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Gigafactory dell’AI: la nuova corsa europea per la sovranità digitale


L’Unione Europea ha registrato un interesse oltre ogni aspettativa per la creazione di gigafactory di AI sul proprio territorio. Alla chiusura dell’invito a manifestare interesse lanciato dalla Commissione – il 20 giugno 2025 – sono pervenute 76 proposte da consorzi industriali e istituzionali, distribuite su 60 siti in 16 Stati membri. Questo primo passo ha superato le attese, testimoniando il forte slancio con cui l’Europa vuole dotarsi di infrastrutture AI di nuova generazione e affermarsi come leader globale nell’intelligenza artificiale.

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gigafactory AI
Henna Virkkunen

“L’interesse dimostrato conferma il diffuso entusiasmo per l’AI in tutta Europa, ha dichiarato Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva della Commissione UE, ma anche l’ambizione di posizionare l’Europa come potenza globale dell’AI”. Le manifestazioni di interesse – sebbene non vincolanti – guideranno ora Bruxelles nell’individuare una rosa di candidati per ospitare le prime gigafactory europee, con un bando ufficiale previsto entro fine 2025 in collaborazione con la Joint Undertaking EuroHPC. L’obiettivo iniziale è attivare quattro o cinque impianti su scala continentale, vere fabbriche computazionali destinate all’addestramento di modelli AI avanzati e al supporto di applicazioni strategiche (sanità, climatologia, difesa, manifattura, ecc.).

Cosa sono le gigafactory AI

Le AI gigafactory rappresentano un salto di scala nelle capacità digitali europee. Si tratta di mega-centri di calcolo e archiviazione dati progettati specificamente per sviluppare, addestrare e distribuire modelli di intelligenza artificiale di prossima generazione su scala iper-massiccia. In pratica, sono l’evoluzione dell’iniziativa “AI Factories” dell’UE, basata sulla rete di supercomputer EuroHPC, ma potenziate fino a diventare i “CERN dell’AI” per dimensioni e ambizione. Ogni gigafactory integrerà:

  • Enorme potenza di calcolo: cluster con decine di migliaia di processori AI avanzati (GPU di ultima generazione), con i progetti che collettivamente prevedono l’acquisizione di oltre 3 milioni di GPU. Si stima che ciascun sito necessiterà di almeno 100mila chip acceleratori specializzati, definendo un nuovo standard industriale.
  • Data center sostenibili ed efficienti: infrastrutture concepite per massimizzare l’efficienza energetica e idrica, minimizzando l’impatto ambientale attraverso soluzioni di green IT (raffreddamento avanzato, fonti rinnovabili, economia circolare).
  • Automazione AI-driven: sistemi di orchestrazione e gestione automatizzata basati sull’AI stessa, per ottimizzare i carichi di lavoro e garantire sicurezza, affidabilità e conformità alle norme europee durante l’addestramento e l’inferenza dei modelli.

Lo scopo dichiarato è fare dell’Europa un punto di riferimento mondiale nell’innovazione AI, mettendo in rete grandi capacità computazionali all’interno dei propri confini e rafforzando l’autonomia digitale e industriale del continente. Queste fabbriche di algoritmi permetteranno di addestrare modelli di scala inedita – si pensa a reti neurali con centinaia di trilioni di parametri – accelerando progressi in campi cruciali come la medicina personalizzata, la modellazione climatica, la cybersecurity e l’automazione avanzata.

Le principali iniziative nei diversi Stati membri

Molte delle 76 candidature restano riservate, ma emergono già alcune iniziative chiave in vari Paesi UE, sintomo di un fermento industriale paneuropeo:

  • Germania: un consorzio guidato da Deutsche Telekom, SAP, Ionos (cloud provider) e dal gigante retail Schwarz Group ha annunciato pubblicamente la propria candidatura congiunta, puntando a realizzare una gigafactory in territorio tedesco. Sostenuto trasversalmente dal governo federale, il progetto mira a insediare a Berlino uno dei primi hub europei di calcolo AI, in linea con l’impegno di coalizione di avere almeno un centro AI di livello continentale in Germania. La finestra di opportunità per costruire un’infrastruttura indipendente è adesso”, ha sottolineato Christine Knackfuss-Nicolic, CTO di T-Systems (Deutsche Telekom), evidenziando la determinazione dell’industria tedesca a giocare un ruolo di guida in questa sfida.
  • Francia: oltralpe si registra un forte attivismo sia pubblico sia privato. Il consorzio coordinato dall’agenzia HPC GENCI si è aggiudicato un progetto “AI Factory” nazionale integrato con EuroHPC (AI2F), basato sui supercomputer esistenti Jean Zay, Adastra, Joliot-Curie e sul futuro exascale “Alice” atteso per il 2026. In parallelo, il venture franco-emiratino MGX insieme a Nvidia e startup locali (ad es. Mistral AI) ha annunciato piani per realizzare entro il 2028 un mega data center AI vicino Parigi, con potenza fino a 1,4 GW – potenzialmente il più grande campus computazionale d’Europa per l’AI. Questa struttura privata, sostenuta anche dalla banca pubblica Bpifrance, punta a sfruttare l’energia nucleare francese a basso carbonio per offrire oltre 1 gigawatt di capacità dedicata all’AI, segnando la volontà della Francia di attrarre investimenti e talenti globali sul proprio suolo.
  • Italia: il nostro Paese vanta già uno dei supercomputer più potenti d’Europa, Leonardo (CINECA) inaugurato a Bologna nel 2022, e appare intenzionato a giocare le proprie carte nella partita delle gigafactory. Il consorzio Italia Cloud ha lanciato un appello al governo perché sostenga con urgenza la realizzazione di un centro di calcolo AI nazionale per tutelare la sovranità digitale italiana. È verosimile che almeno una proposta tra le 76 pervenute riguardi un potenziamento del Tecnopolo di Bologna – già hub HPC europeo – o altre sedi italiane, così da mettere a fattor comune l’esperienza maturata con Leonardo e aprire l’accesso alle PMI e ai ricercatori italiani a risorse di calcolo AI di livello mondiale.
  • Altri Paesi UE: il desiderio di ospitare gigafabbriche AI è diffuso in tutta l’Unione. Tra le manifestazioni di interesse figurano proposte da Spagna (che dispone del supercomputer MareNostrum a Barcellona), Finlandia (dove opera LUMI, HPC tra i più performanti al mondo), nonché da Stati dell’Est come Polonia, Bulgaria e Slovenia, che vedono in queste infrastrutture un volano per innovazione locale. Già nel 2024 sono stati selezionati diversi siti per costituire una rete di “AI factories” minori, propedeutiche alle gigafactory: ad esempio Sofia in Bulgaria (progetto BRAIN++) focalizzato su modelli in lingua bulgara, Lubiana in Slovenia (SLAIF) per servizi pubblici ottimizzati da AI, Varsavia in Polonia (PIAST) per applicazioni dall’aerospazio alle life science. Questo scenario conferma un ampio coinvolgimento geografico: l’ecosistema AI europeo in fieri non ruoterà solo attorno ai soliti noti (Francia-Germania), ma potrà avere nodi distribuiti in molti Stati membri, ciascuno specializzato su settori chiave e integrato nella rete continentale.

Sovranità tecnologica e indipendenza da Usa e Cina: la posta in gioco

Dietro la corsa alle gigafactory dell’AI c’è una chiara visione strategica dell’UE. Bruxelles intende assicurarsi che l’Europa non dipenda più in modo critico da fornitori e infrastrutture extraeuropee – né dagli Stati Uniti né dalla Cina – per le tecnologie emergenti.

 

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Oggi, infatti, il panorama AI è dominato da attori stranieri: i grandi cloud provider Usa (Microsoft Azure, Amazon AWS, Google) erogano la maggior parte della potenza computazionale per l’addestramento di AI avanzata, mentre la filiera globale dei chip vede uno strapotere di aziende come Nvidia (americana, ~90% del mercato GPU per AI) e fonderie asiatiche come TSMC. Questo status quo genera dipendenze rischiose: “Le gigafactory rappresentano una risposta diretta alla crescente dipendenza dai cloud hyperscaler statunitensi e dalla filiera dei chip dominata da Nvidia e TSMC, osserva l’analista Maurizio Carmignani. In altre parole, l’Europa vuole costruire infrastrutture AI integrate pubblico-privato” sul proprio suolo, per offrire capacità di calcolo d’avanguardia in maniera sovrana e resiliente.

L’indipendenza tecnologica è diventata una priorità politica di primo piano: la Commissione ha esplicitamente legato le gigafactory agli obiettivi di autonomia strategica e competitività dell’UE nei settori critici. Investire in questi “maxi-stabilimenti” dell’AI significa non solo ridurre il divario accumulato rispetto a Stati Uniti e Cina nello sviluppo di grandi modelli, ma anche offrire alle imprese europee un’infrastruttura locale dove innovare senza doversi appoggiare a piattaforme estere. Ciò aumenterebbe l’attrattività dell’Europa per gli investitori high-tech globali: non a caso la Commissione, tramite l’iniziativa InvestAI, conta di mobilitare 200 miliardi di euro di investimenti in infrastrutture AI, combinando un nuovo fondo europeo da 20 miliardi per co-finanziare fino a 5 Gigafactory con capitali privati e della BEI. L’obiettivo è creare un effetto leva importante: far affluire in Europa grandi finanziamenti internazionali che oggi si dirigono altrove, catalizzandoli su progetti di punta nel nostro continente. Se queste iniziative avranno successo, l’UE potrebbe veder nascere attorno alle Gigafactory veri hub di innovazione dove grandi player industriali, startup e centri di ricerca collaborino, generando nuovi ecosistemi locali e posti di lavoro altamente qualificati. La ricaduta occupazionale, infatti, si preannuncia rilevante: serviranno migliaia di ingegneri, tecnici IT, esperti di gestione data center, con competenze che spazieranno dall’AI engineering alla sostenibilità energetica, offrendo opportunità in regioni spesso lontane dalle attuali concentrazioni tech.

Sfide geopolitiche, industriali ed energetiche

Non mancano però sfide complesse lungo la strada. La costruzione di AI Gigafactory comporta criticità geopolitiche e operative che l’Europa dovrà saper gestire con visione e pragmatismo:

  • Dipendenza dai chip avanzati: l’ostacolo forse maggiore è l’accesso ai componenti hardware di ultima generazione. Oggi l’Europa non produce in casa GPU o ASIC AI al livello di Nvidia – fornitore quasi monopolista – e deve importare questi chip, principalmente dagli USA o da Taiwan. Questo espone a rischi di approvvigionamento e controllo esterno. Le recenti restrizioni all’export di semiconduttori imposte dagli Stati Uniti verso la Cina e la corsa globale alle GPU (con domanda alle stelle da parte di Big Tech e governi) creano incertezza sulla disponibilità e sui tempi di consegna di milioni di processori necessari. L’UE dovrà affrontare tale scenario valutando anche soluzioni alternative: investire in chip “open source” (architetture RISC-V) meno vincolati da brevetti USA, oppure sostenere lo sviluppo di tecnologie europee autoctone (ad es. acceleratori AI prodotti da startup UE). Inoltre, è in cantiere una revisione del Chips Act nel 2026 per potenziare la capacità europea di progettare e produrre semiconduttori avanzati per l’AI. Senza una filiera chip più autonoma, le gigafactory rischiano di rimanere dipendenti da forniture straniere – il che vanificherebbe in parte l’obiettivo di sovranità.
  • Costi colossali e finanziamento: allestire una gigafactory richiede investimenti enormi. Ogni impianto necessita infatti di circa 100mila GPU il cui costo unitario si aggira sui 40mila euro; il solo hardware, quindi, vale 4-5 miliardi di euro per sito. A ciò si aggiungono i costi per le infrastrutture (edifici, impianti elettrici e di raffreddamento), per il personale altamente qualificato e per la manutenzione continua. Mettendo insieme queste voci, il conto economico di una gigafactory può facilmente superare i 10 miliardi di euro complessivi nel ciclo di vita. Si tratta di cifre da capogiro, che solo partnership pubblico-private possono sostenere. L’UE intende coprire parte con grant e garanzie (i citati 20 miliardi del fondo InvestAI) ma serve l’intervento deciso di investitori privati e fondi sovrani. Mitigare il rischio di un investimento così grande – soggetto, peraltro, a rapida obsolescenza tecnologica – sarà cruciale: si parla di modelli di business innovativi, consorzi multi-attore e condivisione paneuropea delle risorse per evitare duplicazioni e fallimenti isolati.
  • Consumo energetico e sostenibilità: alimentare data center di dimensioni giganti pone una sfida energetica formidabile. Ogni gigafactory potrebbe richiedere decine di Megawatt di potenza continua – l’equivalente di una piccola città – per far funzionare milioni di core in parallelo e i sistemi di raffreddamento. L’energia diventa quindi un “costo vivo” notevole e un potenziale collo di bottiglia se non gestita adeguatamente. Sarà necessario sviluppare in parallelo progetti di fornitura da fonti rinnovabili dedicate, impianti fotovoltaici o eolici in sito, nonché ottimizzare ogni aspetto per la massima efficienza energetica. La Commissione stessa riconosce che la sostenibilità ambientale va integrata a monte: i progetti dovranno rispettare criteri stringenti di efficienza e circolarità nell’uso delle risorse, beneficiando in cambio di autorizzazioni semplificate e supporto pubblico nel quadro normativo UE. In prospettiva, l’impegno è di triplicare la capacità dei data center europei nei prossimi 5-7 anni e di portarla entro il 2035 a un livello sufficiente a soddisfare la domanda interna, senza però compromettere gli obiettivi climatici. Ciò implica una trasformazione green dell’infrastruttura digitale: le gigafactory dovranno essere modelli di data center carbon-neutral, pena trasformare l’AI da motore di sviluppo a fonte di emissioni incontrollate.
  • Coordinamento politico e tempi di realizzazione: infine, vi è la sfida organizzativa. Avviare più gigafactory simultaneamente attraverso l’Europa richiede un coordinamento inedito tra Commissione, governi nazionali e partner industriali. Sarà fondamentale snellire le procedure autorizzative (urbanistiche, ambientali, di sicurezza) per cantierare le opere in tempi brevi – l’UE promette di “tagliare la burocrazia” in questo campo. Inoltre, la partita geopolitica in senso lato si gioca anche sul fronte regolamentare: parallelamente alle gigafactory, l’Europa sta definendo l’AI Act e un Codice di condotta per l’AI generativa, nel tentativo di costruire un ecosistema di fiducia attorno a queste tecnologie. Tenere insieme innovazione rapida e tutela dei valori (privacy, etica, sicurezza) sarà un delicato esercizio di equilibrio. Il rischio, altrimenti, è di avere infrastrutture potenti ma non utilizzabili appieno a causa di vincoli normativi – o viceversa di vedere frenate sul nascere start-up e sperimentazioni per eccesso di cautela. È dunque un progetto sistemico: servono visione industriale e allo stesso tempo capacità di affrontare la “realtà operativa” fatta di costi, forniture e governance, come sottolinea ancora Carmignani. Il successo dipenderà da come verranno costruiti i partenariati pubblico-privati, quali modelli di gestione verranno scelti e in che modo l’Europa saprà coniugare sovranità digitale, sostenibilità e innovazione aperta nel concreto.

Futuro prossimo: il ruolo dell’Europa nell’AI da qui al 2030

Con la messa in opera delle gigafactory dell’AI, l’Unione Europea mira a un cambio di passo storico che potrebbe ridefinire il suo ruolo nel panorama tecnologico mondiale entro il 2030. “Troppo spesso sento dire che l’Europa è in ritardo nella corsa rispetto a Stati Uniti e Cina. Non sono d’accordo, perché la gara dell’AI è ben lungi dall’essere finita: siamo solo all’inizio. La leadership globale è ancora alla portata”, ha affermato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Parole che riflettono un ritrovato ottimismo: l’Europa vede nell’AI un settore dove può ancora colmare il gap e persino eccellere, puntando sui propri punti di forza. “Invece di inseguire gli altri, dovremmo investire in ciò che sappiamo fare meglio, costruendo qui in Europa le nostre eccellenze… C’è un marchio europeo distintivo nell’AI, che sta già guidando innovazione e sta acquistando velocità. Questa “via europea all’AI” combina la ricerca scientifica di punta (dove l’Europa vanta tradizioni importanti) con valori come etica, inclusività e affidabilità. Non a caso von der Leyen ha evocato l’analogia con una grande infrastruttura scientifica condivisa: “Vogliamo replicare il successo del CERN di Ginevra… Vogliamo che lo stesso accada nella nostra Gigafactory dell’AI”. L’auspicio è che entro fine decennio le gigafactory diventino per l’AI ciò che il CERN è stato per la fisica: hub dove i migliori talenti mondiali collaborano su progetti ambiziosi, alimentando scoperte e innovazioni a catena.

Guardando al 2030, si delineano dunque alcuni scenari. In uno scenario favorevole, l’Europa grazie alle gigafactory avrà:

  • Infrastrutture AI d’avanguardia pienamente operative sul suolo europeo, capaci di supportare lo sviluppo di foundation model “made in EU” competitivi con quelli di Google, OpenAI o dei colossi cinesi. I tempi di addestramento di modelli multimodali enormi potrebbero ridursi da mesi a giorni, permettendo a laboratori europei di sperimentare più rapidamente.
  • Un ecosistema industriale e scientifico rafforzato, in cui startup e PMI europee dell’AI avranno accesso a risorse computazionali sovrane per far crescere le proprie idee senza dover migrare la ricerca altrove. Questo potrebbe invertire il “brain drain” tecnologico, trattenendo in Europa talenti che oggi spesso volgono verso Silicon Valley o Cina.
  • Maggiore indipendenza geopolitica sul fronte digitale: con datacenter e cloud AI domestici, l’UE ridurrebbe la vulnerabilità a eventuali restrizioni o shock esterni (ad es. un ban USA sull’export di servizi cloud o chip). In parallelo, grazie al potenziamento della capacità produttiva di semiconduttori previsto dal Chips Act, l’Europa potrebbe produrre una quota significativa dei chip necessari in house.
  • Un ruolo da norm-setter globale sull’AI: consolidando infrastrutture e mercato interno, l’UE avrebbe anche più peso nel definire standard internazionali per un’AI affidabile e sicura. Il rispetto dei valori europei – privacy, trasparenza, non discriminazione – incorporato nelle piattaforme delle gigafactory potrebbe diventare un benchmark a cui anche altri guarderanno, amplificando la “via europea” all’AI come best practice.

Naturalmente esiste anche lo scenario opposto: se la scommessa delle gigafactory dovesse fallire – per lentezze burocratiche, mancanza di fondi adeguati o errori di esecuzione – l’Europa rischierebbe di rimanere un passo indietro, con infrastrutture incomplete e dipendenti da attori esterni. Ma la determinazione politica sembra forte: “Vogliamo che l’Europa sia uno dei continenti leader nell’AI, abbracciando un futuro in cui l’AI è ovunque” ha ribadito von der Leyen. Già entro pochi anni, l’UE intende triplicare la propria capacità cloud e data center, ponendo le basi per soddisfare completamente la domanda interna di servizi AI entro il 2035. In definitiva, il progetto gigafactory dell’AI è percepito a Bruxelles non solo come un intervento industriale, ma come un tassello centrale dell’autonomia strategica europea nel XXI secolo. Se realizzato con successo, entro il 2030 potremmo vedere un’Europa molto più protagonista nell’intelligenza artificiale – una potenza tecnologica capace di competere con Stati Uniti e Cina non più da comprimaria, ma forte di una propria infrastruttura sovrana, di un ecosistema vivace e di una visione condivisa di AI al servizio della società.

La posta in gioco trascende l’ambito tecnologico non si tratta, infatti, solo di un traguardo politico, ma di un vero snodo geopolitico ed economico. Le gigafactory potrebbero insomma diventare i motori dell’AI europea – catalizzatori di innovazione e simboli tangibili di una nuova era digitale made in EU.



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