Milano, dopo i casi di Armani, Dior e Valentino, il giudice ha imposto la misura di prevenzione di un anno per la (non indagata) società Loro Piana, oggi presieduta dal figlio del magnate Arnault: «Meccanismo perpetrato in modo strutturale per abbattere i costi e massimizzare i profitti»
Il Tribunale di Milano mette in amministrazione giudiziaria per un anno una società dell’alta moda presieduta dal figlio del magnate francese Bernard Arnault, Antoine: è la Loro Piana spa, il marchio vercellese del cashmere di cui nel 2013 l’80% è stato acquisito per 2 miliardi di euro dalla multinazionale parigina Lvmh-Moet Hennessy Louis Vuitton della famiglia Arnault (la quarta più ricca al mondo).
I giudici della Sezione misure di prevenzione rimproverano a Loro Piana spa non di aver direttamente sfruttato, e nemmeno di avere sicura consapevolezza dello sfruttamento, ma di aver «colposamente agevolato», con «una generalizzata carenza di modelli organizzativi e un sistema di internal audit fallace, il pesante sfruttamento lavorativo» di operai cinesi a valle della «propria filiera di produzione» tra società appaltatrici e subappaltatrici, in opifici chiusi dai carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e gestiti in un caso da un cinese arrestato in flagranza di caporalato il 13 maggio 2025.
Un’«agevolazione colposa» nonostante gli identici provvedimenti di amministrazione giudiziaria adottati nei mesi scorsi su altri brand della moda di lusso come Armani, Dior, Valentino, Alviero Martini, tutti articoli 34 del decreto legislativo 159/2011 consistenti come oggi non nel sequestro penale della non indagata società, ma nell’affiancamento di un professionista nominato dal Tribunale ai non indagati amministratori in carica affinché bonifichi le criticità interne. Una sequela che stride con la fresca sottoscrizione di un «protocollo di intesa, con la partecipazione delle associazioni sindacali e datoriali più rappresentative a livello nazionale, volto a garantire il rispetto della legalità nella filiera produttiva dell’alta moda ».
La catena dei subappalti di Loro Piana
Loro Piana spa – che per il 20% è ancora della famiglia omonima e vede alla vicepresidenza Pier Luigi Piana, con 2.300 dipendenti e un fatturato di 1,3 miliardi – secondo gli atti proposti dalla richiesta del pm Paolo Storari affidava parte della produzione delle giacche in via diretta alla Evergreen Fashion Group srl, che però, avendo una bella sede a Milano dietro Sant’Ambrogio ma nessun reparto produttivo, subappaltava la produzione alla Sor-Man snc di Nova Milanese; la quale a sua volta, non avendo adeguata capacità produttiva, faceva realizzare i capi di abbigliamento agli opifici cinesi Clover Moda srl (a Baranzate) e Dai Meiying (a Senago); i quali però impiegavano «in nero» operai asiatici per lo più in stato di clandestinità, in ambienti di lavoro insalubri e pericolosi, alloggiati in dormitori abusivi, sottoposti anche di notte o nei festivi (come dimostrato dalla rilevazione dei picchi dei consumi energetici) a turni lavorativi di gran lunga superiori a quelli contrattualmente previsti e pagati di gran lunga meno dei minimi tabellari, alle prese con macchinari senza dispositivi di sicurezza, senza sorveglianza sanitaria, senza corsi minimi di formazione.
Le e-mail sui controlli formali
Negli opifici i carabinieri hanno trovato non solo prodotti ed etichette ma anche schede di produzione dei capi Loro Piana. E nella Sor-Man hanno recuperato una mail del 18 novembre 2024 tra il titolare Ermanno Brioschi e un professionista della società esterna (Nexia Audirevi) che per conto della Loro Piana aveva svolto l’audit. Inoltre la moglie e contitolare della Sor-Man, Maria Teresa Provenzi, spiegando che «i volumi erano alti, circa 6.000/7.000 giacche l’anno per Loro Piana, ed io per mantenere il cliente ho esternalizzato a cittadini cinesi, e cioè alla Clover Moda srl e alla Dai Meiying», ha aggiunto alla Procura «che io avevo riferito alla Evergreen» (cioè alla prima società appaltatrice di Loro Piana, con cui la Sor-Man ha fatturato 1,5 milioni nell’ultimo anno e mezzo) «che la mia produzione era in realtà fatta dalle due società cinesi »; e ha testimoniato «che la Loro Piana spa è venuta presso la mia azienda diverse volte a fare audit, che vi consegno». E la Procura sottolinea che, «nella scheda dell’audit effettuata dalla Loro Piana presso la Evergreen nel maggio 2024 attraverso la società esterna Nexia, (la stessa che ha eseguito sempre per Loro Piana l’audit presso la Sor-Man nel novembre 2024), non sono riportate considerazioni o verifiche inerenti la capacità produttiva», mentre ora lo stesso contabile della Evergreen, Roberto Pivoli, «ha confermato in sede di deposizione che la società Evergreen non ha personale per la produzione né macchinari idonei».
«Abbattere i costi, massimizzare i profitti»
Il collegio, formato dalla presidente Paola Pendino con la giudice delegata Giulia Cucciniello e la collega Maria Profeta, conclude che il meccanismo, finalizzato all’«abbattimento dei costi e alla massimizzazione dei profitti (con l’aumento della produttività da realizzare in tempi rapidi) attraverso l’elusione delle norme penali e giuslavoristiche, è stato perpetrato nel tempo in modo strutturale e colposamente alimentato dalla Loro Piana spa, che non ha verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici e sub-appaltatrici alle quali affidare la produzione, e negli anni non ha eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto l’operatività della catena produttiva e le effettive condizioni lavorative», ma soltanto controlli che «appaiono più formali che sostanziali». Così come aver rescisso il contratto con la Evergreen il 21 maggio scorso vale poco dopo che i carabinieri avevano portato via in arresto 8 giorni prima il titolare cinese della Clover alla quale Evergreen si era rivolta, Hu «Stefano» Xizhai. Questo «non vuol dire che la società Loro Piana avesse la piena consapevolezza delle condizioni in cui versavano i lavoratori negli opifici cinesi, ma certamente la società per colpa non ha messo a punto una struttura organizzativa adeguata a impedire il sorgere e consolidarsi di rapporti commerciali (attraverso la catena dei sub-appalti) con soggetti operanti in regime di sfruttamento dei lavoratori».
La giacca di cashmere Loro Piana da 80 a 3 mila euro
L’inadeguatezza che non faceva accorgere Loro Piana dello sfruttamento a valle, ad avviso della Procura, propiziava comunque vantaggi non trascurabili: il pm, spiegano le giudici, «a titolo esemplificativo ha esposto i costi unitari medi per la produzione di alcuni modelli di giacche in cashmere presso le varie aziende della catena produttiva, nell’ordine di un centinaio di euro, e il costo al quale questi capi di abbigliamento sono messi in commercio nei negozi Loro Piana, tra i 1.000 e i 3.000 euro, con un ricarico tra i 1.000 ed i 2.000 euro». E negli atti c’è la versione ai carabinieri della contitolare della Evergreen: «Con la Loro Piana il costo pattuito era 118/128 euro a giacca. Io alle società cinesi pagavo 80 euro al pezzo se non facevano il taglio, 86 con il taglio, poi in base alle altre lavorazioni il prezzo poteva oscillare di 5 o 10 euro».
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