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Rider e caporalato digitale, se il caldo è solo una variabile


Riflettere sulle condizioni di lavoro dei rider italiani nella rovente estate in corso presuppone di tenere insieme – anche al fine di articolare in modo adeguato l’obbligo non derogabile di tutelare la vita e l’integrità psicofisica dei lavoratori – l’organizzazione specifica di questa attività con le varie forme di sfruttamento che la caratterizzano, e l’esposizione dei lavoratori ai rischi costanti per la loro salute. Quest’ultimo aspetto deriva soprattutto dalle allarmanti condizioni climatiche che si stanno presentandone negli ultimi anni e già nei mesi prima dell’estate quando si assiste a cambi repentini di clima con temperature elevatissime seguite da temporali improvvisi e violentissimi. Questa combinazione meteo ha suscitato un vivace dibattito rispetto alle conseguenze che potrebbe determinare su coloro che sono costretti a lavorare sui ponteggi, nei campi agricoli, nella logistica e soprattutto nell’attività simbolo della gig economy, ossia i rider.

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Numerose Regioni hanno emanato un provvedimento che vieta il lavoro all’aperto nelle ore centrali della giornata

Numerose Regioni hanno emanato un provvedimento che vieta il lavoro all’aperto nelle ore centrali della giornata, ossia dalle 12,30 alle 16,30. Si smette dunque di lavorare nelle strade e nei cantieri, ma anche nei vivai, nell’agricoltura e nelle cave in relazione al monitoraggio quotidiano che viene pubblicato sul sito worklimate di Inail e Cnr. A prendere questi provvedimenti sono state la Lombardia, Abruzzo, Emilia-Romagna e Sardegna, e prima di tutte la Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Puglia, Sicilia e Toscana. Le imprese interessate devono adottare misure organizzative, tecniche e procedurali utili per evitare l’esposizione dei lavoratori nelle fasce a rischio (anticipo dell’orario di inizio mattutino e suo prolungamento nelle ore serali), impiegare i lavoratori al coperto o all’ombra, anche per mezzo di tettoie fisse o mobili, riprogrammare le attività, organizzare ripetute turnazioni dei lavoratori esposti e pause in zone ombreggiate, utilizzare carrelli elevatori o macchine cabinate con aria condizionata.

Le condizioni meteo che intervengono sull’attività del rider si intersecano con le modalità di reclutamento e impiego mediante algoritmo

Per un’analisi corretta di questo fenomeno si deve però riuscire a tenere insieme non solo la variabile meteo, in sé drammaticamente autoevidente e collettivamente percepita, ma anche il suo rapporto con le forme accertate, soprattutto grazie a specifiche ricerche sociologiche e inchieste varie della Procura, di subordinazione, sfruttamento e ricattabilità. Concentrarsi, in un Paese come l’Italia che dispone di una Costituzione fondata sul lavoro e su una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, solo sulle condizioni meteo che intervengono sull’attività del rider e non anche sulle loro caratteristiche specifiche legate alle modalità di reclutamento e impiego mediante algoritmo, significa prevedere formalmente la tutela del lavoratore e nel contempo lasciarli esposti a varie forme di sfruttamento a tempo indeterminato. Per entrare nel merito di questa riflessione, risulta particolarmente interessante un recente saggio dal titolo Sfruttamento del lavoro e digitalizzazione: condizioni di lavoro, obbligo di reperibilità, predominio dell’algoritmo e ruolo degli enti locali, scritto da Maria Barberio (Rubbettino, 2024) e nel contempo riconoscere la condizione lavorativa propria di ogni rider, che è quella di pedalare in sella a una bicicletta o ciclomotore in alcuni dei centri urbani più grandi d’Italia indossando uno zaino sulle spalle contenente alimenti all’interno di un arco temporale generalmente standardizzato negli orari canonici di pranzo e cena cercando, come Barberio afferma, di rispondere «agli ordini ricevuti e con lo scopo combinato di tutelare, nella forma massima auspicabile, la propria salute e nel contempo l’altro legittimo diritto a una retribuzione conseguentemente propedeutica, almeno in teoria, al proprio sostentamento».

La digitalizzazione deregolamentata può diventare uno strumento per la proliferazione di fenomeni di lavoro povero, irregolare ed insicuro

I pericoli che intervengono sull’attività del singolo rider non riguardano solo i colpi di calore, le cadute improvvise, gli svenimenti o il rischio di incidenti derivanti dall’esposizione a uno stress psicofisico eccessivo. Queste problematiche vanno inserite in un àmbito più ampio quale l’inadeguato governo dell’interazione tra digitalizzazione e lavoro, responsabile della compromissione ricorrente del processo, peraltro costituzionalmente previsto, dell’inclusività sociale delle persone così impiegate. Come ancora afferma Barberio, la digitalizzazione deregolamentata può diventare uno strumento per la proliferazione di fenomeni di lavoro povero, irregolare ed insicuro, con una specifica prevalenza in tal senso, per via del carattere imprevedibile del meteo di questa estate, di danni irreparabili per coloro che sono impiegati in questo genere di attività. Una condizione di pericolo, peraltro, nota da anni al legislatore nazionale ed europeo, tanto che proprio quest’ultimo ha avanzato una “Direttiva per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori tramite piattaforma digitale”.

L’algoritmo concorre a determinare una forma di sfruttamento opaco dei rider

Tra le modalità più ricorrenti e nel contempo persistenti che concorrono a determinare lo sfruttamento dei rider, da cui deriva il loro obbligo al lavoro secondo gli ordini impartiti dall’algoritmo, a prescindere, in genere, dalle condizioni meteo più o meno avverse, si possono citare l’iper-connessione e la sovra-reperibilità, favorite dall’utilizzo di devices che rappresentano una forma larvata, ma non per questo meno pervicace, di sfruttamento opaco, dal momento che non mette in luce la situazione di vulnerabilità che vive un lavoratore che non può esercitare il diritto umano alla disconnessione. È da qui che deriva l’obbligo del rider al lavoro anche con il caldo estremo, quale accezione più evoluta rispetto al solo problema delle temperature estive intese come dato naturale in sé non superabile. Si tratta di una vulnerabilità alimentata dall’organizzazione del lavoro del rider stesso, basata su algoritmi, sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati, che fomentano significativi squilibri di potere e opacità nel processo decisionale: la vigilanza e la misurazione della performance realizzate con la tecnologia potrebbero, difatti, aggravare pratiche discriminatorie e squilibri di genere e comportare rischi per la vita privata, la salute, la sicurezza dei lavoratori e, più in generale, per la dignità umana. I provvedimenti emanati dalle regioni, dunque, sebbene fondamentali ai fini della tutela della salute dei rider, bypassano le condizioni specifiche che fanno di questi lavoratori degli sfruttati della gig economy, che solo una riorganizzazione per via normativa e dunque politica della relativa filiera e settore potrebbe, probabilmente, arginare.

Occorre una riflessione profonda sull’impatto della tecnologia sulle condizioni di lavoro e sulla ridefinizione dei concetti di modo, tempo e valutazione del lavoro

Quanto appena accennato spiega come il tema dello sfruttamento digitale non possa essere affrontato e risolto associandolo al problema della misclassification del rapporto di lavoro ma richieda, invece, una riflessione profonda sull’impatto della tecnologia, sulle condizioni di lavoro e sulla ridefinizione dei concetti di ambiente, modo, tempo e valutazione del lavoro avendo sempre come obiettivo quello del riconoscimento e della tutela dei diritti umani e del lavoro. Tenere insieme questi due piani potrebbe aiutare a superare le causa di fondo dell’esposizione dei rider al lavoro alle alte temperature, superando la tesi, piuttosto elementare, per cui l’importante è non farli lavorare durante le ore estive più calde, prescindendo dalle forme di sfruttamento, subordinazione e alienazione, anche psicologica, di cui sono strutturalmente vittime. L’uso di biciclette o monopattini a motore inevitabilmente li espone a rischi ricorrenti per la loro salute, a partire dalla qualità dell’aria che essi respirano, ai pericoli per i colpi di calore ricorrenti che, stando a numerose interviste e ricerche condotte, sembrano in genere affrontati mediante il ricorso a un approssimativo fai-da-te che consiste semplicemente nel riposare qualche minuto nella prima zona d’ombra a disposizione, bere dell’acqua più o meno fresca, cercando il più delle volte una fontanella pubblica per poter rinfrescare il corpo, esponendolo paradossalmente a traumi ricorrenti quali infarti o congestioni.

 

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Per essere affidabili per l’algoritmo, il rider deve rispondere sempre positivamente alla sua chiamata, da cui deriva l’obbligo di subappaltare la consegna

Non bisogna inoltre trascurare che l’attività di reclutamento da parte della gig economy di manodopera con scarsa capacità professionale e limitato potere contrattuale, che nel caso degli immigrati significa anche la loro dipendenza dalle procedure formalmente previste per il rinnovo del relativo permesso di soggiorno, sviluppa una sorta di concorrenza al ribasso tra lavoratori che sfocia, come ha dimostrato Tullini (L’economia delle piattaforme e le sfide del diritto del lavoro, in Economia e Società regionale, 2018), in forme ricorrenti e sistemiche di autosfruttamento. Questa condizione deriva dalla combinazione di diversi fattori, a partire dall’aumento esponenziale dell’offerta di manodopera generato dall’assenza di una selezione del personale da parte delle piattaforme, per via della mancata richiesta di qualsivoglia competenza professionale in capo ai candidati e della traslazione del rischio economico in capo agli stessi. Si deve anche considerare che le piattaforme, per assicurarsi la prestazione, ricorrono a pratiche di sovracontrattualizzazione, spesso utilizzando forme illecite di intermediazione di manodopera (“caporalato”) e di cessione illecita degli account, richiedendo la disponibilità per quel servizio a più lavoratori, provocando una dilatazione enorme della fascia di reperibilità richiesta rispetto al lavoro effettuato e retribuito. Ciò induce i lavoratori a fornire la propria disponibilità a più piattaforme, e a gestire l’eventuale doppia richiesta mediante forme di subappalto informale, alimentando fenomeni di lavoro nero allo scopo di non retrocedere nel ranking reputazionale che deriva da un’eventuale rinuncia al servizio. Insomma, per essere affidabili per l’algoritmo, il rider deve rispondere sempre positivamente alla sua chiamata, da cui deriva l’obbligo di subappaltare la consegna ad altri rider lungo la catena della reperibilità al ribasso. Personale che sfuggirà, molto probabilmente, all’imposizione delle delibere regionali.

Il caporalato digitale è una forme di sfruttamento realizzata attraverso la cessione delle credenziali di accesso alle piattaforme di food delivery

A tale riguardo merita di essere ricordata l’operazione condotta dai militari del Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro unitamente a tutti i Comandi Provinciali Carabinieri dell’Arma territoriale nei capoluoghi di provincia e nei principali centri abitati della penisola con lo scopo di individuare forme di sfruttamento lavorativo realizzate attraverso la cessione delle credenziali di accesso alle piattaforme di food delivery per l’esercizio dell’attività di rider. L’attività condotta rappresenta, come dichiarano gli stessi Carabinieri, l’evoluzione delle verifiche avviate dal Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Milano nel settembre del 2019, a seguito del coinvolgimento di alcuni rider in incidenti stradali, anche mortali, finalizzate all’esecuzione di controlli a campione su strada per acquisire informazioni sull’orario di lavoro, modalità di retribuzione, mezzi utilizzati, condizioni d’igiene, sicurezza ed altro, stante la mancanza di qualsivoglia tutela applicata agli stessi e alla non riconosciuta riconducibilità dell’incidente ad “infortunio sul lavoro”.

Con ciò risulta evidente che la variabile dipendente da cui derivano gli incidenti, in alcuni casi anche mortali, dei rider, non è riconducibile all’evento meteo come fatto naturale, ma alla sua combinazione con le forme organizzate dello sfruttamento a cui è costretto il rider. Intervenire solo sulla variabile meteo, sebbene utile ai fini della tutela dell’incolumità fisica del lavoratore, non ne supera la condizione originaria e tipica, che è data dalla reperibilità dello stesso ed esecuzione dell’ordine di consegna a qualunque costo e nel più breve tempo possibile, come bene hanno messo in luce i Carabinieri nell’operazione analizzata. Questa attività ha permesso di applicare la vigilanza sanitaria secondo i dettami del T.U. 81/08 a oltre 60.000 rider oggetto di accertamento e l’apertura conseguente di un ombrello a protezione della loro salute. L’adempimento totale delle prescrizioni da parte delle citate piattaforme ha comportato l’archiviazione del procedimento penale nel marzo 2022.

Numerose problematiche sono emerse sui veicoli utilizzati per il trasporto perché spesso non conformi alla normativa di riferimento

Nel corso dei controlli eseguiti a Milano tra luglio e ottobre 2022 finalizzati a verificare l’effettivo rispetto da parte delle piattaforme degli obblighi a loro imposti dal d.lgs. n. 81/2008 è emersa l’esistenza di nuove forme di caporalato digitale attraverso l’illecita cessione di account. Fino alla metà del 2019 la cessione di account era un fenomeno dovuto alla volontaria e provvisoria messa a disposizione di terzi delle credenziali di login da parte del rider che, non volendo essere sloggato o penalizzato nel ranking e non potendo svolgere personalmente la prestazione per periodi più o meno lunghi (a causa di infortuni, malattia, rientro in patria per gli stranieri ecc..), prestava il proprio account senza pretendere alcun beneficio economico ma al solo fine di mantenere in essere il rapporto con la/le piattaforma/e. In sintesi, si verificava che gli account registrati e accreditati sulle piattaforme delle citate società di Food Delivery, verosimilmente gestiti dal cosiddetto caporale, venivano ceduti a un’altra persona (rider) che materialmente eseguiva la prestazione lavorativa della consegna previa trattenuta di una quota percentuale del guadagno giornaliero operata dallo stesso titolare dell’account, con conseguenti ingenti profitti per quest’ultimo. Numerose problematiche erano poi connesse ai veicoli utilizzati per il trasporto perché spesso non conformi alla normativa di riferimento o privi di assicurazione, casco, targa e tutti gli altri obblighi previsti.

Le dematerializzazione del datore di lavoro ad opera della piattaforma rende opaca la titolarità dell’obbligo prevenzionistico

A ciò si aggiungano anche le condizioni di salute e sicurezza di questi lavoratori rese precarie dalla “dematerializzazionedel datore di lavoro ad opera della piattaforma che rende opaca la titolarità dell’obbligo prevenzionistico, e dal carattere, in parte innovativo, dei rischi cui sono esposti, come l’aumento del carico di lavoro, orari di eccessivi, un equilibrio poco salutare tra vita privata e professionale, l’esacerbazione dei rischi derivanti dal lavoro in solitudine, la sensazione di isolamento, l’assenza di sostegno collettivo, i pericoli legati alla propria sicurezza durante l’orario di lavoro e i rischi connessi alle condizioni meteo con variabili improvvise ed estreme alle quali il lavoratore non può rispondere mediante strategie di adattamento. Occorre, poi, considerare anche i rischi derivanti dalla valutazione algoritmica del lavoro e alla pressione sui risultati cui questi lavoratori sono sottoposti che portano alla sopraffazione emotiva, iper-connessione, overworking, dipendenza tecnologica e burnout.

Concentrarsi solo sulla variabile meteo, isolandola dal contesto lavorativo dei rider, è come guardare il dito quando esso indica la luna

La digitalizzazione, dunque, può portare ad estreme conseguenze rischi per salute e sicurezza, all’insorgenza di pericoli nuovi, frutto di modelli organizzativi di lavoro complessi e parcellizzati, in cui la titolarità degli obblighi prevenzionistici finisce per essere messa in discussione, che devono essere trattati dal legislatore insieme al pericolo meteo variamente inteso. Comprendere in che modo gli algoritmi influenzano o determinano talune decisioni (quali l’accesso a future opportunità di lavoro, i bonus, l’imposizione di malus come l’eventuale sospensione o limitazione degli account) è ancora una sfida con notevoli implicazioni per il reddito e le condizioni lavorative delle persone che lavorano mediante piattaforme digitali, a prescindere dalla condizione meteo intercorrente.

La gestione termica, delle variabili meteo e delle conseguenze sulla salute dei lavoratori, compresi i relativi livelli di stress, è fondamentale ma va colta nella sua interconnessione con quanto affermato rispetto alle forme di sfruttamento sopra esposte. In definitiva, lavorare in violazione della normativa sull’orario di lavoro e di riposo, sulla sicurezza e salute sul lavoro, in condizioni umilianti e degradanti, accettate a causa dello stato di particolare bisogno dei lavoratori, sotto il controllo di meccanismi automatizzati, integra il delitto rubricato “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, di cui all’art. 603 bis del c.p., e richiede un impegno complessivo del legislatore per evitare ripetute tragedie di lavoratori morti o gravemente infortunati al solo scopo di portare una pizza o un’insalata mista nelle case degli italiane. Concentrarsi solo sulla variabile meteo, isolandola dal contesto lavorativo dei rider e dalla sua organizzazione specifica, è un po’ come guardare il dito quando esso indica la luna.

*Marco Omizzoolo, sociologo, docente e ricercatore dell’Eurispes.

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