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Private equity italiano, il primo semestre è da record


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Deloitte Private: chiusi 249 deal. E l’86% degli investitori è ottimista per la seconda metà dell’anno. Cresce il ricorso al private credit. ESG, AI e Pnrr al centro

Semestre d’oro per il private equity italiano. Il periodo gennaio-giugno si è chiuso con 249 deal, il numero più elevato mai registrato nei primi sei mesi di un anno, che lascia bene sperare anche per la seconda metà del 2025. L’86% degli investitori prevede infatti un contesto economico stabile o in miglioramento e l’88% si aspetta che il numero di operazioni resti uguale o aumenti. È quanto emerge dalla Private equity survey, condotta da Deloitte Private in collaborazione con Aifi, l’associazione nazionale del settore, e l’Osservatorio PEM della Liuc Business School.

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Il contesto internazionale lima l’ottimismo: 221 i deal attesi

Stando alla ricerca, nel secondo semestre il sentiment degli operatori risulta un po’ meno positivo rispetto all’inizio dell’anno, a causa del perdurare dell’instabilità geopolitica e delle incertezze  macro. Oltre il 90% prevede effetti negativi dai conflitti internazionali in corso, rivelando una forte attenzione del private equity ai rischi geopolitici. Nonostante questo, circa il 70% ritiene che le attuali politiche monetarie espansive possano avere un’influenza favorevole nel corso dei prossimi dodici mesi. Permane inoltre una preferenza per il ricorso al credito bancario per finanziare le operazioni, anche se si osserva una progressiva apertura verso i fondi di private credit. Da qui a fine anno, Deloitte Private prevede 221 operazioni, con l’86% degli operatori si aspetta un miglioramento o una stabilizzazione del quadro economico italiano. Quanto al valore medio dei deal attesi, cala l’interesse per quelli compresi tra 31 e 50 milioni di euro (16,1%, in flessione di 12,8 punti percentuali rispetto al semestre precedente), mentre cresce l’attenzione per le fasce da 16 a 30 milioni (30,4%) e da 51 a 100 milioni (26,8%).

Operatori più selettivi
Elio Milantoni, senior partner M&A di Deloitte
Elio Milantoni, senior partner M&A di Deloitte

“Le attuali tensioni e incertezze sul piano internazionale continuano a influenzare le aspettative degli operatori, rendendo il contesto più impegnativo. Allo stesso tempo, però, le attuali condizioni monetarie favorevoli e il supporto dei programmi europei come il Pnrr e il Next Generation EU stanno creando spazi di manovra per nuovi investimenti e strategie di crescita”, spiega Elio Milantoni, senior partner M&A di Deloitte. Per l’esperto, in questo scenario complesso, il private equity italiano sta diventando più selettivo, “privilegiando imprese resilienti e aperte all’innovazione, con una crescente attenzione a tecnologie come l’intelligenza artificiale, ormai elemento chiave nelle scelte strategiche degli investitori”.

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ESG, intelligenza artificiale e Pnrr al centro

L’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance nei processi di investimento si conferma una prassi ben radicata e coinvolge sia la fase iniziale di valutazione che quella di gestione delle partecipate. Circa un quarto degli operatori (23,1%) dichiara di monitorare il rispetto di standard ESG minimi già durante la due diligence, e una percentuale analoga si concentra sull’implementazione di politiche sostenibili nelle società in portafoglio. Inoltre, il 17,7% degli intervistati prende in considerazione tali criteri come leva per la creazione di valore durante l’analisi preliminare. Sempre più rilevante nella selezione dei target sta diventando poi l’intelligenza artificiale: l’84% la include nel processo di valutazione, con il 21,4% che la considera un driver chiave nelle decisioni. La maggioranza (62,5%) ne riconosce comunque l’importanza, pur mantenendola in secondo piano rispetto ai parametri tradizionali.

Quanto all’utilizzo delle risorse derivanti da Next Generation EU e Pnrr, il 57,1% prevede di applicarle a una porzione contenuta (fino al 25%) del portafoglio nel semestre in corso, in calo rispetto alla rilevazione precedente (–12,1%). Parallelamente, aumenta la quota di chi intende sfruttare questi fondi per una fetta più ampia di società, tra il 26% e il 50% (14,3%, +8,5%). Solo l’1,8% prevede di utilizzarli in misura superiore alla metà delle partecipate, mentre il 26,8% non ha in programma di ricorrere a tali strumenti.

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I settori protagonisti del secondo semestre

Passando ai settori, anche nel secondo semestre il manifatturiero resterà il comparto prioritario per gli investimenti, con un aumento delle preferenze che lo porta al 23,8%, in crescita di 2,7 punti percentuali. Segue il food & beverage, che si attesta al 14% nonostante una lieve flessione (-2,3%). In crescita il comparto life sciences & healthcare, che raggiunge il 12,8% (+0,6%), mentre l’interesse per il settore ICT registra una contrazione, scendendo all’11,6% (-2,0%). Bene il terziario, che evidenzia un miglioramento delle aspettative salendo al 9,1% (+3,7%), mentre pharma e consumer goods risultano meno attrattivi in questa fase: entrambi si attestano al 7,9%, con cali rispettivi di 2,3 e 3,6 punti percentuali.

Nord sempre in vetta, ma crescono il Centro e l’estero

A livello geografico, nonostante una contrazione complessiva di 8,5 punti percentuali, la maggior parte delle operazioni concluse negli ultimi sei mesi ha avuto luogo nel Nord Italia, che si conferma l’area più attiva con l’85,7% del totale, equamente suddiviso tra Nord Ovest e Nord Est (42,9% ciascuno). Il Centro mostra un incremento di attenzione, salendo al 7,1% delle operazioni concluse (+3,3%), mentre il Sud mantiene una posizione stabile con una quota pari all’1,8%. Cresce anche l’interesse per le operazioni oltreconfine, che raggiungono il 5,4% del totale.

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Il private credit guadagna terreno

Se il ricorso alle banche commerciali resta la modalità di finanziamento più diffusa per le operazioni di acquisizione (53,6%), è da segnalare una flessione rilevante rispetto al semestre precedente (–21,4%). Al contrario, guadagna terreno il private credit, scelto dal 28,6% degli operatori (+17%), segnalando una crescente apertura verso fonti alternative di finanziamento. Per quanto riguarda le dimensioni delle operazioni previste, prevale un orientamento verso deal di taglio più contenuto. Le transazioni comprese tra i 16 e i 30 milioni di euro crescono sensibilmente, raggiungendo il 30,4% (+9,2%), mentre a quota di quelle oltre i 31 milioni scende al 44,6% (–16,9%). In aumento anche le più piccole, sotto i 15 milioni, che salgono al 25% del totale (+7,7%). 

Cala l’interesse per le operazioni di minoranza  

Le previsioni sul valore dei portafogli continuano a essere positive. Sale leggermente la quota di chi si aspetta un aumento, ora al 69,6% (+2,3%), mentre cala al 28,6% quella di chi prevede una situazione stabile (-2,2%). Si registra poi una lieve diminuzione anche tra coloro che ipotizzano una flessione, dall’1,9% all’1,8%. Le previsioni sulla composizione dei portafogli indicano un calo dell’interesse per le operazioni di minoranza, che scendono al 14,3% (-6,9%), a favore di quelle di maggioranza, che si confermano nettamente preferite, salendo all’83,9% (+7%). Praticamente invariato all’1,9% (-0,1%) l’interesse per i co-investimenti. Infine, in linea con la precedente edizione della survey, gli operatori mostrano aspettative stabili in termini di volume di investimenti: oltre la metà (53,6%) prevede un numero di deal invariato, il 33,9% si attende una crescita, mentre solo il 12,5% ipotizza una riduzione. Anche sul fronte dei disinvestimenti le previsioni sono cautamente positive: solo una minoranza, pari all’8,9%, stima una contrazione, in lieve aumento rispetto al semestre precedente (+1,2%).

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