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trasformare la PA in ecosistema di crescita


Nel cuore della pubblica amministrazione italiana, soprattutto nei comuni, si cela un paradosso: il “posto fisso”, da sempre simbolo di stabilità e sicurezza, si è trasformato in una sorta di “loculo amministrativo”. Un luogo dove l’entrata in ruolo coincide spesso con l’inizio di una carriera priva di evoluzioni significative, fino al pensionamento. Questo modello, eredità dell’era industriale, si scontra con le esigenze di una società in continua trasformazione, dove la flessibilità, l’aggiornamento continuo e la capacità di adattamento sono diventati imprescindibili.

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Dalle tre scatole alla fluidità delle competenze

Richard Bolles, nel suo libro del 1978 “The Three Boxes of Life”, descriveva la vita come divisa in tre fasi: educazione, lavoro e pensione. Oggi, questa visione appare obsoleta. La distinzione netta tra apprendimento, attività lavorativa e riposo non rispecchia più la realtà di un mondo in cui le competenze devono essere continuamente aggiornate, sia dal punto di vista tecnologico, sia da quello normativo e tecnico.

Nella pubblica amministrazione, però, questa suddivisione persiste. I dipendenti spesso entrano in un ruolo dopo un lungo percorso di studi e concorsi, per poi rimanere nello stesso incarico per decenni, con poche opportunità di crescita o cambiamento. Questa staticità non solo limita le potenzialità individuali, ma impedisce anche all’intero sistema di evolversi e rispondere efficacemente alle nuove sfide.

Il modello TSR: formazione, sprint, riflessione

Per superare questo stallo, possiamo adottare un nuovo modello operativo, ispirato al concetto di TSR: Train (formazione), Sprint (lavoro intenso) e Reassess (riflessione). Questo approccio, mutuato dal mondo degli atleti e dei knowledge worker, prevede cicli di apprendimento continuo, periodi di lavoro focalizzato e momenti di pausa per valutare i risultati e ricaricare le energie.

Applicare il modello TSR nella pubblica amministrazione significa:

  • Formazione continua: incentivare corsi di aggiornamento, workshop e momenti di apprendimento informale per mantenere le competenze al passo con i tempi.
  • Lavoro focalizzato: organizzare il lavoro in blocchi di tempo dedicati a compiti specifici, riducendo le interruzioni e aumentando la produttività. La digitalizzazione può aiutare nel riorganizzare il lavoro, servendo i clienti-cittadini in maniera asincrona mediante servizi digitali e non più solo a interrupt mediante sportello fisico.
  • Riflessione e feedback: creare spazi per la condivisione delle esperienze, l’analisi dei risultati e la pianificazione delle attività future.

Il Decreto PA 2025: un primo passo verso il cambiamento

Il Decreto Legge 25/2025, convertito nella Legge 69/2025, introduce alcune misure volte a modernizzare la pubblica amministrazione. Tra queste, spiccano:

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  • Reclutamento di giovani: le PA possono destinare fino al 15% delle proprie capacità assunzionali all’inserimento di giovani diplomati ITS e studenti universitari al terzo anno, tramite contratti di formazione e lavoro, con possibilità di stabilizzazione a tempo indeterminato.
  • Superamento della “taglia idonei”: viene abrogata la norma che limitava il numero di candidati idonei nei concorsi pubblici, consentendo graduatorie più ampie e flessibili.
  • Pianificazione del fabbisogno di personale: il Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) delle PA deve determinare il fabbisogno di personale per la transizione digitale, la sicurezza informatica e l’innovazione tecnologica, con particolare attenzione all’intelligenza artificiale e alla gestione dei big data.

Queste iniziative rappresentano un passo nella giusta direzione, ma da sole non bastano a trasformare radicalmente la cultura organizzativa della pubblica amministrazione.

Dalla specializzazione alla polivalenza

Nel contesto attuale, la specializzazione estrema può diventare un limite. L’iper-specializzazione, infatti, rischia di rendere i dipendenti pubblici meno adattabili ai cambiamenti e più vulnerabili all’automazione. È quindi fondamentale promuovere la polivalenza, ovvero la capacità di svolgere diverse mansioni e di adattarsi a nuovi ruoli e responsabilità. Per favorire questa transizione, i Dirigenti dovrebbero prima di tutto valorizzare le competenze trasversali, come la capacità di problem solving, la comunicazione efficace e la gestione del tempo. Questo non vuol dire avere dipendenti tuttologi, ma vuol dire prevedere il superamento dei silos amministrativi non comunicanti, dove un ufficio non collabora e fa interoperabilità umana con altri uffici. Inoltre, va promossa la mobilità interna facilitando il passaggio dei dipendenti tra diversi uffici e funzioni, per arricchire le esperienze e le competenze, nonché assecondare le propensioni ed evitare “la morte celebrale innovativa” derivante dal rimanere troppo tempo nello stesso ruolo senza vedere i propri sforzi trasformati in cambiamento e risultati. Infine, abbiamo bisogno di incentivare la collaborazione intersettoriale: creare team multidisciplinari per affrontare progetti complessi e stimolare l’innovazione, nonchè gestire i dipendenti non più come amministrativi passivi ma come innovatori attivi, ognuno per il ruolo e la cross fertilization che può generare anche in alti settori.

Verso una PA armonica e resiliente

Il futuro della pubblica amministrazione dipende dalla sua capacità di diventare un’organizzazione armonica e resiliente, in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti e di valorizzare le potenzialità di ogni dipendente. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario che si ragioni a livello di sistema rivedendo i modelli organizzativi superando le strutture gerarchiche rigide e adottando modelli più flessibili e orientati ai risultati. Già, risultati: una parola che non caratterizza la PA, spesso per colpa anche della politica, che a volte instilla nella PA stessa la necessità di “fare per fare vedere” ma non “fare per generare impatto reale di lungo o medio periodo”. Sarebbe utile investire nella leadership diffusa: formare leader a tutti i livelli dell’organizzazione, capaci di guidare il cambiamento e di motivare i colleghi. Ancora prima, individuare i leader non per ruolo ma per capacità di coinvolgimento e di fare rete, per motivarli a portare avanti cambiamenti e progetti complessi. Spesso l’organigramma dell’ente non è l’organigramma funzionale: avete mai provato a pensare all’organigramma dell’ente in relazione a chi fa funzionare le cose? Provare a disegnarlo potrebbe dare molte sorprese. Per farlo basterebbe collegare tra loro le persone che si parlano (o con cui parlate di più) di più: fatelo, e capirete molte cose. Infine, abbiamo bisogno di adottare tecnologie abilitanti: utilizzare strumenti digitali per semplificare i processi, migliorare la comunicazione e favorire il lavoro collaborativo.

Ci saranno sempre meno jobs, ma sempre più work da fare. I jobs sono residui dell’era industriale: contenitori predefiniti che raggruppano competenze specifiche sotto etichette standardizzate. “Ufficiale Anagrafe”, “Ufficio Tecnico”, Segretario Comunale”. Funzionavano quando il costo di coordinamento era alto e i mercati stabili. Oggi persistono per inerzia, creando gabbie professionali che limitano invece di proteggere. Il work parte da un approccio diverso: quale problema dobbiamo risolvere? Poi orchestra le competenze migliori per affrontarlo, indipendentemente dalle loro etichette tradizionali. Non cerca “Addetto al Protocollo”, cerca “qualcuno che sa gestire sistemi documentali complessi e il cuore di un ente”. Nel mondo dei jobs, vendiamo competenze specifiche. Nel mondo del work, risolviamo problemi complessi utilizzando tutte le risorse disponibili. Nel mondo dei jobs, l’AI è una minaccia. Nel mondo del work è una risorsa preziosa.

Orchestrare o essere orchestrati è la sfida. Utilizzando strumenti AI è possibile generare in pochi minuti strategie complete. Quello che prima richiedeva team specializzati ora può essere prodotto da una singola persona che sa orchestrare tecnologie diverse. Questo può essere visto come la conferma delle nostre paure – l’AI ci sostituirà – oppure come l’opportunità di ripensare completamente il nostro valore professionale. Invece di competere con l’algoritmo, possiamo utilizzarlo per amplificare la nostra capacità di risolvere problemi. La scelta è tra diventare sempre più bravi in qualcosa che le macchine fanno meglio, o diventare insostituibili in qualcosa che solo gli umani sanno fare: identificare i problemi giusti, sviluppare insight contestuali, creare connessioni inaspettate tra domini diversi, uffici diversi, enti diversi e navigare le relazioni interpersonali. Fare rete si può e si deve anche nella PA, per superare problemi e ostacoli che diventano sempre più gassosi come complessità e variabilità nel tempo e sfide che riguardano la gestione smart di grandi città, come l’indipendenza adeguata funzionale dei piccoli comuni.

E allora la domanda che dovremmo cominciare a farci non è “come posso diventare più bravo?”, ma: “come posso diventare più necessario?”. Come posso proporre risultati al posto di tempo? È più importante definirmi esporto di X o risolutore del problema Y?

Per la PA questa mentalità, che è da innovatori anche nel privato, è probabilmente lontana; eppure, un pensiero deve essere fatto, perlomeno a livello di “possibilità” esistente per un cambiamento che può migliorare l’intero Paese. Si può iniziare costruendo una mentalità che trasformi gli obiettivi facili (quelli per raggiungere il bonus) con obiettivi sfidanti, che aspirano a realizzare un cambiamento reale della comunità tramite nuove tecnologie e nuovi modi di lavorare.

Conclusioni

Per uscire dal “loculo amministrativo” e costruire una pubblica amministrazione al passo con i tempi, è indispensabile un cambiamento culturale profondo, che metta al centro le persone, le loro competenze e la loro capacità di innovare. E fino a qui, niente di nuovo. La novità è proporre e implementare nuovi metodi, non solo teorie, che permettano di superare la gerarchia industriale e la mentalità “ministeriale”, oltre che intercettare le innovazioni abilitate dall’AI.

 

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Soprattutto, è urgente farsi nuove domande:

  • in che cosa possiamo essere necessari? (Quali competenze dobbiamo acquisire per risolvere problemi)
  • Come possiamo passare da tempo di lavoro a risultati di lavoro? (Dobbiamo misurare i problemi risolti)

Solo così riusciremo, generando impatto, a cambiare la PA e il Paese per il futuro nostro e dei nostri giovani.

*N.d.R. La start up Cosmico è una piattaforma che connette i talenti del digitale con le aziende.



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