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Tlc, la riforma europea è opportunità storica per salvare un settore chiave


In una fase cruciale per il futuro digitale dell’Europa, il settore delle telecomunicazioni rischia di essere il grande assente nella strategia industriale continentale.

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Eppure è un momento di potenziali grandi riforme, in particolare con due proposte di legge europee, il Digital Network Act e il Gigabit Infrastructure Act, che stanno raccogliendo proteste di alcuni operatori alternativi ai principali ex incumbent.

Reti tlc, perché è il momento di una svolta sulle regole

Dopo anni in cui l’unico criterio guida delle politiche regolatorie è stato l’aumento della concorrenza mediante la moltiplicazione degli attori ad ogni costo (si pensi a quando nel 2016 in Italia in occasione della fusione tra Wind e 3 la Commissione impose la cessione di alcune frequenze e l’ingresso di un quarto operatore mobile), è tempo di un bilancio: il modello attuale ha prodotto una compressione dei ricavi e una riduzione drastica della capacità di investimento, proprio nel momento in cui reti avanzate e servizi digitali diventano infrastruttura strategica per l’intero sistema economico europeo.

L’idea di moltiplicare i soggetti attivi sul mercato per garantire efficienza, innovazione e accessibilità se è stata utile in un primo momento a stimolare la concorrenza, ha poi generato un contraccolpo anche per via di una pressione regolatoria eccessiva, unita a una competizione spinta all’estremo su base esclusivamente di prezzo.

Ciò ha logorato la redditività degli operatori, portando a una stagnazione degli investimenti in nuove reti. Il caso italiano è emblematico: negli ultimi dieci anni, i prezzi dei servizi di comunicazione elettronica si sono ridotti del 30%, ben oltre la media europea del 9,7%. Questo apparente beneficio per il consumatore ha però un costo nascosto: la perdita di capacità di innovazione dell’intero settore e l’impossibilità di sostenere gli investimenti necessari per lo sviluppo di infrastrutture all’altezza degli obiettivi europei. Alla fine, continuando così, il risparmio dei consumatori rischia di essere pagato in una minore qualità delle reti, soprattutto guardando alle future esigenze di connettività, solo per fare due esempi si pensi alla guida autonoma e alla telemedicina.

Infatti, la domanda di connettività cresce, si evolve e si fa più esigente: il 5G standalone, l’intelligenza artificiale distribuita, il cloud edge e la digitalizzazione delle catene industriali richiedono una base infrastrutturale resiliente, capillare e ad alte prestazioni. Eppure, secondo le attuali proiezioni della Commissione, la copertura in fibra piena dell’UE sarà raggiunta non nel 2030, come stabilito nella Digital Decade, ma nel 2051. Di fronte a questo disallineamento tra ambizioni politiche e condizioni economiche, è evidente che serve un cambio di rotta.

Riforma quadro normativo tlc in Europa occasione unica

La revisione del quadro normativo europeo rappresenta dunque un’occasione storica per correggere la traiettoria. Il nuovo paradigma non può più fondarsi sulla logica del controllo e della deterrenza verso chi investe, ma deve essere costruito attorno alla creazione di condizioni favorevoli alla sostenibilità industriale.

Il regolatore deve passare dal ruolo di guardiano della concorrenza a quello di architetto dello sviluppo: da un approccio con una ricetta unica, l’apertura formale dei mercati, ad un approccio diverso che punti alla creazione di un ecosistema stabile, incentivante, e capace di attrarre capitali.

Regole accesso alla rete

Uno dei nodi centrali, in questa transizione, è il modo in cui viene regolato l’accesso alle infrastrutture. Finora, la logica dominante è stata quella dell’intervento ex ante, applicato automaticamente in presenza di operatori ritenuti dominanti, sulla base di presunzioni ormai datate. Ma oggi, in molte aree del continente, queste condizioni di partenza non esistono più, oppure non giustificano più interventi rigidi e standardizzati. Dove esiste già una pluralità di offerte e una qualità elevata per gli utenti finali, continuare a imporre obblighi di accesso significa ostacolare la redditività degli investimenti in nuove reti. È necessario invece affidarsi a strumenti più proporzionati e flessibili, basati su dati oggettivi ed analisi geografiche granulari che consentano di intervenire solo in casi residuali.

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In questo scenario, particolare attenzione merita la posizione degli operatori wholesale-only, che offrono servizi di accesso all’ingrosso in modo aperto e neutrale, come già riconosciuto nella revisione del Codice europeo del 2018 che ne ha previsto una regolazione più soft rispetto ai soggetti verticalmente integrati. Modelli di business trasparenti e concorrenziali, devono continuare ad essere incentivati. In questi casi, l’accesso volontario e simmetrico garantisce già un equilibrio di mercato senza bisogno di imposizioni ulteriori.

Semplificazione

Il secondo grande pilastro di questa riforma deve essere la semplificazione normativa. Per superare le attuali disomogeneità tra Stati membri e rendere il mercato unico davvero operativo, l’adozione di un Regolamento, anziché una Direttiva, è una scelta corretta. Le regole devono essere direttamente applicabili, uniformi e stabili, così da garantire certezza giuridica e coerenza regolatoria. Questo impianto normativo deve però essere accompagnato da un’operazione di razionalizzazione: oggi convivono troppi atti paralleli – dal Gigabit Infrastructure Act alle raccomandazioni sui mercati rilevanti, dal Codice europeo delle comunicazioni elettroniche alle normative nazionali – che rischiano di produrre sovrapposizioni, conflitti e incertezze. Un unico testo chiaro, o comunque coordinato, è il fondamento di qualsiasi rilancio credibile del settore.

Dismissione reti rame

Anche sul fronte della dismissione delle reti in rame, è necessario un approccio che unisca ambizione e pragmatismo. Nessuno mette in discussione la necessità di accelerare il passaggio alla fibra, ma imporre una scadenza unica per tutti gli Stati, come il 2030, ignora le profonde differenze di partenza tra i vari mercati. In Italia, ad esempio, il quadro regolatorio attuale impone vincoli procedurali che rendono il processo di switch-off estremamente lungo e complesso, fino a tre anni. Inoltre, la migrazione verso la fibra è spesso ostacolata dalla resistenza degli utenti, che non sempre percepiscono il beneficio immediato del cambiamento. Ad esempio, soprattutto in alcune aree, dopo essersi scontrati con le difficoltà di realizzare l’ultimo “metro” per connettere la propria abitazione alla fibra, molti utenti hanno preferito utilizzare soluzioni mobili (sic!). Per questo è essenziale prevedere meccanismi che favoriscano la transizione senza rigidità eccessive, permettano una maggiore elasticità sui prezzi del rame e stimolino l’adozione dei nuovi servizi, anche tramite misure promozionali o incentivi all’utenza.

I nodi big tech e net neutrality

Ma la sostenibilità del settore non può reggersi solo sulle regole interne: occorre anche un riequilibrio nei rapporti tra gli operatori di rete e i grandi soggetti che generano traffico e ricavi sfruttando le infrastrutture digitali. Oggi le telco sono le uniche a sopportare i costi crescenti di manutenzione, aggiornamento e ampliamento delle reti, mentre i grandi fornitori di contenuti e piattaforme digitali – i cosiddetti CAPs – beneficiano in modo asimmetrico di questa capacità. Secondo le telco si tratta di una situazione non più sostenibile e chiedono dunque una cornice regolatoria che promuova accordi commerciali equi, con clausole trasparenti, vigilanza efficace e strumenti di risoluzione delle controversie rapidi e vincolanti.

Allo stesso modo, è urgente chiarire che i principi della net neutrality, pur fondamentali per la tutela del consumatore, non possono ostacolare lo sviluppo di nuovi servizi digitali avanzati. Ambiti come la sanità, la mobilità intelligente, le reti per la sicurezza o i servizi cloud evoluti richiedono livelli di qualità dedicata, e devono poter essere trattati come servizi innovativi, compatibili con le regole, ma non ingabbiati in divieti generalizzati.

La governance europea

Infine, un ruolo cruciale va riconosciuto alla governance europea. Per garantire coerenza nell’applicazione delle nuove regole, è indispensabile che la Commissione possa intervenire con poteri effettivi, anche di veto, sulle decisioni delle autorità nazionali che dovessero discostarsi dagli orientamenti comuni. Ciò non significa centralizzare tutto a Bruxelles, ma evitare che l’armonizzazione resti solo sulla carta. In questo quadro, organismi come BEREC devono restare centrati sul supporto tecnico, evitando di creare un secondo livello decisionale che aumenta solo la complessità e la lentezza del sistema.

La posta in gioco nella riforma tlc europea

La posta in gioco è alta. La rete da infrastruttura ausiliaria è diventata l’asse portante di qualunque politica industriale moderna. È il veicolo della trasformazione e dello sviluppo: l’infrastruttura invisibile su cui si costruisce la sovranità tecnologica, la competitività economica, la coesione territoriale e l’efficienza dei servizi pubblici. Un’Europa che ambisce a guidare la transizione digitale globale non può permettersi di continuare a trattare le telecomunicazioni come un mercato da controllare e contenere. Serve una visione matura, in cui la regolazione sia strumento abilitante, non vincolo burocratico.



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