende chiedono più produttività, ma i lavoratori sono già al limite della propria capacità operativa. E questo non accade solo in Italia: lo vediamo ovunque nel mondo. Le persone sono esposte a un rumore digitale continuo. Ogni due minuti arriva una nuova notifica, un’e-mail, una riunione improvvisa. Il tempo per concentrarsi si riduce drasticamente. Il lavoro profondo scompare, la soglia cognitiva si abbassa, e la qualità delle decisioni ne risente. Questo genera un debito organizzativo silenzioso, che si accumula giorno dopo giorno, rallentando anche l’innovazione. L’intelligenza artificiale può essere una leva potente, ma va governata con consapevolezza. Non può servire ad accelerare un sistema già sbilanciato. Deve aiutarci a ripensare come usiamo il tempo. L’obiettivo non è fare di più, ma lavorare meglio. Restituire attenzione, energia mentale e qualità al lavoro umano è la vera sfida delle organizzazioni che vogliono evolvere”.
Verso l’agent boss: una nuova alfabetizzazione per il lavoro aumentato
Se il tempo è oggi il principale vincolo operativo, l’intelligenza artificiale rappresenta la leva più promettente per superarlo. Ma solo a condizione di ripensare i ruoli e le competenze. L’ingresso degli agenti intelligenti nei processi organizzativi apre infatti un nuovo scenario: quello dell’agent boss, una figura umana manageriale che progetta, delega e orchestra il lavoro attraverso l’AI. È un’evoluzione che non si limita alla tecnologia: implica una nuova alfabetizzazione, in cui ogni persona impara a collaborare con le macchine per generare maggiore impatto, valore e autonomia decisionale.
Secondo il Microsoft Work Trend Index, i leader prevedono che nei prossimi cinque anni i team dovranno:
- integrare l’AI nei processi di business (38% nel mondo, 32% in Italia),
- sviluppare sistemi multi-agente per automatizzare operazioni complesse (42% vs. 38%),
- formare e gestire agenti AI (41% e 36% rispettivamente, con valori leggermente inferiori in Italia).
“Non è più il tempo delle competenze verticali isolate – spiega Rosso -. In uno scenario aumentato, ogni persona dovrà imparare a costruire una collaborazione efficace con l’intelligenza artificiale. Non parliamo di sapere usare un tool, ma di saper progettare flussi, automatizzare task, validare risultati e sviluppare nuove forme di delega intelligente. L’agent boss non è una figura tecnica: è una nuova postura lavorativa. È chi sa interagire con più agenti per amplificare il proprio impatto, riservando tempo ed energie ad attività a valore aggiunto. In questo senso, l’AI non sostituisce le persone: le completa, le espande, le aiuta a diventare più rilevanti. Ma serve una nuova alfabetizzazione per rendere questa promessa reale. Ecco perché le aziende che vogliono evolvere devono investire non solo in strumenti, ma in cultura e formazione diffusa”.
Le priorità manageriali nella gestione dell’AI: oltre gli strumenti, serve una visione
L’adozione dell’intelligenza artificiale richiede più di un investimento tecnologico: chiama in causa una regia consapevole. Per questo, tra le priorità strategiche individuate dai leader intervistati nel Microsoft Work Trend Index 2025, l’integrazione dell’AI nel lavoro quotidiano è al secondo posto, subito dopo la formazione delle persone. Quasi la metà degli executive (45% nel mondo, 46% in Italia) considera il lavoro digitale come leva fondamentale per sostenere la produttività, mentre il 47% (49% in Italia) identifica nel potenziamento delle competenze il punto di partenza per qualsiasi trasformazione efficace. Ma non si tratta solo di obiettivi da mettere in roadmap. L’urgenza è concreta: il 79% dei leader italiani e l’82% a livello globale dichiarano di voler fare leva sull’AI per aumentare la capacità operativa dei team nei prossimi 12-18 mesi. È una risposta al cosiddetto capacity gap, il divario crescente tra ciò che le aziende chiedono e ciò che le persone riescono a sostenere, sia in termini quantitativi che qualitativi.
“Non basta acquistare licenze o installare strumenti intelligenti – sottolinea la manager -. Per liberare davvero il potenziale dell’AI serve una governance lungimirante: sapere dove integrarla, come misurarne l’impatto, come supportare il cambiamento culturale. Una leva strategica è il principio di Pareto: l’80% del tempo viene spesso assorbito da attività a basso valore, che oggi possono essere automatizzate. Ma per farlo serve prima una mappa chiara: quali processi assorbono energie? Dove si genera realmente impatto? L’AI può liberare tempo per il 20% di attività che contano davvero: quelle che richiedono pensiero critico, empatia, visione. La tecnologia è pronta, ma è il management che deve costruire un ecosistema abilitante. Solo così l’AI diventa un alleato strutturale, e non un’altra fonte di complessità”.
Competenze e AI literacy: la sfida della formazione diffusa
In questo scenario, la formazione non è un accessorio. È il prerequisito per evitare che l’AI crei nuove disuguaglianze in azienda tra chi sa usarla e chi ne resta escluso. La sfida, infatti, non è solo tecnica. È culturale, trasversale, organizzativa. Richiede alfabetizzazione su larga scala, percorsi personalizzati, affiancamento operativo, sperimentazione concreta. Non tutti i ruoli richiedono le stesse abilità, ma tutti hanno bisogno di strumenti per riconoscere opportunità, attivare deleghe intelligenti e interpretare i risultati generati dall’AI.
“L’AI non deve creare nuove disuguaglianze – conclude Rosso -. Serve alfabetizzazione diffusa, sperimentazione concreta e percorsi formativi inclusivi. Per questo Microsoft ha avviato un ampio programma di formazione gratuita sull’AI Generativa: l’AI Skills Initiative, che offre corsi gratuiti per studenti, lavoratori e manager, aiutandoli a muoversi con consapevolezza in una quotidianità sempre più AI‑driven. L’obiettivo? Aiutare le persone a muoversi con consapevolezza in un mondo dove l’intelligenza artificiale sarà sempre più parte della quotidianità lavorativa”.
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