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AI e Robotica, la via europea all’innovazione, parla Bruno Siciliano


Stretta in un “effetto sandwich” tra due modelli di innovazione tanto potenti quanto divergenti, l’Europa è chiamata a definire una propria via strategica per non soccombere nello sviluppo delle tecnologie avanzate, su tutte la robotica e l’intelligenza artificiale.

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Da un lato la “pressione” del modello americano, fondato sulla concentrazione di ingenti capitali privati e su una spiccata propensione al rischio d’impresa; dall’altro il modello governativo cinese, capace di imprimere un’accelerazione formidabile agli investimenti e alle strategie tecnologiche. Un’immagine – quella del sandwich – che mostra chiaramente il rischio che corre il Vecchio Continente di restare marginale (se non schiacciato). Dobbiamo quindi rassegnarci a fare la fine del würstel o della sottiletta? La risposta è no e prende le forme di una proposta, articolata e profonda, che arriva da una delle voci più autorevoli della ricerca robotica, quella del Professor Bruno Siciliano, secondo cui la chiave per l’Europa è “investire con convinzione nelle capacità di sapere integrare l’intelligenza artificiale e la robotica con l’intelligenza umana”. Una scelta che risponde alla necessità di disegnare una strategia pragmatica che risponda a un’evoluzione tecnologica ormai in atto, resa concreta dal nuovo paradigma di Industria 5.0 e resa necessaria da ineludibili questioni di responsabilità sociale.

Perché il contesto tecnologico lo esige: l’era dell’interazione (IAT)

La prima ragione per cui un approccio integrato rappresenta la scelta più lungimirante per l’Europa risiede nel fatto che oggi siamo di fronte a un passaggio importantissimo, quello che vede le Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione (ICT), che hanno dominato gli ultimi decenni, passare lo scettro a quelle che Siciliano, in un contributo pubblicato su Nature assieme ad Antonio Bicchi, ha definito Tecnologie per l’InterAzione (InterAction Technologies).

La distinzione è sostanziale. Non si tratta più soltanto di elaborare, archiviare e scambiare dati in un mondo digitale, ma di abilitare macchine che compiono azioni fisiche nel nostro mondo, che interagiscono con oggetti e persone.

Questa evoluzione è ciò che, di fatto, “dà un corpo all’intelligenza artificiale”. Se l’IA generativa come Chat GPT rappresenta una mente disincarnata, la nuova frontiera della robotica le fornisce un corpo per agire, manipolare, muoversi. L’interazione fisica diventa così la nuova normalità, il terreno su cui si giocherà la prossima partita dell’innovazione. Ma questa fisicità introduce un livello di complessità enormemente superiore. Governare un algoritmo è una conto; governare un robot che quell’algoritmo lo traduce in azione fisica è tutt’altra cosa. Una strategia di innovazione moderna non può quindi ignorare questa dimensione. L’integrazione con l’intelligenza umana, con la sua capacità di giudizio, adattamento e comprensione del contesto, diventa una necessità per governare questa nuova e complessa interazione, trasformando un potenziale rischio in un’opportunità di sviluppo.

Perché il modello industriale lo dimostra: la prova di industria 5.0

La seconda ragione è di natura pratica ed economica. L’approccio umanocentrico è infatti uno dei pilastri del modello dell’Industria 5.0, la naturale evoluzione di un sistema produttivo – quello dell’Industria 4.0 – che riconosce i limiti della sola automazione. Se Industria 4.0 ha connesso le macchine, Industria 5.0 le fa collaborare con le persone. Il pilastro di questa nuova fase, come sottolinea Siciliano, è proprio l’idea di “fare una tecnologia a misura del singolo essere umano”. L’obiettivo non è più la sostituzione dell’operatore, ma la valorizzazione delle sue capacità uniche, la promozione del “talento, la diversità e le capacità del singolo”.

 

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Questa visione si traduce in applicazioni concrete che stanno già modificando il tessuto industriale. I robot collaborativi, o Cobot, non servono a eliminare posti di lavoro, ma possono essere impiegati per preservare l’artigianato, tramandando gesti e lavorazioni complesse, e per favorire il reshoring, riportando in Europa produzioni strategiche che erano state delocalizzate.

Ancora, l’impiego di esoscheletri, il cui costo è sceso a livelli accessibili, offre una soluzione tangibile per migliorare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Indossati da un operaio, da un facchino o persino da un chirurgo in sala operatoria, questi dispositivi riducono l’incorrere di disturbi muscolo-scheletrici e contribuiscono a creare ambienti di lavoro più ergonomici e sostenibili. La via europea all’innovazione si dimostra quindi una strategia industriale competitiva, capace di creare valore economico e sociale mettendo la persona al centro del processo.

Perché la responsabilità sociale lo rende necessario: la frontiera etica “ELSE”

La terza e forse più profonda ragione per cui l’Europa deve perseguire un modello integrato è di natura etica e sociale. Nel momento in cui un robot esce dalla “gabbia” di sicurezza per condividere lo spazio con un essere umano (in fabbrica o in società) l’interazione fisica solleva inevitabilmente complesse questioni ben riassunte dall’acronimo americano ELSE: Etiche, Legali, Sociali ed Economiche.

La discussione, avverte Siciliano, non può ridursi a una sterile contrapposizione tra tecnofili e tecnofobi. Deve invece analizzare l’impatto di queste tecnologie attraverso la lente di concetti fondamentali come “equità, merito, uguaglianza, libertà” e, non da ultimo, “privacy”.

Di chi è la responsabilità se un’auto a guida autonoma causa un incidente? Come ci assicuriamo che queste tecnologie non creino nuove e più profonde disuguaglianze, ma siano uno strumento di inclusione per anziani e persone con disabilità? Fino a che punto una macchina può prendere decisioni autonome che impattano la vita umana?

Un modello di sviluppo che ponga programmaticamente al centro l’integrazione con l’intelligenza umana è intrinsecamente meglio equipaggiato per affrontare queste sfide. Non cerca di eliminare l’uomo dall’equazione, ma di potenziarlo, mantenendo il controllo e la responsabilità dove devono essere. Affrontare la frontiera ELSE non è un ostacolo, ma un’opportunità per l’Europa di trasformare la propria tradizione umanistica e la propria attenzione alla governance etica in un vantaggio competitivo distintivo a livello globale.

La visione finale: un futuro più umano

L’“effetto sandwich” descritto da Siciliano non è dunque una condanna alla marginalità, ma un potente invito a definire e percorrere con decisione una propria strada. La scelta di integrare intelligenza artificiale, robotica e intelligenza umana è sì una strategia industriale e una necessità etica, ma è soprattutto una visione del futuro. È la via maestra per fare in modo, come conclude lo stesso Siciliano citando il suo saggio per l’Atlante Treccani, che la rivoluzione dei robot possa aiutarci a “riaffermare la caratteristica meno artificiale del nostro mondo, vale a dire la nostra umanità”.



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