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Unilever: greenwashing su larga scala


“Contribuisci a un mondo migliore”, “prodotto più sostenibile”, “rispetta l’ambiente”, “arachidi coltivate in modo sostenibile”, “imballaggio sostenibile”, “prodotto realizzato con ingredienti coltivati in modo sostenibile”: la varietà di slogan ambientali – i famigerati green claim – che Unilever con i suoi brand commerciali (Knorr, Calvé, Hellman’s, ecc) ha l’abitudine di utilizzare sono di esempio per capire cosa significhi ‘asserzione ambientale vaga, generica, fuorviante’. Esattamente di questo è stata accusata Unilever di recente, ma anche in precedenti occasioni, da parte di Consumentenbond, associazione di consumatori dei Paesi Bassi.

 

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Sono le tipiche asserzioni ambientali che incontriamo ogni giorno sugli scaffali dei supermercati. Ma quante di queste promesse hanno basi concrete? L’obiettivo della direttiva Green Claims attualmente arenatasi nelle stanze della politica europea, dovrebbe servire proprio a mettere ordine nelle modalità con cui le aziende possono dichiarare determinati aspetti ambientali, senza circuire il consumatore, ma basandosi su fatti e dati reali e scientifici.

Pertanto, questo ultimo caso di greenwashing sta già generando attenzione per il momento storico in cui si inserisce, spostando l’ago della bilancia proprio sulla necessità che una direttiva sia necessaria. Tuttavia, per proteggere i consumatori dalle comunicazioni ambientali ingannevoli, esistono già norme di livello nazionale e a livello europeo il riferimento, già abbastanza preciso, è la ‘empowering consumers for the green transition‘: la Direttiva (UE) 2024/825, che entrerà completamente in vigore nel 2026, ha rafforzato la tutela dei consumatori contro pratiche sleali legate alla transizione verde, introducendo obblighi di trasparenza sulle caratteristiche ambientali e sociali dei prodotti e sulla durabilità e riparabilità, imponendo controlli indipendenti su asserzioni ambientali e marchi di sostenibilità.

Consumentenbond vs. Unilever

Secondo l’inchiesta pubblicata da Consumentenbond, l’organizzazione ha analizzato le etichette e il marketing di circa 450 prodotti Unilever venduti nei Paesi Bassi, molti dei quali presenterebbero affermazioni ambientali fuorvianti in etichetta. Detersivi, shampoo, alimenti e prodotti per l’igiene personale: in tutti i segmenti esaminati sono emerse affermazioni ambientali considerate “vaghe, non verificabili o prive di prove solide”. Tra i marchi più criticati figurano Unox (104 referenze) e Knorr (95), seguiti da Lipton (21), Calvé (12), Ola (10) e Hellmann’s (5). Soltanto Ben & Jerry’s, De Vegetarische Slager e Hertog IJs sono risultati privi di dichiarazioni contestabili.

In particolare, l’organizzazione fa riferimento a ‘greenwashing su larga scala’, critica l’uso di definizioni generiche come “rispettoso dell’ambiente” o “più sostenibile”, che spesso non chiariscono rispetto a cosa il prodotto sarebbe migliorativo o come venga calcolato l’impatto ambientale, e l’uso di loghi inventati dall’azienda che ricordano quelli ambientali ufficiali, inducendo in errore il consumatore.

Sandra Molenaar, direttrice di Consumentenbond, ha dichiarato:

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“Abbiamo condiviso i risultati della nostra ricerca con l’ACM e vogliamo che affrontino i trasgressori come Unilever il più rapidamente possibile. Per fermare l’inganno dei consumatori e ripristinare la fiducia nelle affermazioni di sostenibilità e nei marchi di qualità. Il greenwashing impunito è durato abbastanza a lungo.”

Unilever si è difesa sottolineando che la sostenibilità è parte integrante della strategia aziendale e che i propri claim si basano su processi di valutazione interni. Tuttavia, l’azienda non ha fornito, secondo Consumentenbond, documentazione sufficiente a dimostrare l’accuratezza di molte delle dichiarazioni analizzate.

Green Claim sotto accusa

Questi sono sette esempi di dichiarazioni, che possono essere accompagnate o meno da un ‘logo inventato’:

  • Knorr, mix per pasti: Con ingredienti coltivati in modo sostenibile. Imballaggio sostenibile (logo su 75 tipi di mix per pasti)
  • Unox, Zuppa in lattina o sacchetto: Verdure coltivate in modo sostenibile. Coltivate in modo sostenibile. (logo su 24 tipi di zuppe)
  • Lipton Ice Tea: Foglie di tè coltivate in modo sostenibile
  • Ola, gelato Magnum: Sustainably grown cocoa & almonds (logo su 10 tipi di Ola Magnum)
  • Calvé Burro di arachidi: Utilizziamo arachidi coltivate in modo sostenibile. Olio di palma coltivato in modo sostenibile. (logo su 9 tipi di burro di arachidi)
  • Hellmann’s Real Mayonaise: committed to sustainably sourced oils
  • Calvé Mix per insalata: Con erbe coltivate in modo sostenibile

Greenwashing sempre più sotto i riflettori

Il caso Unilever si inserisce in un contesto di crescente attenzione normativa. Sia la Direttiva Green Claims, se vedrà la luce, sia la Direttiva 2024/825, che sarà in pieno vigore dal 2026, richiedono alle imprese di fornire prove chiare, verificabili delle proprie affermazioni ambientali. Secondo un’analisi del 2020 della Commissione, il 53% delle comunicazioni verdi esaminate nell’UE conteneva informazioni vaghe, esagerate o ingannevoli. Questo clima di scarsa trasparenza ha spinto istituzioni e organizzazioni indipendenti a intensificare i controlli.

Anche in Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha recentemente sanzionato aziende per greenwashing (per esempio, GLS), a riprova di come sia sempre più limitato lo spazio lasciato alle aziende per fregiarsi ingannevolmente di slogan ambientali.

La vicenda Unilever mostra quanto sia urgente per le aziende ripensare la comunicazione ambientale, investendo in metriche trasparenti e verificabili. L’aumento della consapevolezza dei consumatori e l’inasprimento delle norme europee promettono di rendere sempre più difficile l’uso di etichette ambientali generiche o prive di basi scientifiche.

La perdita di credibilità per Unilever

“Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico”. Perchè Unilever insiste nelle pratiche di greenwashing? non si tratta del primo ‘scandalo’, già negli scorsi anni ha avuto richiami dalle autorità in UK e anche da parte di Greenpeace.

È indubbio che Unilever stia portando avanti negli anni sforzi significativi per promuovere pratiche di sostenibilità ambientale e sociale, come dimostrano i numerosi progetti e impegni pubblicati nella sezione Sustainability del suo sito ufficiale. Tuttavia, il ripetersi di condotte qualificabili come greenwashing finisce per minare la credibilità di tali iniziative e la fiducia dei consumatori.

Si tratta di un vero peccato, perché l’adozione di una strategia comunicativa responsabile, trasparente e verificabile sarebbe pienamente coerente con l’impegno dichiarato dall’azienda verso un modello di consumo più sostenibile. Perseverare in pratiche ingannevoli non solo espone Unilever al rischio di sanzioni, ma rischia anche di compromettere la legittimità di progetti che potrebbero avere un impatto positivo reale sull’ambiente e sulla società.

 

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