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Export e domanda interna: le sfide da vincere per l’industria (e per il Paese) il prossimo autunno


di
Dario Di Vico

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Dopo un buon aprile la manifattura rischia di portare un contributo negativo al Pil sul ‘25. Sarebbe il terzo anno consecutivo. Non va meglio per il turismo, condizionato dal fattore cambi. E anche diversi elementi positivi, segnalati dall’Istat, non spostano le previsioni dallo zero virgola…

Niente illusioni, dunque. La seconda metà del 2025 si prospetta peggiore della prima, che aveva fornito qua e là indicazioni sorprendenti autorizzando qualche timida speranza. Era stato così per il +0,3% del Pil del primo trimestre che aveva spinto il ministro Adolfo Urso addirittura a proclamare «l’arrivo della ripresa». Era stato così per la produzione industriale di aprile (+0,9% e fine del ciclo negativo di 26 mesi) che aveva portato qualche analista a parlare di «resilienza dell’industria italiana». Niente di tutto ciò. Il peggio non è ancora del tutto passato, la stabilizzazione della manifattura italiana è un obiettivo ancora da raggiungere e la causa-regina la si può sicuramente rintracciare nel clima internazionale condizionato dalle guerre commerciali e nelle incertezze legate all’escalation delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente.
Il dato che fotografa più di altri l’attuale situazione è quello, pubblicato giovedì scorso, della produzione industriale di maggio sceso dello 0,7%, un calo superiore alle previsioni visto che la survey di Lseg Datastream aveva previsto stabilità, Bloomberg aveva pronosticato -0,3% e Intesa Sanpaolo -0,5 per cento.

I casi Stellantis e Ilva…

Tutti i raggruppamenti industriali, ad eccezione dell’energia sono finiti in territorio negativo con i beni di consumo a -1,3%, i durevoli a -2,2% e i beni intermedi a -1%. Dimostrando così ex post che il risultato positivo di aprile (il +0,9% di cui abbiamo parlato) era causato da distorsioni statistiche legate al calcolo delle festività. Del resto, a proposito di industria, basta guardarsi attorno per incappare in casi clamorosi come Stellantis la cui produzione nei primi sei mesi dell’anno è scesa del 33,6% per le vetture e del 16,3% per i veicoli commerciali e Ilva, le cui vicissitudini non sono ancora terminate e rischia addirittura la chiusura. Non c’è da stupirsi, di conseguenza, se gli analisti prevedono un apporto nullo della manifattura al Pil nei mesi primaverili e addirittura un contributo negativo nella seconda parte dell’anno. Il 2025 dovrebbe essere il terzo anno consecutivo di contrazione della produzione industriale.





















































… e una previsione sul turismo

Sulle cause abbiamo parlato delle guerre commerciali e sicuramente la querelle sui dazi deprime le esportazioni che fino al quarto mese dell’anno erano ancora in positivo (+2,5%) per un probabile effetto di anticipo degli scambi in previsione dei dazi (che aveva generato effetti anche sulla produzione industriale). Ma va anche ricordato come si stia creando un combinato disposto tra guerra dei dazi e apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro e delle monete asiatiche. Le conseguenze sono che le nostre merci rischiano di essere doppiamente più costose negli States (al netto dei dazi almeno il 13% in più) e che il mercato italiano rischia a sua volta di essere invaso da quei prodotti cinesi che non approderanno più in America a causa dei dazi e potranno invece arrivare in Italia a sconto minando la competitività delle imprese italiane.
Qualcosa del genere riguarda anche il turismo: gli spostamenti interni all’Italia nei primi mesi dell’anno sono stati registrati in calo e la sensazione è che il trend continui anche per luglio e agosto, per l’estate i nostri connazionali trovano più conveniente investire su destinazioni estere a causa dell’euro forte e in compenso il turista americano si trova puntando sull’Italia davanti a un cambio sicuramente sfavorevole. È presto ovviamente per avere anche solo un primo bilancio della stagione ma il gioco delle monete può influenzare decisamente i numeri finali e nella sostanza limitare il contributo del turismo allo sviluppo.

 

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Risparmi e salari

Se la domanda estera non riesce più ad operare da driver per la crescita italiana altrettanto si può dire della domanda interna. Sempre giovedì l’Istat nella sua Nota sull’economia ha messo in fila come il reddito disponibile sia cresciuto, l’inflazione sia stabile sotto il 2%, come nel primo trimestre sia cresciuta la spesa delle famiglie per i consumi (+1,2%) e il mercato del lavoro sia solido con crescita degli occupati fissi e degli autonomi. Ma tutti questi elementi pur intrecciati tra loro non riescono a produrre un mercato interno vivace capace di alimentare la vendita di beni e far ripartire la manifattura. Il clima di fiducia dei consumatori è infatti sceso, è aumentata la propensione al risparmio (nell’ultimo mese c’è stata una crescita record dei depositi bancari), la questione salariale non è stata affrontata con la dovuta serietà, importanti contratti di lavoro — metalmeccanici in testa — non sono stati rinnovati ancora e il carrello della spesa viaggio a una velocità nettamente superiore (+3,1%) all’indice generale dell’inflazione.
Commenta Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi di Confindustria: «Non sarei così tranquillo nemmeno per quanto riguarda l’occupazione perché le nostre indagini ad hoc ci dicono che le imprese hanno tenuto dentro organici in più ma visto che la domanda non risale non potranno continuare per molto. E quindi l’occupazione nella seconda parte dell’anno potrà scendere».

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Concorrenza cinese e Pnrr

Le imprese temono poi la concorrenza cinese. Chiosa Fontana: «I cinesi hanno lavorato finora con prezzi gonfiati e quindi hanno ampia possibilità di ridurre i prezzi sacrificando i margini. Questo vale sicuramente per il settore dell’automotive ma anche, in misura minore, nel tessile-abbigliamento. E qualcosa del genere riguarda anche i macchinari».
Un fenomeno che potrà essere avvertito soprattutto in Toscana, dove la produzione italiana si è spostata sulla fascia più alta ma non ha incontrato finora la domanda. Del resto i miglioramenti del potere d’acquisto non si trasformano in consumi stabili e input alla crescita ma, come già detto, prevalentemente nell’aumento del risparmio causato dalla paura del futuro e dalle incertezze geopolitiche. «E questo non vale solo per i consumatori e piccoli investitori, anche le imprese aspettano — sottolinea Fontana —. La sensazione è che almeno l’80% delle aziende abbia sospeso gli investimenti in attesa di cosa può succedere». Infatti secondo le previsioni che circolano della ricca dote di Transizione 5.0 (6,3 miliardi) a fine anno ne saranno stati prenotati non più di 2,5. E quanto al Pnrr la considerazione che si può fare è che non si capisce più a che punto siamo e quanto possa contare il suo apporto al Pil del 2025, che a questo punto rimane nelle stime degli analisti ancorato a +0,6-0,7%. Non di più.

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