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Contro il digital divide nelle aree interne: il progetto Generazione T


In un’epoca in cui la transizione digitale investe ogni aspetto della vita quotidiana, dal lavoro alla salute, dalla pubblica amministrazione all’accesso alle informazioni, il rischio più grande è quello di lasciare indietro proprio chi avrebbe più bisogno di accompagnamento.

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Le dimensioni del digital divide nelle aree interne italiane

In Italia, 2 persone su 10 non utilizzano regolarmente internet, con percentuali che crescono con l’età. Il digital divide, però, non è solo una questione anagrafica: è un problema territoriale, sociale, educativo. E riguarda soprattutto le aree interne, dove infrastrutture carenti e servizi discontinui rendono l’accesso al digitale una sfida quotidiana.

L’analfabetismo digitale non è un semplice ritardo tecnologico, ma un fattore che incide sulla cittadinanza attiva, sull’equità dei diritti, sulla possibilità stessa di partecipare alla società. Non saper usare SPID, non avere dimestichezza con la posta elettronica o con le app sanitarie, significa oggi essere tagliati fuori da prestazioni fondamentali, dalla prenotazione di una visita all’accesso al proprio fascicolo sanitario. Non si tratta solo di mancare un’opportunità: si tratta, in molti casi, di non poter più esercitare pienamente i propri diritti.

Un approccio innovativo per combattere l’esclusione digitale

In questo contesto, parlare di alfabetizzazione digitale non può limitarsi a un discorso tecnico o formativo. Serve una visione più ampia, che sappia cogliere i fattori culturali, relazionali, comunitari. Serve un approccio che non si limiti a “trasferire competenze”, ma che ricostruisca relazioni di fiducia, produca prossimità, valorizzi il ruolo di chi trasmette il sapere e di chi lo riceve. È in questa direzione che si può inserire l’operato del terzo settore, un ambito in cui i giovani possono dare un contributo significativo, spesso lasciato in secondo piano nella ricerca di occupazione delle nuove generazioni, ma che offre un’ampia radura di possibilità, formative e professionali.

Proprio qui si colloca infatti il progetto “Punto Digitale Facile” portato avanti da Generazione T, impresa sociale no profit, nei territori della Media Valle del Tevere, dell’Unione dei Comuni del Trasimeno e di Norcia.

Generazione T: l‘intergenerazionalità come leva di coesione

La sfida raccolta da Generazione T in questi territori non si limita alla trasmissione di competenze digitali. È una sfida che ha voluto mettere al centro una diversa idea di intergenerazionalità. Nel mondo complesso in cui viviamo, il confronto tra generazioni può rappresentare un modo per affrontare problemi concreti, attraverso la sintesi di prospettive diverse. Le giovani generazioni, cresciute in ambienti digitali, possiedono competenze che le rendono in grado non solo di insegnare, ma di prendersi cura, in senso profondo, di chi queste competenze non le ha. Questo rovesciamento simbolico – dove i figli insegnano ai padri, e i nipoti ai nonni – è oggi possibile e anzi necessario, perché contribuisce ad alimentare un patto di fiducia tra generazioni che si è logorato nel tempo.

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Per rendere concreta questa visione, il progetto ha coinvolto 10 giovani under 35 come facilitatori digitali, offrendo loro una formazione specifica e un impiego retribuito. Parallelamente, la formazione si è rivolta principalmente alla fascia over 65, grazie anche alla collaborazione con realtà del terzo settore come Auser. Il risultato è stato un modello inclusivo in cui il sapere non circola in una sola direzione, ma crea nuove relazioni, nuove possibilità, nuovi linguaggi condivisi.

I numeri del progetto Generazione T e la sua diffusione

I numeri raccontano la portata dell’impegno: oltre 6.000 persone formate in tre aree dell’Umbria fortemente caratterizzate dalla dimensione di area interna. 2.900 cittadini nella Media Valle del Tevere, 2.482 nell’Unione del Trasimeno, 668 a Norcia. Tre territori diversi, accomunati dalla distanza dai grandi centri e da un’elevata incidenza della popolazione anziana. In questi contesti, dove a volte non arriva nemmeno internet, il “Punto Digitale Facile” ha rappresentato un presidio di cittadinanza attiva.

Sono stati attivati sportelli fisici, organizzati corsi, distribuiti materiali informativi, avviate campagne di comunicazione capillare. Un’attenzione particolare è stata data alla riconoscibilità del servizio: badge personalizzati, brochure, locandine nei luoghi più frequentati – dagli uffici postali alle farmacie – e una presenza costante sui social media, con contenuti curati e coerenti.

L’importanza della formazione digitale di base

I contenuti della formazione sono stati pensati per rispondere ai bisogni reali dei cittadini: attivazione e uso di SPID, PEC e CIE, navigazione sicura in rete, utilizzo di servizi pubblici online come ANPR, PagoPA e Fascicolo Sanitario Elettronico, iscrizione ai centri per l’impiego, prenotazione di visite mediche, creazione e gestione di contenuti digitali.

Molti partecipanti, prima dei corsi, pagavano intermediari o venivano truffati per operazioni semplici come aprire una casella di posta elettronica o scaricare un referto. In questo senso, la formazione ha avuto anche un valore di prevenzione. Ha permesso di ridurre l’esposizione alle frodi, di aumentare l’autonomia e l’autotutela, di rafforzare il rapporto con i servizi pubblici.

Coesione sociale e crescita della comunità

L’esperienza del “Punto Digitale Facile” non ha prodotto solo competenze, ma anche legami. Ha reso visibile una comunità che cresce intorno al valore dell’aiuto reciproco. I giovani hanno scoperto un ruolo attivo, professionalizzante, dentro un processo trasformativo. Gli anziani hanno ritrovato la fiducia in sé stessi e nelle istituzioni. E le comunità hanno visto rafforzata la propria coesione, in territori spesso fragili, dove la distanza dai servizi rischia di diventare distanza sociale.

Il caso Norcia: il digitale come strumento di resilienza

A Norcia, uno dei comuni simbolo del sisma 2016, il DigiPASS ha assunto anche un ruolo di presidio civico. Le attivazioni SPID hanno rappresentato una risposta concreta alla necessità di accedere a servizi pubblici essenziali, ma anche un primo passo verso un’inclusione digitale più strutturata.

Anche la formazione organizzata a Monteleone di Spoleto ha confermato l’importanza di avvicinare il digitale là dove non arriva spontaneamente. Dove manca l’infrastruttura, dove il senso di abbandono è forte, un operatore che spiega con calma come attivare il Fascicolo Sanitario Elettronico può rappresentare una svolta.

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Generazione T: un modello da riproporre

L’esperienza sviluppata da Generazione T dimostra che il digitale, se accompagnato con attenzione e intelligenza relazionale, può diventare un veicolo potente di inclusione, dignità, coesione. La chiave sta nell’approccio: non top-down, ma fondato sulla prossimità, sulla reciprocità, sulla valorizzazione delle risorse già presenti nei territori.

In un’Italia che continua a vivere fratture territoriali e sociali profonde, interventi di questo tipo sono indispensabili. Servono a garantire pari opportunità, ma anche a costruire comunità più forti, capaci di affrontare insieme le trasformazioni in corso.

La transizione digitale non sarà compiuta finché non includerà anche chi, oggi, si sente escluso. E il modo migliore per riuscirci è farlo insieme, mettendo in dialogo saperi, età, territori. Questa è la direzione che vogliamo continuare a percorrere.



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