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Politica energetica: ancora sul “Piano Mattei”


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Matteo Leonardi – cofondatore e direttore di ECCO – il think tank italiano per il clima – ha relazionato nel Seminario Dall’energia al cuore di Enrico Mattei, una nuova energia per l’autosviluppo dell’Africa tenutosi il 12 giugno scorso alla Ambasciata Italiana preso la Santa Sede per la promozione del Movimento Laudato Si’ (video integrale dell’evento: qui). Su queste pagine abbiamo già pubblicato la relazione introduttiva, di carattere storico, di Tiziano Torresi.

È una organizzazione che si occupa di cambiamento climatico e transizione per favorire politiche che vadano ad incidere sulle cause dell’aumento delle temperature, per una progressiva e quanto più rapida riduzione della combustione dei fossili: carbone, gas e derivati del petrolio. ECCO è una organizzazione indipendente.

  • Cosa vuol dire indipendente, in questo caso?

Vuol dire che la nostra attività è sostenuta dalla generosità o dalla filantropia di chi ha a cuore il nostro tema, in Italia e nel mondo. In ECCO gli interessi dei privati sono pari a zero: non siamo i paladini neppure degli interessi delle aziende di produzione di energie rinnovabili, per intenderci. Siamo sostenuti, sia pure in minima misura, anche dai Governi, quindi da fonti pubbliche.

  • Da dove viene questo tuo impegno per l’ambiente?

Ci lavoro da almeno 25 anni, dalla laurea in Storia economica e un successivo master in Inghilterra in politiche energetiche e tecnologie per l’ambiente all’Imperial College. Ho collaborato con imprese ma anche con ministeri, a livello europeo e mondiale. Ho vissuto 5 anni in Africa. Ovunque mi sono sempre impegnato per il settore dell’energia, per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e per l’adeguamento delle legislazioni nazionali alla transizione energetica. ECCO è nata 4 anni fa, con me e con altri amici e amiche.

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  • Come sei stato chiamato a relazionare al Seminario dedicato alla figura di Enrico Mattei, in occasione del decimo anniversario dell’enciclica di papa Francesco Laudato si’?

ECCO collabora con tutti gli attori che fanno “pensiero” e sensibilizzazione sul tema della decarbonizzazione: tra questi, senz’altro il Movimento Laudato Si’. Per noi è un interlocutore importantissimo, capace di fare rete – nel mondo cattolico ma non solo – e quindi di attivare e mobilitare le coscienze in senso ambientale. Nel Seminario su Enrico Mattei sono stato invitato a portare la mia partnership tecnico-scientifica.

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  • Enrico Mattei è una figura importante per ECCO, per te, per il movimento ambientale?

Mattei è una figura imprescindibile, perché sta all’origine dell’industria energetica italiana a cui ha conferito una impostazione valoriale di cui ci avvaliamo tuttora: molto si è insistito, nel Seminario del 12 giugno, su questo aspetto che conferisce una grande attualità alla figura di Mattei.

  • Quali sono i valori dell’impostazione Mattei?

In breve: ha saputo coniugare – in visione futura – economia e valori, per il bene sia della popolazione italiana sia dei Paesi in via di sviluppo, dalla fine degli anni Cinquanta in poi.

L’intuizione che costituisce a tutt’oggi il valore fondamentale di riferimento di Mattei, è che l’accesso all’energia, a prezzi sostenibili è la premessa del libero e democratico sviluppo economico dei popoli, nella cooperazione e nella pace. L’accesso all’energia per tutti, infatti, è la condizione dell’indipendenza dei popoli e delle nazioni nel mondo contemporaneo; altrimenti c’è dipendenza, colonialismo, sottomissione, autoritarismo… degli uni sugli altri.

Basta guardare alla nostra storia: Mattei aveva ragione.

  • Quindi, per l’oggi, cosa significa Mattei?

La nostra inferenza è la seguente: oggi Mattei non si occuperebbe più di «oil and gas», ossia di fossili, bensì di energie rinnovabili. Può apparire una affermazione arbitraria, ma non lo è, perché consegue allo studio dei suoi testi e dei suoi discorsi: perché è del tutto logico. Innovazione, cambiamento, strategie industriali di lungo periodo, uscita dagli schemi precostituiti, rivoluzione pacifica e diplomazia nei rapporti di forza tra gli Stati… sono tutte le cose di cui parlava Mattei e che portano oggi a queste nostre conclusioni e sollecitazioni.

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  • Quali conclusioni hai portato all’attenzione dei partecipanti al Seminario nella autorevole sede della Ambasciata Italiana presso la Santa Sede?

Siamo ancora troppo ingabbiati nelle relazioni di potere che Mattei denunciava e affrontava quasi settant’anni fa: ho portato la mia sollecitazione per ciò che va oltre tutto ciò, col coraggio di cambiare, di innovare, di andare fuori dagli schemi tradizionali – davvero fossili – per uscire definitivamente dalla produzione di energia dal fossile.

  • Il contesto è molto diverso rispetto a settanta anni fa…

Sì certo, ma per ragioni che rafforzano il nostro impegno, che resta innestato nella visione di Mattei. Cito, in particolare, due elementi decisivi: innanzi tutto oggi abbiamo una evidente consapevolezza dell’impatto ambientale e climatico derivante dall’uso dei combustibili fossili; oggi, però, in fatto di energia, l’Italia non agisce più come Italia soltanto, ma come Europa.

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E l’Europa una strada, secondo il pensiero di Mattei, già ce l’ha, ed è il Green Deal, perché questo grande progetto europeo contiene l’aspirazione alla indipendenza energetica suggerita da Mattei al nostro Paese e al nostro continente, e prefigura l’emancipazione dalla economia fossile.

Tutti i capitoli del Green Deal – che abbiamo studiato – nonostante qualche criticità, vanno nel verso della transizione e della sostituzione del fossile con fonti rinnovabili: fotovoltaico, eolico, idroelettrico ecc. Solo per questa strada l’Europa può coltivare la propria indipendenza dai poteri più forti nel mondo, garantire la propria libertà e la propria sicurezza, segnando e trasformando in maniera significativa anche la geo-politica mondiale. Mentre la perpetuazione della politica del fossile significa prolungamento dei soliti rapporti di forza.

Il Green Deal ha una sua concreta dimensione industriale: una strategia industriale europea per l’emancipazione dalle dipendenze, in un nuovo quadro geopolitico di rapporti di collaborazione. Il Green Deal non è un progetto campato per aria, come qualcuno sostiene. Non è vero che col Green Deal si vogliono sostituire alle vecchie dipendenze fossili nuove dipendenze tecnologiche.

Al contrario il Green Deal è una strategia per affrontare la sfida europea di rimanere attore centrale dello scenario globale, anche dal punto di vista industriale. Pone al centro l’indipendenza energetica europea sulle rinnovabili, la strategia industriale, la capacità di attirare investimenti e la diplomazia al centro delle relazioni internazionali. Ne parliamo nel nostro lavoro.

  • Che cosa significa questo, soprattutto rispetto ai «Paesi in via di sviluppo»?

L’attuazione del Green Deal comporta – ma anche il «Rapporto Draghi» conferma – la necessità di nuove relazioni commerciali soprattutto con quei Paesi che consegnano ai nostri Paesi europei una parte della catena del valore in beni rinnovabili: pannelli fotovoltaici, batterie, pale eoliche, auto elettriche ecc.: le soluzioni eque – a cui pensava Mattei – si possono trovare. Tutto il contrario – in fatto di rapporti commerciali equi – è quanto sta elaborando l’attuale amministrazione degli Stati Uniti con la sua «guerra», combattuta a colpi di dazi imposti unilateralmente a seconda dell’interesse specifico.

Green Deal non vuol dire solo decarbonizzazione, ma vuol dire, insieme, nuova industria e commercio, in un disegno in cui l’Europa persegue le proprie autentiche convenienze e le proprie autentiche sicurezze.

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  • Questa è la buona, auspicata, politica. Ma la grande finanza lo vuole?

La finanza ha certamente un ruolo importante. È legittima la domanda: su cosa si va e si andrà ad investire? Penso, in questo momento, alle grandi risorse di cui dispone la finanza americana: continuerà ad investire sull’estrazione dei fossili in giro per il mondo, oppure investirà sulle energie alternative del futuro?

Certo, ci sono gruppi che stanno investendo ancora sui fossili per ottenere ritorni finanziari di breve periodo. Ma io penso che la prospettiva, anche in termini di sostenibilità economica, non sia quella di continuare in questo modo, perché non si risolve il problema dei cambiamenti climatici ignorandolo.

E, allora, ecco che il mercato europeo – caratterizzato nei prossimi anni dal Green Deal – potrà essere il vero mercato in cui convenientemente investire. Io sono fiducioso che le cose possano andare in tal senso, se viene mantenuta una ferma volontà politica e sociale. Oggi l’Europa è in grado di mostrare agli investitori globali uno spazio sicuro dove investire, contrariamente alle incertezze del mercato statunitense che si ritira dalla sfida della transizione energetica e si rifugia nel protezionismo dei dazi.

  • Quale sarà la parte della diplomazia?

Come ho fatto nel Seminario, sto tracciando, anche qui, un disegno attorno a quattro punti fondamentali, «a specchio» del disegno tracciato da Mattei: dopo la voce energia, la voce industria e la voce finanza, c’è la voce diplomazia. Il Green Deal è la grande opportunità che si dà l’Europa di costruire nuove relazioni commerciali e diplomatiche, non fondate più su relazioni di forza, bensì di rispetto e di cooperazione, sia con le potenze mondiali, sia con i Paesi più poveri o in via di sviluppo. Mattei insegna.

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  • Parlaci un po’ dei Paesi africani – citati nel titolo del Seminario – che peraltro tu conosci direttamente: per questi Paesi petrolio e gas sono una «benedizione» o una «maledizione»?

Parlo innanzi tutto di una doppia maledizione. Tutti conosciamo la prima: quella di non aver portato – col petrolio e col gas – sviluppo a questi Paesi. La seconda maledizione è quella a cui questi Paesi – specie alcuni – andranno presto incontro, se non si farà nulla per evitarla. Il cielo, chiaramente, non c’entra: sono le volontà umane. Faccio riferimento ai benefici, per quanto insufficienti, derivanti a questi Paesi dalle royalties della estrazione delle risorse fossili. La transizione energetica determinerà una riduzione progressiva – e quindi un azzeramento – anche di questi parziali benefici. Il mercato europeo sta già importando meno e quindi sta già pagando meno, perché il consumo dei fossili si sta riducendo. È questo uno dei grandi nodi da affrontare e da sciogliere da parte della politica europea: non possiamo far ricadere su di loro una seconda maledizione dopo aver procurato la prima.

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Penso che l’Europa abbia la responsabilità e il compito di condividere – da subito – i nuovi prodotti delle tecnologie rinnovabili, per consentire a questi Paesi il loro libero accesso all’energia, il loro loro sviluppo sostenibile. Non c’è altro modo.

  • Quindi, sino ad ora, i Paesi occidentali cosa hanno fatto per i Paesi africani?

Sgombriamo il campo da una certa retorica buonista: non è affatto vero che «noi» siamo presenti in Mozambico o in Nigeria perché il gas e il petrolio servono a «loro». Quindi non siamo là per aiutarli nel loro sviluppo. Gas e petrolio sono stati estratti in Mozambico e Nigeria e poi portati a casa nostra, o in altre parti nel mondo. Ciò non toglie che sia stato fatto qualche piccolo, legittimo, regalo di qualche centrale a gas presso i giacimenti: ma non è questo il punto.

Si tratta di rivedere radicalmente questo approccio, proprio secondo la visione di Mattei. Questo non vuol dire neppure più aiutare a costruire la rete di distribuzione del gas perché arrivi in ogni città e in ogni villaggio dell’Africa: reti che sono ormai obsolete e in via di superamento qui in Europa. Significa consentire loro di fare un unico salto di qualità nell’accesso capillare all’energia, grazie alle nuove tecnologie che permettono, oggi, ad esempio, di produrre energia elettrica da fonti rinnovabili in ogni dove – anche nei villaggi più sperduti – contribuendo così ad arrestare il loro spopolamento e l’esodo verso le città.

  • Il Piano Mattei del Governo Meloni va precisamente in questa direzione?

Lo vedremo. Auspico fortemente che, al di sotto delle belle e giuste parole, non si voglia nascondere la solita logica «oil and gas» o che si vogliano spacciare all’Africa tecnologie che non sono significative per la decarbonizzazione, oltre che di dubbio impatto sociale: faccio qui riferimento alla produzione dei biocombustibili.

Costruire il Piano Mattei è cosa complessa: serve molto più di quanto sia stato sinora dichiarato: serve introdurre, come detto, una seria capacità industriale italiana ed europea, che ancora non si vede; serve mettere a sistema la finanza italiana ed europea, ad esempio attraverso le agenzie che fanno capo alla Cassa Depositi e Prestiti, in maniera coerente col pensiero del Green Deal.

Dovrebbe risultare chiaro a tutti gli interlocutori del Piano Mattei: i Paesi europei finanziano solo progetti di transizione energetica. Solo questo significa il Piano Mattei.

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  • Senza citare l’ENI – la creatura di Mattei – vi hai fatto qui spesso riferimento. L’ENI è rimasta in linea con Mattei?

Corre il rischio di non esserlo più. Il credito sociale che ENI ha giustamente guadagnato nel mondo – con Mattei – rischia di andare perduto. L’ENI di Mattei ha portato l’energia nell’Italia del dopoguerra e ha determinato l’indipendenza e lo sviluppo nel nostro Paese; nel mentre, ha costruito eccellenti relazioni geopolitiche. È questo il credito di cui parlo.

Si può discutere se già l’ENI di Mattei abbia, in qualche modo, sostituito o integrato lo Stato italiano, già da allora. Ma sicuramente ha lavorato per l’interesse comune degli italiani, per un bene collettivo. Ora l’ENI è una società per azioni partecipata dallo Stato italiano. È cambiata la configurazione. È ancora in grado – in questa veste – di curare l’interesse collettivo degli italiani? È ancora in grado di esercitare la responsabilità collettiva dell’impresa? Siamo sicuri che l’interesse collettivo sia ancora prevalente rispetto agli interessi particolari degli azionisti?

Me lo chiedo, soprattutto ora, mentre l’ENI si trova di fronte a una sfida e a scelte che mettono radicalmente in discussione le sue origini industriali, dal petrolio e dal gas.

  • Come valutare la politica industriale di ENI?

Ad esempio, da un «piano di transizione» energetica, che non ho mai visto; mentre sento dire dal suo CEO che l’auto elettrica non va bene: quando dice questo, parla per la collettività o parla per difendere il «suo» interesse di produttore di benzine per i motori a combustione?

  • Green Deal e ReArm Europe – per meglio preparaci alle guerre – come possono stare insieme?

Le guerre non dovrebbero semplicemente esistere: è nelle facoltà degli umani evitarle. Non mi sta bene mettere in contraddizione e in alternativa le due cose. I cambiamenti climatici avanzano e non stanno certo ad aspettare che noi umani risolviamo i nostri conflitti bellici provocati, in buona misura, proprio dal controllo della energia e dalla mancata indipendenza energetica dei popoli.

Il motivo della guerra e delle guerre non può e non deve risultare ostativo al processo della decarbonizzazione. Ne va del futuro di tutti. Basta usare un poco il cervello. Non si deve neppure dare una giustificazione per ragione di soldi, per cui se i soldi vanno da una parte, non ci sono soldi per l’altra. La ricchezza c’è. I soldi ci sono, ma purtroppo sono molto mal distribuiti. È giunto il momento di una volontà sociale e politica globale per indirizzare la ricchezza nell’unica cosa che conta per tutta l’umanità: l’ambiente in cui si dà la vita.

Certo, il clima – in tutti i sensi – non è dei migliori, ma è ben per questo che non possiamo rinunciare a nulla dell’orizzonte che qui abbiamo un poco descritto. Anche questo ci ha insegnato Mattei: a non rinunciare a guardare all’orizzonte di senso.

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