Anche se ovunque, nella moda e nel lusso, sembra regnare la crisi, il settore europeo definito “dell’alto di gamma£ rappresenta uno dei pilastri economici e culturali dell’Unione Europea. Lo dimostrano i dati più recenti diffusi dall’Alleanza Europea delle Industrie Culturali e Creative di Alta Gamma (ECCIA), in collaborazione con Bain & Company, secondo cui l’industria del lusso europea genera un giro d’affari di 986 miliardi di euro, contribuendo per il 5% al PIL dell’UE. Le imprese presenti nell’Eurozona detengono una quota del 70% del mercato mondiale del lusso e alimentano un indotto occupazionale pari a 2 milioni di persone, tra impieghi diretti e indiretti. Il settore rappresenta inoltre l’11,5% delle esportazioni totali e genera un quarto del valore complessivo del turismo europeo, grazie anche all’attrattiva che i beni di lusso esercitano su turisti ad alta capacità di spesa, il 40% dei quali dichiara di visitare l’Europa proprio per acquistare beni di lusso – spesso approfittando di un favorevole tasso di conversione monetaria. In un mondo sempre più esposto a tensioni geopolitiche, guerre tariffarie e politiche protezionistiche, specialmente tra Stati Uniti e Cina, due mercati da cui dipende il 35-45% dei ricavi globali del lusso, la stabilità e la competitività dell’industria vanno preservate non solo sul piano aziendale ma anche su quello politico. «È facile pensare che il settore sia immune agli scossoni economici degli ultimi tempi. Sebbene i titoli del lusso rendano 4-6 volte più del mercato generale in Italia o Francia, avvertiamo alcuni segnali preoccupanti», ha detto Michael Ward, Presidente di ECCIA
Proprio per garantire la difesa di questo primato europeo, che oltre a un’industria è anche un patrimonio culturale, il report ha indicato cinque maniere in cui l’Unione Europea può supportare il lusso.
1. La lotta alla contraffazione
La tutela dell’identità dei marchi è il primo fronte su cui l’Europa deve impegnarsi con decisione, secondo ECCIA. L’attuazione del Digital Services Act va sostenuta non solo a parole, ma con investimenti concreti in risorse e personale, in modo che le normative contro la diffusione dei prodotti contraffatti abbiano efficacia reale. È inoltre fondamentale monitorare l’effettiva applicazione del regolamento, intervenendo per rimuovere i prodotti contraffatti dalle piattaforme digitali e provando a creare un meccanismo di identificazione e verifica univoco e chiaro. Oltre a ciò, sarebbe necessario introdurre una normativa specifica contro la contraffazione, capace di colmare le lacune che il DSA lascia aperte. Ad esempio, brand e marketplace dovrebbero essere tenuti a garantire la tracciabilità dei prodotti lungo l’intera catena del valore, ad esempio attraverso l’obbligo di conoscere i propri clienti aziendali. Allo stesso tempo, agli stessi intermediari dovrebbe essere richiesto di mettere in atto misure preventive per bloccare la diffusione di merci false impedendo anche alle piattaforme di rimettere in circolazione prodotti illegali già rimossi, evitando così che le stesse violazioni si ripetano ciclicamente.
2. La fiducia dei consumatori
La seconda leva su cui intervenire riguarda una maggiore regolamentazione dei canali attraverso cui i prodotti dei brand vengono venduti e portati al cliente finale. In un settore in cui l’esperienza di acquisto è parte integrante del valore percepito, la vendita attraverso canali non autorizzati mina non solo il brand, ma anche la percezione di qualità, autenticità e sicurezza da parte del cliente. Quando il report parla di «distributori non autorizzati» è indubbio che si riferisca alla pratica del mercato parallelo o grigio mentre è meno chiaro se tra questi “distributori” siano incluse le piattaforme secondhand (il loro giro d’affari è stato di recente stimato intorno ai 200 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuo previsto tra il 15% e il 20% da MF Fashion) che infatti stanno moltiplicando investimenti economici e logistici per prevenire la diffusione di articoli di dubbia provenienza. In generale, una delle misure invocate dal report è una maggiore difesa, sul piano delle leggi, dei sistemi di distribuzione selettiva che consentano ai brand di proteggere i propri investimenti, il proprio posizionamento e conservare la fiducia dei consumatori. In tal senso, l’artigianalità, lo storytelling di un brand e il tipo di servizio personalizzato ormai necessario per la vendita di prodotti di lusso vanno preservati come elementi centrali della competitività europea.
3. La sostenibilità
France is shaking up fashion The Senate backed a law capping eco-taxes up to 50%, banning fast-fashion ads & influencer promotions, and backing ethical local brands. This could set a new EU-wide standard. pic.twitter.com/7audJS7xWX
— Andrew B. (@and_rew_b) June 30, 2025
La transizione verde non può essere imposta e basta, questo in sostanza dice il report. Per incentivare la sostenibilità dell’intero settore, l’Unione Europea dovrebbe coinvolgere direttamente le principali aziende del settore per definire la normativa secondaria prevista dal Green Deal, dato che sia il design ecocompatibile che l’economia circolare, essendo due modelli relativamente nuovi e non semplici da innestare nel sistema pre-esistente della moda, richiedono delle dinamiche particolari di attuazione o comunque un lavoro più scrupoloso di integrazione. Per farlo, il report prevede un periodo minimo di 36 mesi che sarebbe di solito quanto richiede il tipico ciclo produttivo dall’ideazione iniziale fino alla messa in vendita. Infine, per non penalizzare la competitività dell’industria europea, è indispensabile che gli standard ambientali del Green Deal vengano applicati in modo uniforme a tutte le aziende che operano nel mercato dell’Unione. In questo modo, si può garantire una concorrenza equa, senza che le imprese europee si trovino svantaggiate rispetto a concorrenti esterni.
4. Investire nell’artigianato
Alla base del successo europeo nel lusso c’è un patrimonio di know-how tecnico e creativo che non può essere delocalizzato nemmeno volendolo. Eppure il report segnala che nel lusso si nota sempre di più un forte divario tra domanda e offerta di competenze artigianali e ingegneristiche. L’UE dovrebbe sostenere programmi formativi specializzati, su scala nazionale e comunitaria, per formare nuove generazioni di professionisti capaci di custodire e innovare le tecniche tradizionali ma anche per stimolare l’occupazione attraverso scuole di artigianato che già diversi brand, a livello locale, stanno iniziando a promuovere. Una proposta concreta in questo senso è l’istituzione di un titolo europeo di “Maître d’Art”, che riconosca ufficialmente i maestri artigiani e ne valorizzi il ruolo nella trasmissione culturale. Solo investendo nelle persone, oltre che nei prodotti, si potrà garantire la continuità e la vitalità della tradizione artigianale europea – un patrimonio che è senza prezzo.
5. Facilitare il commercio globale e il turismo di alta gamma
Ultimo passo per tutelare e rafforzare il lusso europeo nel mondo è, da un lato, privilegiare soluzioni diplomatiche nella gestione delle controversie commerciali come ad esempio le conseguenze di tensioni geopolitiche, dazi doganali e politiche protezionistiche, specialmente per quanto riguarda USA e Cina. Servirebbe inoltre pensare alla diversificazione dei mercati di sbocco (che in parte sta già avvenendo con gli sforzi che fanno i brand per penetrare nei mercati arabi, indiani o thailandesi) creando da un lato un dialogo con le economie emergenti che potrebbero alimentare la crescita in un momento di difficoltà dei due mega-mercati sui quali il lusso si è appoggiato finora ma soprattutto promuovere accordi commerciali favorevoli con questi nuovi mercati. Anche qui, gli accordi di libero scambio servono da un lato a ridurre le barriere commerciali e, dall’altro, a combattere la contraffazione e il commercio parallelo. Infine, per valorizzare l’Europa come destinazione privilegiata del turismo di alta gamma, è opportuno facilitare le procedure per l’ottenimento dei visti da parte dei cittadini extra-UE e incentivare misure come lo shopping esentasse, in modo da attrarre una clientela internazionale ad alto potere d’acquisto che alimenti l’economia locale. Aiuterebbero anche, e questo lo stiamo aggiungendo noi, misure per elevare il potere di acquisto dei cittadini UE facendo in modo che il lusso europeo non sia esclusivo appannaggio di ricchi turisti ma anche di chi in Europa vive, lavora e produce ricchezza.
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